D Lorenzo Contorno giovanissimo bassista…quindi il sacro fuoco della musica di ha colpito subito…
R Secondo qualche racconto sì, sembra
che suonassi la batteria andando “a tempo” coi brani del
Jesus Christ Superstar
D Essere “figlio d’arte”
sicuramente ha influito moltissimo…immagino sei cresciuto a pane e
musica…
R La musica è di casa non posso
negarlo, ma ammetto di non essere mai stato spinto a prende uno
strumento in mano. È una necessità sorta in me col tempo.
D Ti ricordo inserito nel gruppo
Echoplaying…nei fai sempre parte e prima o dopo ci sono stati altri
gruppi ?
R Assolutamente ancora nel gruppo! Stiamo evolvendo sempre più dagli inizi e col nostro ultimo singolo ‘Giostra’ ne abbiamo dato una riprova importante. Prima c’è stato qualche gruppo, ma gli Echoplaying rimane l’unico progetto importante di cui abbia mai fatto parte.
D Quali sono stati i tuoi punti di
riferimento, i tuoi bassisti preferiti ?
R Sono un amante degli anni ’90, in
particolare del grunge. Quindi Shepherd, Ament, Starr e così via. Il
bassista però che più mi influenza rimane comunque Justin
Chancellor dei TOOL. Una perfetta sintesi fra semplicità, spirito,
gusto ed effettistica.
D Vi vidi suonare e il vostro sound si
poteva inquadrare come Alternative Rock, New Wave…
R Trovo sempre difficile inquadrarci in
un genere. Credo che la nostra forza stia proprio nell’unione di noi
singoli membri. Seppur così diversi, creiamo un’alchimia che si
svincola dai semplici generi, trasmettendo puramente quello che noi
stessi siamo nel nostro intimo, fra di noi e col nostro strumento. In
definitiva direi che suoniamo ‘Echoplaying’.
D Sei giovane ma hai già una buona
esperienza musicale..salire sul palco dà sempre una forte
emozione…ma una volta iniziato passa tutto…
R Ho una buona esperienza nel piccolo!
Abbiamo avuto la fortuna di poter suonare al Teatro degli Arcimboldi
di Milano e non è stato facile essere focalizzati dall’inizio. Poi
però prendi un bel respiro, guardi gli altri che ti sono vicino e
premi Start!
D Livorno e la musica, un connubio
vincente…centinaia e centinaia di musicisti hanno respirato il
nostro libeccio dalla nascita…eppure, salvo rare eccezioni è
sempre difficile emergere…cosa manca secondo te per creare una
Scuola Livorno ?
R È il grande problema della
livornesità. Siamo eccezionali ma ci fermiamo all’esserlo più che a
diventarlo. Ma tutto ciò è già stato trattato nello splendido
libro di Simone Lenzi ‘Sul Lungomai di Livorno’.
D Vista la tua età è difficile avere
rimpianti, ma se tu potessi tornare indietro “ a quel momento”,
musicalmente parlando, cosa cambieresti ?
R Forse darei di più. I primi tempi in
cui suoni spesso perdi tempo a controllare che le note siano giuste e
precise più al sentimento che dai a chi ti ascolta. Cercherei di
essere da subito più presente sul palco.
D Parlaci un po’ della tua esperienza
attuale in RadioEco…
R Con l’inizio della carriera
universitaria mi si è presentata la possibilità di fare parte di
questo bellissimo progetto. Un gruppo di persone eccezionale,
interessantissime ed estremamente differenti che mi arricchiscono
tutte le volte con cui ci entro in contatto. RadioEco tratta di tutto
il mondo in cui viviamo. È fatta da giovani per giovani. Si parla di
musica, con articoli (come faccio io) o con podcast, ma anche di
attualità, ogni forma d’arte, rapporti con la società ecc. È un
percorso che porterò avanti con molto orgoglio e dedizione.
D Chi è oggi Lorenzo Contorno ?
R Lorenzo Contorno oggi è quello che
era ieri e quello che sarà domani. Per quanto magari possa fare il
rievocatore storico e non giocare più calcio ad esempio. Non credo
nel cambiamento di una persona. Posso e devo imparare tutto quello
che mi viene offerto, ma ciò non genera un cambiamento in me.
Piuttosto mi fornirà degli elementi di lettura della vita che potrò
applicare nella quotidianità come nella musica.
D:Tutto iniziò alla fine degli anni 60
quando un gruppo di bambini dette vita ad una band dal nome Cuori di
Pietra, e Marco Catarsi era alla chitarra… che ricordi hai?
R: Ricordi ne ho un miliardo, ma sono confusi,
sovrapposti. Certe volte, quando descrivo un episodio di quell’epoca
a un amico, ho la sensazione di mentirgli, di inventarmi tutto. Come
è possibile che i Cuori di Pietra siano stati al fianco di Massimo
Ranieri, di Gianni Pettenati o dei Rokes? Come si spiega che una sera
siano stati presentati in pubblico dal superlativo Corrado Mantoni?
Ogni volta mi sembra di raccontare una marea di balle. Poi guardo le
foto e mi accorgo che è tutto vero. È stato vero, roba da non
credere.
D:In che senso al fianco di Ranieri e degli
altri grandi artisti che citi?
R: Nel 1967, quando i Cuori di Pietra iniziarono a salire sul palco, non era ancora nata la stagione del concerto (inteso come lunga serata di un solo cantante o di un solo gruppo): gli artisti di grido arrivavano sul luogo dello spettacolo verso le 11 di sera, si limitavano a cantare quattro o cinque loro successi, a concedere un bis, a firmare un centinaio di autografi e a darsela a gambe, travolti dalla folla in delirio.
D:E quindi?
R: Quindi c’era da colmare un bel buco temporale, perché la gente prendeva posto in sala verso le 8 o poco dopo, non arrivava mica alle 11. Di solito chi iniziava a scaldare la platea era un intrattenitore, un barzellettista, oppure una coppia di comici, come gli insuperabili Mario Fenzi e Armando Nocchi, i cui sketch in vernacolo erano irresistibili, ideali per rompere il ghiaccio.
D:Ma come, mi tiri fuori dal cilindro i
grandiosi Fenzi e Nocchi? Fortuna che avevi le idee confuse!
Prosegui, prosegui. E poi?
R: E poi toccava alla musica, vale a dire che
iniziavano a esibirsi una serie di cantanti solisti e gruppi
musicali, fra i quali — nove volte su dieci — potevi trovare I
Cuori di Pietra, la band più giovane di Livorno (e chissà, forse
della Toscana): quattro mocciosi di 8-9 anni, che lasciavano tutti a
bocca aperta per la loro disinvoltura nell’affrontare le hit del
momento.
D:Fammi qualche esempio di brani che avevate in repertorio. Ne ricordi qualcuno?
R: Di primo acchito mi vengono in mente Bonnie and
Clyde (Georgie Fame & the Blue Flames), L’Incidente
(Mal e I Primitives), L’Ora dell’Amore (cover di Homburg dei
Procol Harum, in Italia portata al successo dai Camaleonti), Angeli
Negri (cover di Angelitos Negros, canzone di Pedro Infante del
1948, in Italia riapparsa varie volte, in quel momento con Fausto
Leali), Cinque Minuti e Poi (Maurizio Arcieri) e… boh,
chissà quanti altri: di media ne mettevamo in piedi tre o quattro al
mese.
D:Eravate davvero giovani, in realtà
bambini… giocavate a fare i grandi o eravate davvero parte
integrante, musicalmente parlando, di quella fantastica Livorno che
vide nascere gruppi importanti sulla scena beat?
R: Rispondo per me, ma credo di poter rappresentare anche il pensiero degli altri: non giocavamo a fare i grandi, giocavamo e basta. A quell’età c’è chi s’incontra con gli amici per la partita di calcio; noi ci incontravamo per la “partita di musica”. Era uno spasso riunirci, non vedevamo l’ora di farlo per imparare cose nuove, per sentire il fracasso del rullante, per ficcare la spina del jack nella presa dell’amplificatore, percantare in un microfono vero, che era un sogno. Maremma, che bei giocattoli avevamo!
D:Tu e la chitarra quindi un amore nato…
fin dai primi passi di vita…
R: Non esattamente. Prima della chitarra m’innamorai
della batteria; suonavo quella di mio cugino Claudio (componente
degli Iceberg, altro gruppo livornese di quel periodo) il quale —
pur gentilissimo nel mettermi in mano le bacchette — guardava i
suoi tamburi con una certa preoccupazione: ero indemoniato e ci
picchiavo violentemente.
In casa una batteria non l’avevo, ma la costruivo (e
distruggevo) quotidianamente con scatole da scarpe, fustini di
detersivo, cassette della frutta recuperate al mercato, coperchi di
pentola, tazze e scodelle sbocconcellate… insomma, materiale di
scarto, ma prezioso per me che facevo rigorosi esercizi ritmici, e
che a volte immaginavo di essere Ringo Star. La zazzera ce l’avevo,
lo strumento pure, non mi mancava niente per suonare assieme ai
Beatles mettendo sul piatto del Lesa un loro disco.
La chitarra, certo, quella arrivò presto, e forse fu un
amore ancor più grande: non l’abbandonavo mai, tant’è che chiesi di
andare a lezione da un vero maestro, perché “accà nisciuno nasce
‘mparato”.
D:Fermati! È per caso dal maestro di
chitarra che incontrasti i futuri componenti dei Cuori di Pietra?
R: Esatto, li incontrai dal maestro Silvestrini, un
uomo speciale, indimenticabile, sempre sorridente, musicista
eclettico. Iniziai a prendere lezioni da lui nel 67, assieme a mio
cugino Maurizio, bambino delizioso, amico vero, anche lui futuro
Cuore di Pietra.
D:A proposito, chi erano gli altri del
gruppo?
R: Il maestro Silvestrini, in seguito alla fase di
rodaggio in cui si avvicendarono vari elementi, scelse la formazione
definitiva: Giovanni Martelli (batteria), Luciano Del Santo
(tastiere), il già citato Maurizio Giambini (chitarra e voce) e il
sottoscritto (chitarra e voce).
D:Cuori di pietra… un nome “duro”
per dei giovanissimi… come nacque questo nome?
R: A dire il vero non lo ricordo. O meglio, ricordo che
fu un gioco anche quello: qualcuno lo propose per il gusto di creare
un contrasto umoristico fra noi bambini (in pratica degli angioletti)
e il nome cattivissimo che ci saremmo portati dietro. Invece ho ben
presente un fatto: l’idea del contrasto piacque a tutti, non ci
furono ripensamenti, quel nome divenne subito il definitivo.
D:Finita l’esperienza con i Cuori di Pietra,
in quali altri gruppi hai militato?
R: Nessun gruppo di spicco. Ebbi mille esperienze, in
parte come solista, in parte assieme a band che occasionalmente mi
invitavano a far parte di un evento musicale, ma sempre e soltanto a
scopo ludico. Peraltro avevo iniziato lo studio del pianoforte in
conservatorio, e una “voce di dentro” mi sussurrava che
dell’Arte dei Suoni stavo trascurando una dimensione più intima, più
costruttiva: quella del suo approfondimento storico e teorico, di cui
avvertivo urgenza per un arricchimento individuale. Cosicché, pur
continuando ad amare il pop/rock (impazzivo per i pionieri del
progressive), non ero più così entusiasta di salire sul palco un
giorno sì un giorno no. Quando sei ragazzino — se realmente provi
attrazione per la musica e non per l’applauso — hai poca voglia di
sembrare una specie di mostro agli occhi degli amici: vuoi essere uno
di loro, che magari suona Battisti sulla spiaggia cantando insieme
agli altri, non «quello che oggi è sul giornale».
D: Gli anni 60 erano, lo dicono ormai tutti,
formidabili, seppur molto giovane, che ricordi hai di quelle
atmosfere, di quel credere che “qualcosa stava cambiando”?
R: Facciamo un passo indietro. Io nasco nel 58, mi
affaccio agli anni 60 con il ciuccio in bocca. Mi tolgo il ciuccio,
canto Ventiquattromila Baci e mi rimetto a ciucciare. Ciò
significa che dalla mia prospettiva non stava cambiando niente: il
primo mondo che ho annusato era quello, credevo fosse sempre stato
quello. Per me era normale che si attendesse con impazienza l’uscita
di un disco di Celentano; era normale che il giorno prima non
esistesse She Loves You e il giorno dopo sì; era normale che
la Befana avesse il sacco pieno di strumenti musicali; era normale
che la presentatrice di Studio Uno si chiamasse Mina. MINA, non so se
mi spiego. E nella seconda metà dello stesso decennio, quando sulla
scena comparivano gruppi come gli Equipe 84, I Dik Dik o i New
Trolls, era normale che le cantine fossero stipate di ragazzi che
riproducevano le loro canzoni; era normale che il fruttivendolo
mettesse i soldi da parte per comprarsi un basso; era normale sentir
chiedere «Tu cosa suoni? Con chi suoni?» perché suonavano tutti,
tutti o quasi.
Di quanto invece quel periodo non fosse affatto
“normale”, l’ho capito assai dopo. Credo che nessuno, fra
coloro che gli anni 60 non li hanno vissuti in prima persona, possa
neanche vagamente immaginarne la poderosa effervescenza,
l’implacabile susseguirsi di novità.
D: “Avessi fatto quella scelta”… “avessi
seguito quel consiglio”… “avessi preso quel treno”…
qual’è il tuo più grosso rimpianto, sempre musicalmente parlando?
R: Forse quello di essermi allontanato da Livorno
giovanissimo, rinunciando così alla possibilità di contribuire al
fermento musicale labronico.
D: Chi è oggi Marco Catarsi?
R: Fino all’anno scorso ti avrei risposto che svolgo
questa e quest’altra attività. Oggi, con il mondo paralizzato da
molti, troppi mesi, ti rispondo che l’attuale Marco Catarsi è uomo
che ha in forte antipatia il vocabolo “assembramento”.
Perché la musica, come ogni altra attività di gruppo — sia essa
lavorativa, ricreativa o artistica — in primo luogo è
aggregazione, di conseguenza unione, calore, amicizia, crescita,
energia, svago, sviluppo, progresso, rafforzamento intellettivo,
scambio culturale, piacere esistenziale, gioia di vivere.
D: Cosa vuoi dire esattamente?
R: Voglio dire che c’è solo da scegliere se morire
anzitempo per evitare una morte incerta, o riprendere a vivere
felicemente, consapevoli un giorno di morire.
D Gianni Niccolai, bassista. In un mondo dominato dalle chitarre perché la scelta del basso ?
R Perché
a differenza di molti bassisti che diventano tali per sopperire alla
presenza dei troppi chitarristi nella band, io sono sempre stato
attratto dal groove e dalle vibrazioni sin dall’infanzia.
D Fai
parte del gruppo Stella Maris Music Conspiracy, un nome che è tutto
un programma…ottima band, ottimi musicisti, una sorta di
garage-punk band…come nasce questo “complesso” come si usava
dire una volta ?
R
Nascono per necessità espressiva e bisogno di ritrovarsi di
Stefano, Tetano e Angelo. Io come Alex arriviamo dopo coinvolti anche
noi nel bisogno di esprimerci e ritrovare quel suono primordiale che
contraddistingue la band.
D Al vostro attivo anche un cd dal titolo Operation Mindfuck !…a quando un nuovo lavoro ?
R Ultimamente
abbiamo rincominciato a suonare insieme dopo circa cinque anni di
stop, poi è arrivato il Covid e ha fermato tutto di nuovo. Se le
cose cambieranno e riusciremo a ritrovarci avevamo in mente di fare
una registrazione di qualche nuova e vecchia canzone.
D Prima
hai fatto parte dei Silvereight, poi dei Bad Love Experience e infine
dei Lip Colour Revolution con i quali hai fatto due
dischi…raccontaci
R In
realtà è tutto al contrario, prima ho fatto parte per circa dieci
anni dei Lip Colour Revolution, con cui abbiamo inciso un Lp e due
Ep, dopo ho aiutato per un periodo i Bad Love Experience come
bassista per il tour del disco Believe Nothing e nel frattempo
suonavo con Falca Milioni e Le Figure, Silvereight, e mi sono
cimentato nella creazione di una colonna sonora per la graphic novel,
“I Giorni del Vino e delle Rose”.
D Quali
sono stati i bassisti che ti hanno influenzato di più, i tuoi mostri
sacri ?
R Roger
Water, Donald Duck Dunn E Flea, erano i miei punti di riferimento
fino all’adolescenza, poi è arrivato il punk il grunge e allora è
cambiato tutto, adesso a quasi quarant’anni credo di averne un
centinaio di bassisti che mi hanno influenzato, ma cerco di prendere
spunto sopratutto da altri musicisti non solo bassisti.
D Sbaglio
o ti diletti anche con la fisarmonica e il canto ?
R Con
la fisarmonica mi ci sono dilettato per un periodo solo per poter
riprodurre il famoso “Unplugged in New York” dei Nirvana, per il
canto invece ho sempre provato fin dove arrivavo e mi veniva
lasciato, anche se con i cantanti non è sempre facile rapportarsi,
spesso vengono preceduti dal loro ego… Chissà forse in futuro
prenderò coraggio e ci metterò io la voce.
D Ormai
questa ondata di “arresti domiciliari” causata dal Covid si spera
finisca…quando potremo sentirvi dal vivo, magari in città ?
R Per
il momento la vedo molto dura, nel senso che con S.M.M.C. non
possiamo sicuramente fare concerti con le attuali restrizioni, il
pubblico ha bisogno di stare vicino e compatto, scalmanarsi e
ballare. Pare al momento (e qui si evidenza il degrado culturale in
cui viviamo) che le discoteche possono stare aperte, e invece per i
live club o i festival che già da prima erano massacrati da leggi
assurde debbano attenersi a regole ancora più rigide, una
sciocchezza tipica del nostro paese.
D
A proposito di città, la nostra Livorno, città dai numerosissimi
gruppi…cosa manca secondo te per poter fare quel salto di qualità
che il talento e la passione rendono necessari e possibile ?
R La
città non è più così ricca di tantissimi gruppi, al giorno d’oggi
credo che sia aumentata la qualità delle band labroniche e che in
molti giovani che gravitano intorno alla musica hanno compreso che
c’è bisogno anche di altre figure nel campo musicale, come chi
segue l’aspetto tecnico o quello manageriale. Sarebbe bello se
Livorno e l’intera costa si trasformassero in un centro di
aggregazione e inclusione, però come tante cose c’entra sempre di
mezzo la politica, dove si potrebbe incentivare la musica dal vivo e
il busking de tassare i locali e chi fa attività culturale.
D Tutti
noi abbiamo rimorsi e rimpianti…tutti noi non siamo saliti su quel
treno che ci stava aspettando…dove andava il tuo ?
R Mah,
credo di averli presi tutti i treni che potevo prendere, ma
francamente credo anche che dobbiamo smettere di vedere il successo e
“l’arrivare” (poi chissà dove) come una necessità, come si
vede nella musica che viene prodotta oggi(in Italia), mi sembra che
sia una gara a chi fa più schifo a chi è meno originale, al
diventare tutti uguali. Invece di una sana e produttiva voglia di
creare qualcosa di nuovo, fresco e curioso e nel collaborare con gli
altri musicisti creando gruppi che mancano, sopratutto in una
società che ci vuole sempre più soli e solisti.
D Chi
è oggi Gianni Niccolai ?
R Oggi
sono un appassionato di musica, viaggi e natura, che vive del lavoro
che si è inventato nell’ambiente dove sguazzo da più di
vent’anni, ho una curiosità e una voglia di esprimermi ancora
grande, soffro solo l’assenza di un “gruppo” di persone che la
vede e vive come me, ma sono certo che il tempo mi darà una mano a
incontrare le giuste persone, come ha fatto fino ad ora.
Molti artisti hanno stuoli di fans, sono seguiti dagli stessi con passione e dedizione…sono stati scelti da migliaia di ragazzi che li hanno innalzati a loro beniamini.
Bob Dylan invece si è
scelto lui stesso i suoi fans, uno per uno. Li ha individuati,
selezionati e…scelti. Ha accompagnato loro durante tutta la loro
vita, senza lasciarli mai e soprattutto senza mai tradirli o
deluderli. Anche adesso che è un vecchio saggio, il nonno al quale
fare le confidenze più intime, rivelare i segreti anche più
“bastardi”, lui è lì, pronto a tendere l’orecchio, ascoltare,
consigliare, senza mai giudicare. Tra i giovani da lui scelti c’è
anche Barbara Belloni.
E Barbara ha deciso di
omaggiare Bob con un ottimo lavoro, prendendo alcune canzoni del
Premio Nobel per la Letteratura , farle sue, interpretarle alla sua
maniera, personalizzandole, senza mai cadere nell’errore di fare una
fotocopia dell’originale.
Per fare questa ha chiesto aiuto a musicisti più che validi, naturalmente facenti parte della schiera di “scelti”: Flamiano Mazzaron e Stefano Stella alla chitarra, Alessandro Arcuri al basso, Pippo Guarnera all’organo e Vincenzo Barattin a legare il tutto dettando i tempi con la sua batteria.
Il risultato è
sorprendente . “Dylan” è un disco fresco, rivitalizzante,
cantato benissimo e suonato meglio…
La band non è mai
invadente mettendosi completamente al servizio della bella voce di
Barbara che riscopre anche pezzi non propriamente capolavori
riconosciuti ( ma in un sacchetto colmo di diamanti puoi “tirar”
su qualunque pietruzza che brilla comunque ).
Blind Willie McTell è un gioiello, impreziosito dalla presenza di Paul Millns al piano e dai “ricami” della National Steel Guitar del grandissimo Roberto Luti mentre in A Hard Rain’s a-Gonna Fall Barbara chiede il permesso a Janis (l’inizio sembra Me and Bobby McGee….).
Make You Feel My Love è
sussurrata, piena d’amore, invece Slow Train Coming è rabbiosa,
sentita, cantata “di pancia”, per finire a This Wheel’s on Fire
che sarebbe piaciuta anche a Rick Danko.
D Giulia D’Amato, cantante…immagino da quando hai iniziato a camminare…
R In realtà Giulia ha iniziato a
cantare e a camminare tardino ..sono una che ha i suoi tempi. Da
adolescente ho partecipato a qualche Kermesse e concorsi locali,ma
con poca consapevolezza; so solo che volevo farlo. Una voce intonata,
un buon orecchio,un buon senso del ritmo. Mi dicevano..”la bimba
va fatta cantare”….e io cantavo …cantavo qualsiasi cosa.
D Hai una voce potente, grintosa,
calda…hai fatto qualche studio o è tutto frutto di madre natura ?
R La voce è sicuramente una dote
innata…anzi un privilegio mi piace pensare..e con il passare degli
anni è cambiata e maturata molto ,influenzata dai miei ascolti:il
rock ,il blues il soul è come se avessero scelto quale dovesse
essere il colore della mia voce…decisamente Black.
Auro Morini è stato l unico maestro ad
avermi aiutato a muovere i primi passi. Lui mi ha dato le giuste
nozioni per una buona respirazione. Rimpiango solo di non essere
stata un allieva costante allora, forse per la giovane età. In
seguito ho passato anni ad ascoltare e cercare quella giusta chiave
di lettura per ciò che realmente volevo cantare.
D Fai parte del gruppo Julia D’Amato Blus Band…come nasce questa band ?
R La mia band nasce da un incontro
fortuito,durante una jam casereccia…neanche ci conoscevamo di
persona. Ma come ben sapete per instaurare un feeling basta un
attimo….l’ alchimia è una cosa preziosa e quando viene tradotta in
musica va fatta suonare…e così è stato! Sono circa 2 anni che
suoniamo insieme e anche se viviamo distanti e proviamo poco quando
ci esibiamo ritrovo quel groove che ci contraddistingue.
D Giulia e il blues…sei nata per
cantarlo, interpretarlo…ti ho vista sul palco alcune volte e
impossibile non notare che “senti” il pezzo, lo interpreti, lo
fai tuo…la musica del diavolo ti ha stregato l’anima…
R Ero un turbine di emozioni
contrastanti,dovevo convogliarle in una direzione. Be’…è così che
sono arrivata al Blues… In realtà Janis Joplin mi ci ha
portato. Mi ha aperto un mondo quella voce somigliante a un treno a
vapore. Prima esperienza di blues cantato da una bianca. Ero
stregata. Mi era familiare quel modo di cantare . Poi Big Mama, Nina
Simone, Patti Smith, Etta James, Howlin Wolf, AMy winehouse , Muddy
Water…fu chiaro la mia attitudine quale fosse. Ho qualcosa in
comune con questi personaggi…c è un intesa emotiva, so di cosa
parlano. Alla fine la scelta di un genere è data da questo,da quello
che ti fa sentire e quello in cui più ti ritrovi. E io nel blues
ritrovo me…anche se nella vita non so bene chi sono..!
D Progetti futuri ? Riprenderete i concerti e se si anticipaci qualche data…
R Forse qualche data tra Luglio e
Agosto sul litorale la faremo..piazzare un gruppo con 5 elementi ora
non sarà facile vista l emergenza sanitaria. Magari qualche serata
in sessione acustica…con il mio chitarrista e compagno..(anch’egli
grande fonte di ispirazione per me), riproponendo lo stesso
repertorio.
D Salire su un palco e “dare tutto se
stesso” per chi ci ascolta è gratificante…come reagisce Livorno,
città della musica per eccellenza, verso voi artisti ?
R Il palco è il banco di prova per
definizione. Cercare di arrivare al pubblico è il lato più
ambizioso e affascinante del live. Esibirsi è regalare e lasciare
qualcosa di se a chi ti ascolta.. è bellissimo c è poco da dire e
in questi mesi è mancato molto. Io non so bene cosa rimane a chi
mi ascolta … Qualcuno mi ha detto “Canti come una donna
dalla pelle scura anche se sei una biondina “…. be’…un
complimento cosi non ha prezzo per me…. Vuol dire che quella
voce un po sporca e imperfetta, con una timbrica scura e grintosa
in qualche modo rimane impressa. E allora chiudo gli occhi e mi
butto…ho sempre fatto così. Nella vita…sono una che si butta.
D Tutti noi ripensiamo spesso a quel
treno che è partito senza di noi…ci ha aspettato ma noi
stupidamente non siamo saliti lasciandoci ancora un aspro sapore di
rimorso…dove andava quel tuo treno ?
R Anche se ancora oggi non so bene cosa mi riservi ….io mi butto sempre e comunque, a volte mi tutelo poco e mi faccio male. Ma non voglio rimorsi e rimpianti, e sebbene molti treni li abbia persi sono convinta che tanti altri dovranno passare. L importante è non sentirsi mai arrivati….apprendere dagli altri..sapere ascoltare. Siate curiosi di imparare….sempre
D Francesco Carone, tastierista…una passione nata da giovanissimo immagino…
R
Si, la mia passione l’ho scoperta all’età di 5 anni
quando mio padre le domeniche mattine mi svegliava con il suono
delle musiche dei Pink Floyd. Ricordo sempre quei momenti e la magia
di quei suoni. Sin da subito capii che nella musica c’era qualcosa
di
profondo
e di estremamente bello.
D Hai
fatto studi classici o sei autodidatta ?
R
Ho iniziato con gli studi classici di pianoforte all’età di
7 anni per poi continuare in Accademia con la composizione e la
musica moderna dai 14 anni.
D Nel
tuo profilo Facebook si legge : Musicista presso Hanhuitar Project,
Musicista presso Impress, Musicista presso IndipendentTrio,
Tastierista presso The Steady Groovers…a Livorno si dice “uni
stai mai fermo”. A parte gli scherzi riesci benissimo a
conciliare più impegni contemporaneamente ?
R
La musica oggi per me non è solo un mestiere, è
principalmente un divertimento e ciò che più amo è trovarmi in
situazioni molto diverse tra loro musicalmente in modo da poter
arricchirmi sempre più. Suonare più generi differenti è un forte
stimolo per me.
D Prima
hai fatto parte di altri gruppi ?
R
Si ho iniziato a 16 anni a suonare musica Rock con la mia
prima band ma poi ho interrotto per via degli studi musicali.
D Il
mondo del rock e soprattutto un certo genere di rock, dagli anni 70,
non può più fare a meno dell’apporto delle tastiere…come ti
spieghi questo fenomeno per uno strumento che innegabilmente è nato
per far parte di tutt’altro mondo musicale ?
R
Le tastiere e i sintetizzatori sono l’evoluzione del
pianoforte ma sono comunque strumenti molto diversi. Il pianoforte è
uno strumento completo e proprio per questo motivo riesce ad essere
inserito in moltissimi generi musicali.
D Quali
sono i tuoi punti di riferimento, musicalmente parlando, i tuoi
mostri sacri, le tue fonti di ispirazione ?
R
In realtà ce ne sono moltissimi, però per citare qualche
nome: Oscar Peterson, Keith Jarrett, Michel Petrucciani, Ennio
Morricone, Cory Henry, Nils Frahm, M83.
D Progetti
futuri, qualche concerto con una delle tue numerose band, magari in
città ?
R
Al momento, vista l’emergenza sanitaria, stiamo lavorando
in studio aspettando la ripartenza di tutti i concerti in Italia e
all’estero.
D Oltre
a essere un ottimo musicista sei anche un Insegnante di pianoforte e
tastiere presso Cantiere Madaus e Insegnante di pianoforte e
tastiere presso Do Re Mi…
R
Negli ultimi anni mi sono dato anche all’insegnamento
presso le scuole di musica: “Cantiere Madaus”(Lari), “Do Re
Mi”(Castellina Marittima) e “Rock Village”(Pisa). Insegnare mi
da una grande soddisfazione perché in molti allievi rivedo il
bellissimo percorso che ho fatto diversi anni fa.
D Come
tutti avrai anche te sicuramente un rimpianto che ogni tanto
riaffiora e ti fa ancora arrabbiare…una occasione perduta…
R
Fortunatamente non sento di avere rimpianti. Penso che il
mestiere del musicista sia un mestiere privilegiato.
D Chi
è oggi Francesco Carone ?
R
Un musicista che cerca di trasmettere alle persone il potere
della musica, che ogni volta, va ben oltre a quello che ci si
immagina.
“Rough and Rowdy Ways”…finalmente, dopo tanta attesa il nuovo lavoro di Bob Dylan. Prima di scrivere qualcosa ho voluto ascoltarlo, ascoltarlo e riascoltarlo. Dopo le prove da “crooner” era il disco che stavo aspettando. Alla soglia degli 80 anni il vecchio Bob è riuscito ancora a stupirmi, farmi riflettere, farmi venire la pelle d’oca. Bob ha accompagnato tutta la mia vita, da adolescente fino ad oggi che ho i capelli color argento, da quando ragazzino andavo alle medie ad oggi che ho l’età per essere un nonno. Lui c’era sempre, c’è sempre stato…ha accompagnato le mie gioie e le mie sofferenze, i miei momenti di felicità e di turbamento, ha dato risposte a molte mie domande, attraverso la sua musica e le sue parole spesso mi ha portato “oltre” e ne sarò sempre grato. Spesso ho abbinato momenti della mia vità a sue canzoni…per ricordarli meglio… Rough and Rowdy Ways è un grande disco, un disco figlio dell’età di chi l’ha composto: Bob non è più il trascinatore sulle barricate, il giovane combattente contro “l’impero del male” e l’ipocrisia…oggi è il vecchio saggio che punta il dito, che ti infiamma con lo sguardo, che ti sgretola senza toccarti. E’ il nonno che racconta ai nipoti la sua vita e cosa ha visto e vissuto, i personaggi che li sono camminati accanto, i fatti tremendi a cui ha assistito, come è cambiato (ma sarà poi vero ?) il mondo in tutti questi anni. Le canzoni sono scarne, essenziali ma accompagnate da una intera orchestra che altro non è che la sua voce…profonda, calda, ammaliante. Canzone che ti sgraffiano l’anima, ti trafiggono il cuore e, inutile negarlo, mi hanno rubato una lacrima e un po’ di commozione (Key West su tutte). Rimarrà sul palco fino alla fine…ne sono certo…deve essere così… Alla prossima Bob.
D Samuele Brandini chitarrista dalla tenerissima età…
R R- dunque ,ho iniziato a suonare non
prestissimo, a 16 vidi la chitarra di un mio compagno di liceo ,una
Stratocaster nera, e li ci fu il colpo di fulmine. I primi anni ho
studiato poco, sono autodidatta, negli ultimi anni mi son messo un
po’ sotto con gli studi, cercando di recuperare.
D Fai parte dei Wicked Desire, bella
band, potente…come sei entrato a far parte di questo gruppo ?
R Entrai a far parte dei Wicked come
sostituto… si e’ creato subito un grande legame; in particolare
con Riccardo Bolognini,batterista, per me come un fratello, siamo
sempre rimasti costantemente in formazione.
D All’inizio il gruppo era legatissimo
all’hard rock, poi con l’avvicendarsi di membri all’interno dello
stesso, senza mai lasciare le sane e vecchie radici, avete iniziato
ad esprimervi anche in italiano oltre all’inglese naturalmente…cosa
ha portato a questa scelta ?
R Con i Wicked ci sono stati tanti
avvicendamenti di formazione e di conseguenza varie flessioni come
orientamento, abbiamo anche provato con testi in italiano per essere
più alla portata del mercato in Italia: e’ molta dura ,la ragione
principale per me e’ che non c’e’ richiesta ed interesse verso
la musica originale inedita.
D I Wicked e l’hard rock…ma quale è
il tuo genere preferito e quali i tuoi chitarristi di riferimento ?
R Io amo tanto il Blues, da sempre, ma solo in questi ultimi anni mi son messo a studiarlo e suonarlo in giro con varie band. Tra i miei preferiti i tre RE , BB king, Albert King e Freddy King,e poi Steve Ray Vaughan, e più contemporanei John Mayer, Kenny Wayne Shepherd, Philip Sayce. Una cosa importante per me ,e’ l’influenza che ho avuto fin dal inizio e tutt’ora, da un chitarrista “nostrano”,Bob Luti verso il quale ho una grandissima stima :ha un suono magico che mi ispira tanto.
D Progetti futuri tuoi e della band ?
Un nuovo cd ? Concerti in vista pandemia permettendo ?
R Con i Wicked non suonano insieme da
quasi 2 anni ,al momento non abbiamo progetti …ma chissà ,prima o
poi un qualcosa si farà’.
D Vi siete esibiti a Livorno e non
solo…per una band il contatto con il pubblico è tutto, salire sul
palco è linfa vitale…questi mesi si assenza dalle scene in
costrizione ti ha pesato oltremodo, come hai reagito ?
R In queste settimane a casa mi sono
concentrato tanto su me stesso ,cercare di migliorare la tecnica, la
conoscenza musicale, ma soprattutto l’ infinita ricerca del suono,
ognuno ha il suo ed e’ quello che trasmette emozioni.. il mio
rimpianto e’ proprio quello di non aver studiato negli anni in cui
avevo più tempo …ora a 45 anni tra lavoro ,famiglia ,di tempo da
dedicare allo studio ce n’e’ sempre meno.
D Samuele, ognuno di noi ha un
rimpianto che lo tormenta: musicalmente parlando raccontaci il tuo.
R Il mio rimpianto e’ proprio quello
di non aver studiato negli anni in cui avevo più tempo …ora a 45
anni tra lavoro ,famiglia ,di tempo da dedicare allo studio ce n’e’
sempre meno.
D Chi è oggi Samuele Brandini ?
R Questi ultimi 2 anni ho suonato LIVE
più del solito, con varie band, vari musicisti, nuove conoscenze…e’
il miglior banco per imparare. In questi giorni sto cominciando le
prove con un mio progetto, un trio dove suono e canto, questa cosa mi
stimola tanto …saluti e come dice sempre il grande Johnny
Salani,con cui ho avuto la fortuna di condividere il palco …The
Blues is Alrigth.
D Tutto ebbe inizio nel lontano 1961 in una cantina del quartiere popolare Sorgenti, quasi per gioco quando nacquero I Giaguari.
R Si, eravamo affascinati dai vari Paul Anka, Celentano, Dik Dik,
Neil Sedaka etc e tutta la produzione di quel genere di quel tempo.
D Anche se inizialmente il vostro nome era Bruno e i suoi Rochers…e
poi in I Marajà…che ricordi hai ?
R Ricordo che avevamo tanta voglia di suonare (pur con molti
limiti evidenti), di metterci in mostra insieme ai gruppi di quel
tempo. Scopiazzavamo i successi dei nostri idoli di allora come
potevamo. Ai tempi dei “Marajà” facevamo ballare al circolo “La
Rinascita” di Via provinciale Pisana. Tre canzoni noi e tre il Juke
box.
D Finalmente nel 1962 i Giaguari prendono il loro nome definitivo che onoreranno per 50 anni…raccontaci
R Erano tempi di miseria vera e comprare uno strumento non era
cosa da poco. Io per esempio per comprare la prima chitarra acustica
(usata), vendetti un libro di elettronica della Hoepli che mi ero
comprato per la scuola. In seguito così più o meno fecero anche
gli altri ricorrendo a pacchi di cambiali che i “babbi” firmarono
da “Pietro Napoli”. Nacquero allora “I Giaguari” perché a
quei tempi andavano molto di moda i nomi di animali. I Lions, I Dick
Dick, I Camaleonti,
etc etc.
D Nel 1966 iniziate a diventare famosi : il Signor Roberto Trebbi,
proprietario dell’allora famoso e prestigioso Tennis Club Il
Caminetto di Tirrenia vi ingaggia per una interminabile serie di
serate…la collaborazione infatti durerà fino al 1975 ! Tempi
magnifici immagino…
R Realizzammo in quel tempo un sogno che ci cambiò anche dal
punto di vista musicale. Tieni conto che, come strumentisti,
nessuno di noi, chi più chi meno aveva doti eccelse. Tutt’altro
. La nostra forza era il gruppo. Ci buttammo a capofitto nel genere
cosiddetto “sala”. Il nostro compito primario era di far ballare
la gente possibilmente usando le canzoni del momento. E sempre di più
ci appassionammo a farlo.
D Al Caminetto avete lavorato al fianco di artisti come Mina, Surfs, Rockes, Michele, I Nomadi, Mia Martini, Equipe 84, Fausto Leali…una bella soddisfazione…
R Sì, furono anni fantastici e indimenticabili densi di
soddisfazione. Il grande Roberto ci dette la possibilità di suonare
in parallelo con questi grandi personaggi. A quei tempi avevamo il
difficile compito di sostituire nel panorama del Tennis il Complesso
de “I Satelliti” che nel frattempo erano andati a suonare con
Ricky Gianco. Visto il lungo periodo di permanenza al Tennis Club
credo che riuscimmo a soddisfare il pubblico perché Roberto, se non
eri all’altezza del compito, non ti avrebbe permesso di esibirti.
D Gli anni ’60 terminarono, molti gruppi beat si sciolsero, ma non i
Giaguari, che hanno dato l’addio alle scene solo l’ultimo dell’anno
2010…quale è stato il segreto di tanta longevità ?
R Con l’avvento del genere cosiddetto “liscio” molti gruppi
si schifarono di questa musica e, piuttosto che suonarla,
preferirono abbandonare. Noi no; avevamo come obiettivo di far
ballare la gente e decidemmo di provare questo tipo di musica con lo
stesso entusiasmo di sempre. Devo dire che fu una mossa vincente
perché per molti anni restammo uno dei pochi gruppi in Toscana a
battersi (si fa per dire) contro i più blasonati romagnoli.
D Spesso come cantante avete scelto una donna: dalla prima Maria
Grazia Zedda alla famosissima Manuela e altre ancora…un qualcosa in
più…un valore aggiunto…
R Come ricorderai, nel genere liscio era quasi d’obbligo una
ragazza come cantante e come figura sul palco. A quei tempi era
difficile trovare una ragazza che avesse la voglia e le qualità
minime per fare la vita che facevamo; prove infrasettimanali, fine
serate con rientri molto tardi, carico, scarico di una moltitudine di
strumenti etc etc. Per una ragazza era complicato. Sicuramente
abbiamo avuto fortuna specialmente nella prima parte della fase
“liscio”. Abbiamo avuto molte ragazze brave di persona e di
mestiere. Qualcuna sicuramente meno e sono proprio quelle che hanno
creato problemi; tutte comunque hanno creato quel valore aggiunto
necessario al proseguio dell’attività.
D La serata dell’ultimo dell’anno 2010 è stata la vostra ultima
apparizione sulle scene…immagino che vi abbia preso un po’ di
commozione…non era proprio possibile continuare ?
R Quella sera fu l’epilogo di una situazione che si trascinava
da tempo all’interno del gruppo. Come sai nella prima decade del
secolo cominciarono a uscire le basi, i locali cominciarono a optare
per gruppi sempre più piccoli per risparmiare costringendo i gruppi
come il nostro a scegliere se “ristrutturarsi” o a esibirsi per
pochi soldi. All’interno del gruppo fino ad allora, quasi tutti
dichiaravano di suonare per “passione”, alla fine i più
suonavano per i 50 euri a serata. La componente femminile fu
determinante ad accelerare queste differenze. Gente come il
sottoscritto che aveva sempre anteposto l’amicizia e il gruppo alla
parte economica, non poteva accettare di suonare, quando in due,
quando in tre magari aspettando che qualche locale, pagando per
un’orchestra intera, ti permetteva di suonate tutti insieme. Alla
fine il dio denaro aveva vinto come sempre.
D Te hai sempre suonato la chitarra: quali sono i tuoi chitarristi di
riferimento, quelli ai quali ti sei ispirato ?
R Più
che dire mi ispiravo, diciamo quelli che preferivo erano i vari Eric
Clapton, Mark Knpfler, Jimi Hendrix,Carlos Santana, Jimmy Page,Keith
Richards ed altri. Il genere che facevo non mi permetteva di
inserire, ammesso e non concesso di esserne capace, simili tecniche
nella musica che facevamo. Nell’ultima parte della storia poi era
già tutto registrato all’interno dei brani per cui, se inserivi
qualcosa dovevi stare molto attento a non configgere musicalmente con
la parte registrata.
D Hai suonato per tanti anni in ogni dove, a Livorno ma anche in
tutta Italia…con il tuo gruppo hai visto passare mode e suoni
diversi…che differenze ricordi nel presentarsi al pubblico ?
R Le differenze non sono abissali. Certamente quando suoni in uno
stadio come quello seppur piccolo di Cecina dopo o prima di Fausto
Leali e Patty Pravo un po’ di strizza ti viene. Oppure quando alle
gare di ballo regionali a Firenze dove la giuria prima
dell’esecuzione del brano ti fa provare per stabilire il tempo
giusto, ti viene l’ansia. Poi passa tutto e i ricordi si fanno
sempre più belli. Ma comunque, ogni volta che eseguivi un brano
nuovo e lo ponevi all’attenzione del pubblico era sempre un esame
che sostienevi.
D Da quel 31 dicembre 2010 non hai più suonato in pubblico ?
R No, ritenevo allora che, oltre alla passione per la musica,
fosse determinante l’amicizia come collante. Oramai per alcuni di
noi era diventato esclusivamente un fatto di denaro. La musica era
marginale perché aveva perso la sua vericidità. Tutto era già
pronto, campionato. Non avevo più stimoli. Non avevo la volontà di
cercare nuovi amici (alcuni di quelli con cui ho suonato per anni
erano amici quasi d’infanzia).
D Chi è oggi Enrico Celanti ?
ROggi è un anziano signore malandato in pensione che saltuariamente segue i gruppi di oggi che fanno musica dal vero, e ce ne sono di bravi. Non ho nostalgie significative se non degli avvenimenti di un tempo ricordato da qualche video o da qualche foto.
D Massimo Bertone, armonicista..bellissimo strumento, struggente…quando nasce questo tuo amore ?
R Non esiste una data precisa…a metà
degli anni ’70, quando esplodeva la voglia di “sentirsi dentro” e
usava viaggiare con Jack Kerouak sotto il braccio. Il viaggio nel Sud
della Florida fu la folgorazione per questo strumento che non era la
solita chitarra che tutti gli amici strimpellavano…era “lo
strumento”, graffiava l’anima, era emozioni…
D Spesso l’armonica, che sia musica
Blues o Rock è la ciliegina che impreziosisce il tutto…
R L’armonica, come il violino o il sax,
dà a chi ascolta effettivamente quella ciliegina che lo
incolla…perchè quando entra…entra dritto al cuore.
D Ti ho visto sul palco in diverse jam
e con gruppi diversi, spesso e volentieri band chiedono la tua
collaborazione…soddisfatto ?
R Amo suonare nelle jam e quando vado
ad ascoltare qualche gruppo e mi invitano a salire sul palco per
qualche pezzo insieme non mi faccio pregare. Le jam sono un buon
mezzo per suonare insieme agli altri, magari con persone che non
conosci e conosci proprio lì…è un dare e un avere. Nelle jam
nascono gruppi, nelle jam tutti possono “parlare”.
D Hai matto fatto parte stabilmente di
un gruppo ?
R Fare parte di un gruppo è difficile,
almeno per me: la mia visione di gruppo è rimasta ai vecchi amici
che vivevano e percorrevano la stessa strada…oggi è molto più
difficile trovare la stessa lunghezza d’onda.
D L’armonica è uno strumento
affascinante…a prima vista sembra facile da suonare, invece è
difficilissimo…hai fatto studi particolari o sei autodidatta ?
R L’armonica è uno strumento che devi
sentire dentro. Niente è facile. Per suonare l’armonica devi essere
innamorato di un certo tipo di blues…io sono un autodidatta anche
se ho sempre studiato lo strumento. Cerco di apprendere un po’ da
tutti per poi rielaborare il tutto a modo mio.
D Chi sono i musicisti ai quali ti sei
ispirato, i tuoi mostri sacri ?
R Non ho mostri sacri in particolare:
ho cercato di assorbire da molti musicisti ma ho sempre cercato una
mia linea. Poi naturalmente impossibile non ricordare Sonny Boy
Williamson, Little Walter o Indiana Sfair.
D A Livorno siete tre o quattro grandi
armonicisti…tra di voi c’è comunque amicizia o solo sana
competizione ?
R Conosco bravi armonicisti a Livorno,
in particolare un maestro rinomato in tutta Italia come Mimmo
Mollica, amico e dispensatore di buoni consigli o Nuccio Pellegrino
con il quale è un piacere duettare…no, nessuna competizione ma
amicizia, solo amicizia.
D Massimo, tutti noi abbiamo rimorsi e
rimpianti, non essere riusciti a prendere quel fatidico treno ci
brucia ancora….dove andava il tuo ?
R Non uno, ma molti treni sono passati
sui quali non sono mai salito…su alcuni sono riuscito a salire e
qualcosa ho conservato per ognuno di loro. Penso piuttosto di aver
cercato di essere io un treno per qualcuno e spero che il tragitto
fatto con me sia servito in positivo. Tutto sommato non rimpiango
quello che non ho.
D Chi è oggi Massimo Bertone ?
R Massimo ora è quello che non avrebbe mai creduto di diventare…una persona che si è costruito una famiglia unita dal niente. Massimo oggi è una persona che puoi chiamare e difficilmente è un no. Massimo ora è uno che quando suona con gli occhi chiusi “apre un mondo”.