GIORGIO TAURASI

D Giorgio Taurasi chitarrista…immagino un amore per la sei corde nato fin da bambino…

R In realtà non è andata proprio così, la vera irrefrenabile passione è iniziata durante il periodo dell’adolescenza. Prima di quel momento fui avviato allo studio della musica ma, essendo per natura un po’ ribelle, non volli dare continuità a ciò che mi veniva proposto dai genitori, inoltre per il contesto socio-culturale al quale appartenevo lo studente di musica poteva essere oggetto di sgradevoli attenzioni, bullismo incluso.

D Attualmente fai parte del gruppo Basaglia’s Concept Quartet, ottimo gruppo, ottimi musicisti, poi il nome è tutto un programma…come nasce questo “complesso” ?

R Nasce… dall’autoanalisi! Ovviamente scherzo ma fino ad un certo punto, mi spiego: con l’amico e bassista Diego Persi Paoli scriviamo e proviamo i nostri repertori con un approccio che mobilita la nostra massima capacità di concentrazione fino a quando, oltrepassato questo limite, ci troviamo in una dimensione in cui si sperimenta una sorta di inerzia nel proprio modo di suonare, a quel punto si operano i necessari aggiustamenti attraverso l’ascolto reciproco, si fissano nero su bianco le idee più felici, apriamo la prova al quartetto (gli amici e ottimi professionisti Mirco Pierini tromba/flicorno e Sergio Consani Batteria) e il processo riparte senza mai chiudersi definitivamente, la spirale potrebbe essere il nostro logo. Durante questa attività accade che ci facciamo delle grandi risate, ci prendiamo in giro senza pietà e continuiamo a farlo anche durante la cena che dopo condividiamo. Insomma, il lavoro consiste nell’entrare ed uscire da dimensioni molto diverse tra loro e questa dinamica ha il segno della follia, questo rito creativo ha qualcosa di sciamanico e, ripeto, divertente! Ovviamente, dato che le cose non vengono sempre come vorremmo, attraversiamo anche forti momenti di frustrazione, fatica e talvolta ci domandiamo perché lo facciamo con la mente al nostro conto corrente . Lì abbiamo la conferma che qualcosa in noi non funziona davvero ma poi ce ne freghiamo… Da pazzi no?

D Difficile etichettare (che non è mai bello) il vostro sound..chitarra, basso, batteria, tromba e flicorno…fusion può andare bene ?

R “Nu Fusion” forse calza meglio ma non ne siamo sicuri nemmeno noi. Certamente siamo attratti dalle mescolanze timbriche offerte dalla natura dei nostri strumenti, le relative combinazioni e integrando il tutto con quanto l’attuale tecnologia analogica ci mette a disposizione. Non siamo più dei ragazzi e il digitale è per noi un mezzo per guidare l’analogico, non il fine. E poi ci piace giocare un po’ con i generi musicali, ricombinarli tra loro, spesso ironizzare su certi stilemi. Questo modo di procedere però non frammenta mai il nostro sound, ciascuno di noi ha infatti una specie di campanello di allarme al riguardo e poi ve lo immaginate se Mirco si azzardasse a fare un solo in stile messicano? Lo bullizzeremmo ferocemente per il resto della serata! Anzi degli anni a venire!

D Prima dei Basaglia’s hai fatto parte di altre band ?

R Sì molte, dal duo alla Big Band e devo dire che questa è stata una palestra molto bella ma oggi credo che il quartetto sia la migliore formazione; ha il pregio di essere snello e, osservando certi accorgimenti, permette di non rinunciare alla dimensione orchestrale. Vorrei aggiungere una cosa, chi fa questo lavoro spesso si trova a collaborare con colleghi che a volte vede solo per l’occasione del concerto e ovviamente di un paio di prove prima di quest’ultimo; in un certo senso è il repertorio che stabilisce l’ensemble, il repertorio lo “si studia a casa e da piccoli”, così si dice, il resto è un assestamento del gruppo cui segue la performance e poi ti saluti, non è il massimo sinceramente. In altri casi accade che il numero di prove e dei componenti dell’ensemble sia stabilito dal compenso che la committenza mette a disposizione e la cosa acquista un sapore ancora più amaro. Lo dico perché alla fine di tanti gruppi in cui hai militato, quelli veri, quelli in cui hai sviluppato il tuo percorso con soddisfazione professionale, continuità, amicizia, rispetto e crescita reale in un arco di tempo significativo sono pochi, pochi ma buoni.

D Quali sono i tuoi punti di riferimento, i tuoi mostri sacri, i chitarristi che imitavi davanti allo specchio?

R Davanti allo specchio non credo di aver mai imitato nessuno salvo qualche espressione buffa di Totò che adoravo, ma chiuso in camera mia quando ero ragazzo e nel mio studio poi, ho amato e amo ancora Frank Zappa e Pat Metheny. Loro sono come due rette parallele, non si incontrano mai date le loro notevoli differenze ma per me sono come due binari; due binari che mi permettono ancora oggi di viaggiare senza deragliare. Probabilmente la mia latente bipolarità è data anche da questa strana sintesi stilistica che io stesso fatico a comprendere

D Questa pandemia ha “troncato le gambe” a tutta l’arte in genere, ancora di più alla musica che senza il contatto con il pubblico perde molta della sua essenza, del suo dare e ricevere emozioni…sapremo riprenderci e tornare a suonare e ascoltare concerti ?

R Me lo auguro con tutto il cuore, mi auguro che l’ascoltatore ritrovi la sua identità e non si senta appagato dal surrogato del concerto proposto dal mondo digitale. Mi auguro anche che, di conseguenza, il musicista non atrofizzi il suo profilo artistico diventando una specie di programmatore di App con cui regalare (anzi vendere), l’illusione di poter della musica in solitudine, ognuno da sé.

D Progetti futuri ?

R Curarmi di questo gruppo, osservarne lo sviluppo, mantenerne l’equilibrio, raccogliere i dati salienti e alimentarne lo spirito. Fare questo, per chi è un po’ folle, rappresenta un orizzonte… Anzi una cura. Se poi questo porterà a qualche risultato di più ampio respiro progettuale (leggi soddisfazione economica o mediatica) meglio ancora, accoglieremo tale risultato come un positivo riflesso del nostro essere musicisti.

D Livorno e la musica, Livorno città della musica…centinaia e centinaia di band sono nate nella nostra città, moltissimi ottimi musicisti intercalano con il dè…eppure…cosa manca per fare il salto di qualità ?

R Manca l’attenzione di coloro che, in qualità di organizzatori di eventi, dovrebbero saper cogliere i segni più genuini del patrimonio culturale cittadino. E’ un dato che essi siano oggi del tutto privi di quel tratto intellettuale proprio di coloro che, secondo le categorie spinoziane si potrebbero definire come conoscenze di terzo genere e cioè quelle che si nutrono delle intuizioni, della penetrazione immediata nell’essenza delle cose. Ora, se il musicista ha il dovere di interagire con la materia della sua arte, plasmarla, rendere significativo il proprio linguaggio, porre un interrogativo al suo ascoltatore, condurlo in un altra dimensione e insieme a lui ricordare che le cose possono essere osservate da infiniti punti di vista allora chi organizza l’evento ha il dovere di creare le condizioni che facilitino questo processo artistico e lo veicolino positivamente orientando così i gusti del pubblico verso l’operato del musicista. Ha inoltre, una volta registrato il feedback dei suoi diversi interlocutori, il dovere morale di documentare il proprio operato rendendolo disponibile a colui che ne raccoglierà l’eredità ma questo a mio avviso non accade e spesso il musicista deve sostituirsi all’organizzatore senza averne però le competenze. Ecco dunque uno dei problemi che tutti abbiamo sotto gli occhi: un ingranaggio che gira vuoto spinto anche da sentimenti non sempre proprio nobili che alla lunga sfibrano e logorano le persone, gli ensemble. La classica guerra tra poveri, tra ruffiani, è quanto di peggio serva alla nostra città alla nostra musica.

D Tutti noi abbiamo il rimpianto di non essere saliti su quel treno che ci stava addirittura aspettando, musicalmente parlando, dove andava quel tuo treno ?

R Non ho mai pensato in termini di treni come occasioni mancate perché alla stazione di treni e quindi di occasioni ce ne sono molte. L’importante è avere in una mano un biglietto per salire e nell’altra, se ne senti il bisogno, il denaro per scendere alla prima stazione e acquistarne un altro e proseguire verso la destinazione che scegli, ecco tutto. Non ho rimpianti, sono un curioso spettatore della mia vita, anzi, ne sono un ascoltatore attivo.

D Chi è oggi Giorgio Taurasi ?

R Un folle sotto mentite spoglie, una persona a suo modo fortunata.

SIMONE DI MAGGIO

D Simone Di Maggio, tastierista, anche se

un pò riduttivo…

R Poteva sembrare, ma non è così. Ho

cominciato con le corde, poi PC ed annessi

controller MIDI… Se ti riferisci alla tastiera del

computer, quella tanta anche ora.

D A memoria mi sembra di ricordare che il

tuo primo gruppo fossero gli Almayer…

R Che memoria! E’ stata la mia prima band

importante alla quale lego un periodo

fantastico della mia vita: le prime registrazioni

e la compilation 15 Italian Dishes – la curai io

dando vita a Raving records, insieme ad

Alessandro Baris dei Comfort. Il picco degli

Almayer fu il tour con i The Lapse di Chris

Leo: una settimana incredibile e l’inizio di

un’amicizia.

D Poi nel 2003 il gran salto negli Appaloosa,

band storica livornese…raccontaci

R La loro sala prove era accanto alla nostra e ci

conoscevamo – a fine anni ’90 davanti al

mercato centrale, sottoterra, c’erano i fondi

delle migliori band del periodo. Io ero in fissa

per la musica elettronica già da un po’ e avevo

comprato il mio primo mac portatile,

cominciando a fare le mie prime cose: i

ragazzi mi chiesero di fare qualche pezzo con

loro e accettai. Cominciai a fare qualche

concerto (la quinta o sesta data fu sul palco

grande di Arezzo Wave prima dei Cypress

Hill !) e cercai di partecipare sempre di più alla

realizzazione dei brani, finché non entrai a far

parte del gruppo in pianta stabile. Potrei dire

che l’ufficialità arrivo con la pubblicazione di

“Non posso stare senza di te” (Urtovox, 2005).

D Nel 2005 intraprendeste anche un piccolo

tour in Spagna, nei Paesi Baschi…una bella

soddisfazione…luogo penso non scelto a

caso…

R Avevamo amici sia a Bilbao che a Madrid che

ci proposero di suonare lì. Fu un’esperienza

favolosa e la prima volta che abbiamo

annusato una realtà diversa da quella

nazionale. Il locale di Bilbao era un centro

culturale e praticamente non chiudeva mai,

dalla colazione alla discoteca. E mi innamorai

di Madrid.

D CD (Savana, The worst of Saturday night),

tour in Germania, Francia, Svizzera oltre

naturalmente all’Italia, Livorno compreso…bhè,

non male…

R Sì, una bella avventura. Abbiamo mangiato

tanti kilometri e incontrato centinaia di

persone, in occasioni importanti o al limite

della decenza; abbiamo condiviso trionfi e

sconfitte: ho imparato molto andando in giro

con gli Appaloosa e in certi momenti ho

provato un senso di libertà che mi fa ancora

sentire un privilegiato… Non è mai stata una

questione di fama, tantomeno di guadagno:

era magia.

D Nel 2014 lasci la band…che successe ?

R Era il momento di farlo. I ragazzi avevano

bisogno di girare sempre di più per vivere di

musica (fermarsi sarebbe stato un disastro),

ma il mio lavoro non me lo permetteva: li avrei

ostacolati. Così decisi di lasciare, ma volevo

farlo con la coscienza a posto. Prima registrai

‘The Worst of Saturday Night’, disco del quale

vado ancora fiero e che rappresenta un

cambio radicale per gli Appaloosa. Poi feci una

ventina di concerti di promozione al disco e

infine passai la palla a Dyami, consegnando le

mie parti musicali e pure il mio controller. I

ragazzi si incazzarono un bel po’ all’inizio, ma

poi capirono e sono riusciti a raggiungere altri

traguardi. Per me furono due anni di stress

psicologico pesantissimo che mi son sempre

tenuto per me, ma credo di aver fatto la scelta

migliore per tutti e ci vogliamo anche più bene

di prima: gli Appaloosa sono una famiglia.

D Una carriera solista fino al recente

dimaggiobaseballteam …tutto ok ?

R In realtà dimaggiobaseballteam nasce nel

2003 come progetto solista di musica

elettronica e songwriting, ma nel tempo è

diventata la “firma” di tutta la mia produzione

creativa, a prescindere dal formato utilizzato

(audio, video, scritto, disegnato e quant’ altro

capiti). Di certo non sono stato costante: gli

Appaloosa, la vita da insegnante precario –

finita, per fortuna – e quella privata bastavano

e avanzavano a riempire le giornate. Però, in

proporzione, ho avuto le mie soddisfazioni

dilatate in quasi 20 anni e sicuramente è la

versione che meglio mi racconta.

D Recentemente ti sei esibito per streaming

al Goldoni, passata la tempesta Covid quale

progetto, altri concerti, altre esperienze in

gruppo ?

R Diciamo che il Covid è stato l’input per capire

quanto sia doveroso curare il proprio lato

espressivo, un’ancora di salvezza

irrinunciabile oramai. Così ho deciso che è

arrivato il momento di uscire allo scoperto e

pubblicare il mio materiale prima di diventare

la leggenda di me stesso. l’8 Dicembre 2020

ho pubblicato “from 0 to 2”, un EP di tre brani

strumentali che documentano e fissano questi

anni passati a stretto contatto con i mie due

figli: ci saranno almeno altre 2 uscite su

questa linea nei mesi prossimi.

Sto anche lavorando da un po’ a un disco di

canzoni a cui tengo molto: al Goldoni ho

suonato ‘Hunger’, ma c’è una versione electro

pubblicata sulla Compilation WeLoveLivorno

2020: risale al 2015 ed è stata prodotta

insieme a Simone Lalli (Autobam).

Infine sto collaborando con l’associazione

8mm1/2 che restaura e digitalizza pellicole –

siamo coinquilini in un coworking che si

chiama Spazio, un’oasi creativa in città.

Per ora mi fermo qui.

D Simone quali sono i tuoi mostri sacri, i

musicisti che adoravi fin da bambino ?

R Se si parla di venerazione, indubbiamente i

Fugazi: la loro energia non ha pari, così come

il loro essere autentici, umili e profondamente

umani. Conservo ancora gelosamente una

cartolina di risposta scritta a macchina da Ian

MacKaye in persona – l’ho anche intervistato 2

volte per GruMuLi, la fanzine che facevo a

Livorno per documentare la scena cittadina di

fine ’90.

Per il resto, ci provo: The Smiths, Pavement,

June of 44, Brian Eno, Robert Wyatt, Boards

of Canada, Bob Dylan, Teebs, Dj Shadow,

Arcade Fire… Ho passato più ore dentro a

Wide Records che a lezione a Pisa.

D Tutti noi ci “mangiamo ancora le mani” per

non essere saliti su quel treno che aspettava

solo noi…invece…dove andava il tuo ?

R Bologna o Siena, per studiare Scienze della

Comunicazione, cominciare una vita da

studente fuori sede e poi andare all’estero. Un’

altra coincidenza persa andava a Londra con

gli Appaloosa e un’altra ancora in uno studio di

registrazione qualsiasi a fare un disco con

Almayer – credo ancora che ce lo saremmo

meritato.

Faccio del mio meglio per non avere

rimpianti… e come diceva il mio prof di

filosofia, “con i SE e con i MA non si fa la

storia”.

D Chi è oggi Simone Di Maggio ?

R Un insegnante di Inglese e un genitore felice

che, specialmente di questi tempi, crede sia

doveroso perdersi nei sogni per opporsi alla

pesantezza della realtà ed espandere la

propria prospettiva. Di questo si occupa il

coach di dimaggiobaseballteam, tenendo a

freno la schizofrenia.

DARIO PALUMBO

D Dario Palumbo, bassista. Chitarrista mancato o scelta d’amore?

R ..al momento scelta d’amore, ho suonato e suono tutt’ora la chitarra in altre band ma mi piace suonare qualsiasi cosa si possa suonare, basso compreso!

D Fai parte del gruppo The United Disaster Inc., ottima band, suono potente…come è nato questo sodalizio ?

R ..diciamo che è nato per un puro caso, ci conosciamo da più di 20 anni ed abbiamo già suonato insieme (io Gabri e Ale) nel progetto ‘Valetudo’ che poi diventò Cheeck Muff, mi pare intorno al ’98/’99, io in quel progetto avevo il ruolo di dj, al basso avevamo il mitico Ale Paveri che adesso è volato a far carriera negli States. Insomma un giorno incontro Gabri (Urzi) che aveva tirato su questo nuovo progetto ‘United Disaster’ con Ale Lera (Demonoid) alla batteria e Massimo Balducci (Mazmu) alla voce ma non avevano un bassista, avevano una data già pronta al Cage per il Livorno Music Awards e non sapendo come fare mi proposi per imparare i brani (al momento solo 4) per quel concerto.. poi ci siamo trovati bene e non li ho più lasciati!

D Il vostro suono possiamo definirlo Rock Garage incazzato…è anche il tuo genere preferito?

R ..non credo di avere un genere preferito, riesco ad ascoltare e mi piace di tutto, dal punk al rock al metal alla techno alla house all’hip-hop al cantautorato italiano all’ambient.. l’unica cosa che digerisco poco è l’ultima ondata di italiani trap.. ci ho provato ma proprio..

D Prima degli United hai fatto parte di altri gruppi ?

R Snathings / Chromosomes / Valetudo / Rayo Hormiga / Project 00 / Five Impossible Dreams.. meglio che non scrivo niente su tutto quello che ho fatto prima perchè potresti farne un libro!
Comunque adesso oltre agli UD sto suonando la chitarra in una punk rock band Rosignano/livornese, gli Alpha Zombies, ne sentirete parlare!

D Ci sono alcuni bassisti che hanno fatto la storia del rock…quali sono i tuoi punti di riferimento, i tuoi mostri sacri?

R Sinceramente non saprei, da giovane ammiravo Steve Harris per il suo modo di suonare e stare sul palco, tra gli amici sicuramente Simone Luti e Daniele Catalucci per la loro tecnica e personalità.

D Progetti futuri, idee in cantiere? Magari un cd o concerti appena possibile ?

R Come United Disaster avevamo tante cose in pentola tra pezzi da registrare e concerti da programmare, ma ovviamente in questo periodo tra Covid e impegni familiari è tutto congelato..

D Se non sbaglio oltre a musicista hai fatto anche il DJ…

R Ho iniziato a ‘girare’ i vinili alla fine degli anni ’80 mentre imparavo a suonare la chitarra, il debutto nel mitico ‘Club Imperiale’ nel 1992 dove sono rimasto purtroppo per un solo anno causa militare.. dopo una breve sosta dove alternavo inverni in giro con i Chromosomes e estati all’Elba per lavoro, ho ripreso l’attività nella mia città città (The Cave, Tijuana club, the Cage) e poi pure in giro tra Frau, Jaiss e molti altri

D Livorno e la musica…in città ci sono stati e ci sono migliaia di ottimi musicisti eppure…cosa manca per fare il salto di qualità…è solo colpa del nostro carattere ?

R ..visto il panorama di quello che sta uscendo in ambito musicale mi verrebbe da dire che forse siamo di un livello troppo elevato per gli standard.. in realtà forse è perchè magari non ci crediamo abbastanza, o siamo pigri, o sfortunati, o una somma di tutto, o anche no..

D Ognuno di noi si mangia le dita per non esser voluto salire su quel fatidico treno che aspettava solo noi…musicalmente parlando, dove andava il tuo ?

R Mah.. ogni tanto penso che se non avessi fatto il militare sarei potuto essere un dj famoso (quando giravo per Grosseto durante la naja spesso mi fermavano per chiedermi cassette e autografi!)

D Chi è oggi Dario Palumbo?

R Un babbo sui 50 anni che lavora 10 ore al giorno e nonostante tutto trova il tempo per le sue passioni musicali con la speranza che qualcun’altro della famiglia porti avanti la tradizione!

RICCARDO PRIANTI

D Riccardi Prianti, chitarrista ma anche tastierista e molto altro…polistrumentista con la musica nel DNA… Fai parte del gruppo Weekend Martyr, ottimo duo… come nasce questo sodalizio ?

R Io e Elia Lazzerini, il batterista, abbiamo sempre suonato insieme. Non ho avuto altri batteristi all’infuori di lui e penso che questo si senta molto soprattutto quando suoniamo live. Weekend Martyr è un progetto che nasce dall’esigenza di scrivere e approcciarsi ad una band più indirizzata verso il formato canzone. Gli ascolti che abbiamo avuto negli anni sono spaziati veramente tanto e volevamo avere una band dove poter esprimere al meglio tutti quegli input che non fossero i nostri soliti punti di riferimento post – punk. Il momento catartico è stato quando abbiamo scoperto i T.Rex.

D Il vostro genere, anche se è sempre difficile etichettare il sound di un gruppo, si può definire new wave con strizzate d’occhio al rock inglese…

R Sicuramente il Garage Punk inglese è uno dei nostri punti di riferimento da sempre, dai precursori Kinks fino ai The Fall. Lo è altrettanto la scena indie – alternative degli anni 90 americana.

D Avete già dato alle stampe un CD per la Aloch Dischi…soddisfatti ?

R Certo! tutti i ragazzi di Aloch Dischi sono amici e ci hanno dato per la prima volta l’opportunità di uscire con un’etichetta che anche se piccola ha veramente delle uscite discografiche e delle band di qualità.

D Progetti futuri, magari un nuovo cd o qualche concerto appena possibile ?

R Sì, abbiamo un disco nuovo pronto: Wires in uscita per il 2021. Non sappiamo ancora bene quando perché vorremmo far combaciare l’uscita del disco con un tour ma purtroppo ad oggi non è razionale pensare a date e concerti ancora per un po’.

D E dei Wax Faces che mi dici ?

R Gli Wax Faces sono il primo amore che non si scorda mai. Nicola e Francesco sono due musicisti validissimi e amici fraterni. Abbiamo registrato due Ep che ancora oggi mi ascolto con grande orgoglio. Siamo momentaneamente fermi perché siamo stati tutti molto presi da altri progetti: Fracesco con i Velvet Vega, Io e Elia con i Weekend Martyr. Nicola invece si è dedicato a migliorare le sue competenze come fonico e produttore. Infatti, il nostro nuovo disco Wires dei Weekend Martyr è stato prodotto, mixato e curato da lui. Per quanto riguarda gli Wax Faces ad oggi, diciamo che siamo solo in stand by. Occhio!

D Prima Dei Weekend hai fatto parte di altre band ?

R Certo, nella prima adolescenza ho fatto parte di molte band da Grunge a Punk. Ricordo uno dei miei primi live in prima superiore dove suonavo il basso in una cover band dei Rage Against The Machine, così ci siamo conosciuti io e Elia. Poi i Guzen: la nostra band dove facevamo per la prima volta pezzi nostri spiccatamente influenzati da band come i Fugazi e la scena Washington D.C di fine ottanta – inizio novanta.

D Come abbiamo già accennato suoni più di uno strumento anche se penso il tuo “amore” sia la chitarra. quali sono i tuoi punti di riferimento ?

R Direi che un bel riassunto sia: Peter Laughner dei Pere Ubu e Stephen Malkmus dei Pavement.

D Livorno e la musica… te sei giovane ma sarai al corrente che migliaia di gruppi sono nati all’ombra dei 4 Mori… come mai, secondo te, difficilmente qualcuno è andato oltre un bel pezzo, eppure talenti purissimi ci sono stati e ci sono tutt’oggi ?

R Penso che Livorno sia stata e sia una fucina di talenti e di band che potrebbero suonare in giro per tutto il mondo. Il nostro problema è che siamo troppo attaccati a questa città e alla nostra dimensione provinciale. Ci piace tanto rimanere qui a lamentarci. Penso che l’errore di molti sia quello di prendersi troppo o troppo poco sul serio. Io devo ancora capire di quale categoria faccio parte, Intanto mi lamento e continuo a suonare.

D Tutti noi abbiamo un rimpianto (anche più di uno) che ogni tanto ci ricorda che abbiamo sbagliato; musicalmente parlando quale è il tuo più grosso rimpianto ?

R Sinceramente in termini musicali non ho rimpianti artistici su nessuno dei nostri lavori. Però ne ho infiniti per quanto riguarda tutto quello che gira intorno ad un disco e ad un progetto. Mi sono sempre fatto prendere dalle famose “paranoie” e ho perso molto tempo inutilmente. Ci mangiamo le mani più che mai oggi che siamo costretti a non poter suonare per il Coronavirus.

D Chi è oggi Riccardo Prianti ?

R Ti rispondo domani!

ANDREA QUAGLI

D Andrea Quagli, batterista. Chitarrista mancato o amante da sempre del rullante ?

R Sempre e soltanto batterista. Ho iniziato a 10 anni suonando con i famosi “bussoli del Dixan” e non ho più smesso.

D Hai fatto studi particolari o sei autodidatta ?

D Inizialmente autididatta, poi nel lontano 1972 decisi di prendere alcune lezioni e scelsi il migliore: il maestro Giangi Debolini. Eravamo un gruppo di batteristi e Giangi ci ha insegnato tutti i “trucchi del mestiere”. Il caso ha voluto poi che io stesso ho iniziato a dare lezioni precisamente da Toni in Via Maggi.

D Attualmente fai parte del gruppo MK5 Evolution, ottimi musicisti, band storica…come sei entrato a far parte di questo “complesso” ?

R Dopo la tragica morte di Stefano il gruppo Mk5 ha passato momenti dolorosi…conoscevo già i ragazzi anche attraverso Paolo Saini. La decisione di ricominciare ed ecco nati i MK5 Evolution.

D Te comunque vieni da lontano…prima hai fatto parte di altri gruppi , se non sbaglio Soraya Band e altri ?

D Si purtroppo vengo da lontano…purtroppo perchè se vengo da lontano vuol dire che non sono un ragazzino… Il mio primo “concertino” è datato 4 settembre 1970, al Circolo Arci La Rosa…i Flash eravamo, io E Luciano Trovato. Poi è stata la volta dei Demoni: sembre Luciano al Basso, l’avvocato Boirivant alla chitarra e Adriano Viteglio alle tastiere . E’ durato fino a quando quest’ultino decise di emigrare in Danimarca con il nostro comune amico Enrico Rosa. Nel 1973 entro a far parte del famoso gruppo Aldo e i Consoli…giriamo tutta la Toscana e mezza Italia. Si accorgono di noi tanto che ci chiamano a Milano per un provino per accompagnare Roberto Soffici, quello che ha firmato Non Credere per Mina, Un pugno di sabbia per i Nomadi e Casa mia per l’Equipe 84. Nel frattempo ci chiamavamo Immagine. Era il 1977. Ironia della sorte fu che ci presero tutti meno Ald…lui che era il più famoso e il leader. In quel periodo ho avuto la fortuna di conoscere molti artisti tra cui Tullio De Piscopo al quale cercavo di rubare i segreti dello strumento.

Fine anni 80 torno a Livorno ed incontro appunto Soraya dando vita alla Soraya Band. Era un gruppo fantastico e particolarissimo; pensa che oltre a me c’erano Leonardo Tommasini al basso, Maurizio Calistri alla chitarra, Miliano Mora alle tastiere, ovviamente Soraya alla voce e ben due ragazze al sax, Daiana Fiorini e Fiorenza Messicani. Ci divertimmo fino al 1995.

Subito dopo vengo chiamato come Direttore Artistico al Liceo Bini di Pisa: dirigevo un’ottima aggregazione musicale di ragazzi che mi ha datto molte soddisfazioni.

In seguito varie cover band, tra le quali “fritto misto” e Santana” con Miliano Regoli. E poi, in tempi recenti La Zoo Station U2 Tribute Band con Gianni Ponzetta e gli altri amici. Siccome non riesco a stare fermo, contemporaneamente faccio parte del gruppo Passi Carrabili di Pisa con il quale partecipo ad un ottimo video. Il resto è storia recente.

D Progetti futuri, qualche concerto appena possibile ?

R Sicuramente si, concerti a bizzeffe, ne abbiamo voglia tutti, appena questa Pandemia ci lascia vivere di nuovo la nostra vita.

D Quali sono i tuoi mostri sacri, i batteristi che imitavi fin da bambino davanti allo specchio ?

R Quanto tempo abbiamo? A parte gli scherzi, sono molti i batteristi che mi hanno influenzato…farò tre nomi: Franz Di Cioccio, Michael Giles e naturalmente Tullio De Piscopo.

D Una domanda che faccio a tutti i batteristi : Charlie Watts dei Rolling Stones ha detto che il “suo culo” di riferimento è quello di Mick Jagger perchè sono più di 50 anni che se lo vede dimenare davanti alla batteria sul palco…quale è il tuo culo ?

R A “primo acchito” mi verrebbe da dirti Loredana Bertè che abbiamo accompagnato in gioventù e credimi…era un gioiellino, ma se devo dire in senso “etico” allora ti faccio il nome di Roberto Soffici, artista preparato, serio e bravissimo., un vero punto di riferimento. Grazie al suo nome ho suonato in ogni posto in Italia con musicisti incredibili. Funzionava così: facevamo parte in molti dell’Agenzia Staff Music di Roma nella quale militavano anche i grossi calibri come Renato Zero, Cocciante, Bongusto…un impresario voleva scritturare per una serata Renato Zero o Cocciante? Bene. L’Agenzia rispondeva: “Ti dò Renato Zero ma mi prendi per una sera anche Roberto Soffici e il suo gruppo. Facile no ?

D Rimorsi e rimpianti, treni lasciati andar via…quale è il tuo più grosso rimpianto, musicalmente parlando ?

D Non essere rimasto a Milano 50 anni fa. Molte pressioni allora, dalla famiglia, dalla fidanzata che poi sarebbe diventata mia moglie e la fatidica domanda che tutti mi facevano: “Ma quando ti trovi un lavoro vero?”

D Chi è oggi Andrea Quagli ?

R Mi piacerebbe tanto dirti un musicista di professione che per hobby fa l’autotrasportatore in Porto, ma purtroppo è alla rovescia. Un uomo sempre ragazzo innamorato della musica.

CHIARA LUCARELLI

D Chiara Lucarelli, cantante…immagino fin da bambina…

R: In realtà non proprio, da bambina ho studiato pianoforte e nasco come tastierista, molto prima che cantante. Il canto è un aspetto della musica che amo, ma al quale ho cominciato ad approcciarmi solo negli ultimi 8/10 anni, completamente da autodidatta.

D Fai parte del duo Velvet Vega, ottimo progetto…come nasce questo sodalizio?

R: Dunque, innanzi tutto grazie del complimento. I Velvet Vega sono un sodalizio nella vita, ancor prima che artistico. Io e Francesco stiamo insieme da 9 anni e abbiamo avuto diversi progetti insieme. Dal 2013 al 2018 abbiamo portato avanti il duo The Love Thieves, caratterizzato da un sound decisamente più orientato al synth-pop, con qualche richiamo ’80ies. Dopo qualche anno però non lo sentivamo più nelle nostre corde, sentivamo l’esigenza di esprimerci con un sound più oscuro e malinconico, in grado di toccare corde più profonde. Così, abbiamo fatto reset e sono nati i Velvet Vega.

D Il vostro sound si può definire Darkwave, Postpunk…un sound esplosivo, quasi doloroso, un sound perfetto per la tua ottima voce e per il tuo modo di porti sulla scena…

R: Sì, il nostro sound è sicuramente scuro ed esplosivo, anche se i nuovi pezzi che stiamo producendo hanno un taglio sempre cupo ma decisamente meno postpunk e istintivo. La mia voce in realtà è molto cristallina e “pop”, non posso definirla “canonicamente” ideale per questo genere, che di solito è contraddistinto da voci più basse e cupe. Diciamo però che io l’ho resa più personale e interessante miscelandola a degli effetti come distorsioni, delay, riverberi ecc., alcuni dei quali realizzati apposta per me dal mitico Giulio di Kuro Custom Audio.

D Al vostro attivo, se non sbaglio, due cd : “Can’t control” e “Collapsing”…soddisfatti del risultato?

R: All’attivo abbiamo “Collapsing” che è l’album di debutto uscito nel 2018 e “Can’t Control”, un maxi-single uscito lo scorso Luglio con due brani nuovi e due remix realizzati da due band della scena che stimiamo molto, oltre che compagni di etichetta: The Coventry e Lost Messages. In generale siamo soddisfatti, anche se diciamoci la verità, quasi sempre noi musicisti troviamo dei difetti nei nostri lavori, ma è uno stimolo a fare meglio! 🙂

D Oltre ai cd avete è possibile anche avere vostre T-Shirt…

R: Esatto, abbiamo anche le T-shirt. Chiunque sia interessato può scriverci sulla pagina Facebook www.facebook.com/velvetvegamusic/ o visitare il sito www.velvetvega.com

D Progetti futuri, magari un altro lavoro, qualche concerto quando tutta questa coronafollia sarà passata magari in città?

R: Il maxi-singolo uscito a Luglio è stato un assaggio del secondo album, al quale siamo lavorando e che uscirà nel 2021. Purtroppo questo clima di incertezza non rende facile il lavoro a nessuno, soprattutto per il mondo della musica e della cultura in generale. Per quanto riguarda i live, non vediamo l’ora di tornare presto sul palco. Abbiamo dovuto cancellare diverse date in Italia, che speriamo di riuscire a riorganizzare quanto prima e perché no, magari anche un bel concerto in città.

D Quali sono stati i tuoi cantanti di riferimento, i tuoi mostri sacri ?

R: Questa è una domanda difficile, la lista è lunga. 🙂 Scherzi a parte, nella mia vita la musica è sempre stata predominante, fin da quando ero piccolissima. Ho ascoltato generi diversi, dal classic rock all’industrial, dall’indie all’elettronica e credo che queste influenze si sentano in ciò che faccio. In generale i miei 5 mostri sacri sono senza dubbio: Depeche Mode, The Cure, David Bowie, Nick Cave e Siouxsie and the Banshees.

D Come ha reagito la città di Livorno, città della musica da sempre, al vostro genere un pò “particolare” ?

R: Diciamo che Livorno ha ottimi musicisti e tanta bella musica, ma non è caratterizzata da una grande cultura di questo genere, al contrario della vicina Firenze che ha sfornato grandi mostri sacri della New Wave italiana come Litfiba, Diaframma, Neon, ecc. Però devo dire che l’unico concerto che abbiamo fatto in città (all’Ex Caserma Occupata) è stato apprezzato e con un buon riscontro in termini di pubblico e interesse.

D Tutti noi abbiamo uno o più rimpianti che ogni tanto riaffiorano…musicalmente parlando, quale è il tuo più grosso rimpianto?

R: Eh, bella domanda. In realtà non mi piace guardare al passato anche se, allo stesso tempo, credo che tutto nella vita sia utile per spronarci a fare meglio. Forse l’unico rimpianto è di essermi trascinata per troppo tempo il precedente progetto, anche quando non lo sentivo più nelle mie corde e di aver fatto un album con quella band in cui non mi sono sentita me stessa al 100%.

D Chi è oggi Chiara Lucarelli ?

R: Nella vita di tutti i giorni mi occupo di web marketing, copywriting e social media all’interno di un’agenzia di comunicazione. La musica è la mia passione con la P maiuscola e, anche se non potrà mai essere un lavoro a tempo pieno, voglio continuo a suonare perché mi fa provare emozioni uniche, oltre a permettermi di conoscere persone nuove e posti mai visti prima. Il periodo è difficile, i locali saranno sempre meno, ma il mio più grande sogno è portare il gruppo per qualche data fuori dai confini nazionali. Chi vivrà vedrà. 🙂

MATTEO PAGANELLI

D) Matteo Paganelli, batterista…immagino hai iniziato a suonare giovanissimo per la grande gioia dei tuoi vicini di pianerottolo…

R Ciao Massimo, in realtà non ho iniziato così presto a suonare la batteria. Era già il periodo dell’università ed è stato un regalo della mia ragazza Silvia e dei miei amici. Molto probabilmente si erano stancati del fatto che li suonassi i ritmi delle canzoni sulla schiena.

D) Attualmente fai parte di ben due gruppi : i Chromosomes e i New Real Disaster…raccontaci

R Coi New Real Disaster e coi Chromosomes sono anni che ci conosciamo e posso dire di essere entrato in questi gruppi da fan. Suono nei New Real Disaster dal 2012, ma li conoscevo personalmente da prima, andando spesso a Lucca e non solo a vederli suonare. Siamo grandi amici e, può sembrare una banale retorica, nel punk rock è fondamentale esserlo. Coi NRD ho registrato un Ep nel 2015 e ora stiamo aspettando l’uscita del nostro nuovo album (il mio primo full length coi NRD) in vinile: chiusura di un cerchio per un grandissimo appassionato di 45 e 33 giri come me. Coi NRD siamo riusciti a suonare in contesti molto appaganti come il Tributo italiano a Joe Strummer a Bologna oppure al Revolution Rock di Magenta, ma credimi che ogni singola data mi ha insegnato moltissimo e continuerà a farlo. Coi Chromosomes invece ci suono dal 2014 e, se all’inizio mi faceva un po’ strano suonare in una band che ascoltavo da anni (chi è di Livorno o provincia e ascolta punk rock dai Chromosomes ci deve passare per forza di cose), piano piano le cose si sono normalizzate anche grazie alla bella amicizia (già preesistente a dire la verità) che si è instaurata con Massi e Luca (e Mimmo). Coi Chromox ho avuto la fortuna di superare per la prima volta i confini italiani e fare un po’ di date all’estero con amici veri come i Teenage Gluesniffers e i Livermores, e di salire sul palco del Punk Rock Raduno di Bergamo, vero punto di arrivo per un punk rocker. Permettimi di dire che tutto questo non sarebbe mai accaduto se non avessi suonato nel mio primissimo gruppo, i Naked Bellies, che mi ha introdotto nel mondo della musica live e col quale mi sono, ci siamo, tolto grandi soddisfazioni come suonare alla Skaletta di La Spezia.

R Io vengo dalla provincia, ma posso considerarmi un livornese di città acquisito e l’idea che mi sono fatto in tutti questi anni di frequentazioni labroniche è che Livorno, nel punk rock ma penso che il discorso possa essere ampliato a più generi musicali, ha un grandissimo potenziale. Se penso a Biffers, One Night Stand, 7Years e Urban Vietcong, cito band punk diverse tra di loro, ma tutte non valide, di più. Dipende cosa intendiamo per emergere: se il verbo emergere lo intendiamo come arrivare (al successo? Alla ribalta di tv e giornali?) allora tanto vale il non emergere e stare in quell’underground che a noi piace moltissimo. Poi è chiaro che fa piacere se un ragazzo di Napoli piuttosto che di Milano compra il tuo disco e si fa i chilometri per venirti a veder suonare, ma questo esula dall’emergere, questo significa che vivi bene la tua passione e che il tuo “lavoro” è ben fatto.

D) Chi è oggi Matteo Paganelli ?

R Matteo Paganelli oggi è una persona che ha una gran voglia di tornare a suonare con quelli che, grazie alla musica, sono diventati i suoi migliori amici.

FEDERICO FAUCI

D Federico Fauci, chitarrista…quando hai scoperto l’amore per questo strumento ?

R Molto presto…diciamo che a 5 anni inizia a scoprire la chitarra

D Hai mai fatto parte di un gruppo ?

R Si una big band… poi mi sono ammalato di super esaurimento e… lasciai tutto. Dopo 10 anni ho iniziato di nuovo ma ora suono da solo… Aspetto un amico molto bravo che stia meglio e costruiremo un progetto musicale insieme.

D Quali sono i chitarristi che fin da bambino imitavi davanti allo specchio, i tuoi mostri sacri ?

R Senza dubbio Jimmy Hendrix e Greg Lake.

D Che ne pensi del panorama musicale attuale per te , che come me, sei figlio degli anni 60 e 70 ?

R Ora la musica è ai minimi termini: esprime solo tristezza e frustrazione. Non è reattiva.. Nè gioiosa. Riflette la condizione giovanile. Molto triste, defraudata, derubata, senza futuro e sparanze. Senza sogni

D Per noi la musica era un “fatto importante”, in pratica accompagnava tutta la nostra giornata e non solo, era uno strumento di piacere ma anche di lotta e impegno sociale..vedi lo stesso fuoco nei giovani di oggi ?

R Nessun fuoco… Solo frustrazione e tristezza. I giovani stanno molto male. Hanno una sola via: unirsi e fare la rivoluzione

D Oltre a musicista sei anche scrittore, ma rimaniamo alla musica…mai scritto testi che poi hai musicato te stesso ?

R Sono un credente. Ricevo i contenuti dei miei libri… dall’alto. Si chiama “oro colato” questo fenomeno che mi colpisce in pieno . Posso dirlo perche lo dicono gli altri, gli addetti ai lavori…. altrimenti non mi permetterei mai pur sapendo di esserlo.

D Federico Fauci scrittore…hai pubblicato raccolte di poesie ma anche saggi su vari argomenti…raccontaci.

R Oggi sono un poeta… povero, emarginato ,frustrato. Son sempre stato un benestante prima di ammalarmi. Uno che guadagnava 10 milioni al mese e oltretutto lavoravo poco… un paio di mattine a settimana. Avevo un eccellente lavoro. La malattia mi ha portato via tutto.

D Progetti futuri ?

R Ora, dopo 20 anni, lentamente mi sto riprendendo e ho davanti a me la realizzazione dei miei grandi sogni: scrittura, musica, creare una scuola biblica seria a Livorno che non c’è al momento. La metterò in piedi io per i tanti che vogliono conoscere la Parola di Nostro Padre.

D Ognuno di noi ha un grosso rimpianto, quello di non essere salito su quel treno che aspettava solo noi…musicalmente parlando, dove andava quel tuo treno ?

R Un solo grande error: aver lasciato un grande lavoro per farne un altro con 2 amici . Importavamo in Italia pescefresco da Capoverde; Andava benissimo… poi loro iniziarono a litigare .. e lo fecero finire. Avrei dovuto, col senno di poi, dividere l’Azienda e farne 2 insieme.. Sarebbe stato possibile…

D Chi è oggi Federico Fauci ?

BRUCE SPRINGSTEEN _ Letter to you

Molti inizierebbero questa riflessione sul nuovo lavoro di Bruce Springsteen “Letter to you” con un bel “Springsteen ha fatto il disco che non ti aspetti”…io invece me lo aspettavo eccome.Aspettavo il ruggito del vecchio leone che sconquassa la foresta, il graffio con l’artiglio, la zampata potente. “Letter to you” è un signor disco. Certo i “duri e puri”, quelli che si sono fermati a Darkness e The River non saranno d’accordo ma invece il Boss è riuscito ad avvicinarsi moltissimo ai già citati lavori…direi distante solo una incollatura .Certo non è più il ragazzo “nato per correre”, neanche quello che “va al fiume”, oggi è un padre che si commuove per la cerimonia di investitura del figlio nel New York Fire Departemnt (non un dirigente da Rockefeller Center..), è l’uomo che si accorge dell’inesorabile passare del tempo, che prende atto che lui è l’unico superstite di quella che fu la sua prima band da ragazzo, i Castiles, che si guarda allo specchio e vede che i suoi capelli sono sempre meno e colorati di fili d’argento.Ancora una volta chiama intorno a sé i suoi amici di sempre , non scordando mai, neppure per un istante chi non è più con loro, la E Street Band e…la magia continua.Il suono è quello di sempre, potente, con Roy Bittan, il Professore, sugli scudi, ma è tutto il gruppo che lascia ancora una volta il segno.Bruce non inventa nulla perchè non c’è niente da inventare…questi amici miei, volenti o nolenti è il rock; quel rock che deve mettere insieme le semplici note di sempre, con testi all’altezza, che da emozioni, in barba a chi cerca assolutamente il nuovo, il di più, finendo per essere non più un musicista ma un fine elettricista.Un solo rammarico, il sapere che il tour di supporto al disco avrebbe avuto il suo concerto di apertura a Milano, dove questo nonnetto sicuramente ci avrebbe sfinito, stancato, fatto sudare con le sue solite 3 ore e mezzo di concerto…e lui lì, sul palco…Ce ne fossero vecchietti così.

CLAUDIO BONACCORSI

D: Claudio, il tuo amore per le tastiere quando e come nasce?
R: Diciamo che l’ispirazione a suonare le tastiere nasce nel lontano 1974; all’epoca ascoltavo già i Genesis (secondo me i re del prog). Le tastiere di Tony Banks mi facevano venire la pelle accapponata per i “tappeti” ma anche per gli assoli. Per questo motivo formammo il primo gruppetto musicale.


D: 1978… Libera Espressione… il tuo gruppo.
R: Il gruppo Libera Espressione era un gruppo con idee abbastanza chiare. I primi esperimenti insieme non avevano portato a niente di concreto. Poi cominciammo a “suonicchiare” dei brani tutti nostri ispirati a vari temi sociali. Suonavamo con la passione trascinante dei ventenni. Stavamo molto tempo, spesso fino a tarda notte, a cercare di sfornare idee per creare i pezzi anche se avevamo una strumentazione ridicola rispetto agli strumenti costosi del tempo.
D: Le tastiere e il rock… un connubio spesso non facile ma anche vincente.
R: Certo! Nel rock le tastiere sono senz’altro importanti, soprattutto per alternarsi alle chitarre o per integrarle: i duetti dei Deep Purple sono un esempio lampante; chiaramente, le tastiere troverebbero poco spazio nell’heavy metal o in altri tipi di rock.
D: Nel 1981 esci dal gruppo…
R: Quando nel 1981 uscii dal gruppo non fu una scelta facile. Volevo sposarmi e non potevo sopperire a spese impegnative come quelle di una band. Infatti avrei dovuto migliorare la mia strumentazione, contribuire a comprare un impianto voci ed altre spese. I miei compagni lo presero come un abbandono e per certi versi era vero.
D: Keith Emerson o Rick Wakeman? Chi ti ha più ispirato? O chi altri?
R: Keith Emerson o Rick Wakeman? Qui ci sarebbe da scrivere un mondo! Sono due tastieristi molto diversi tra loro. Mi piace Emerson per come sapeva rendere il pianoforte e l’Hammond “micidiali”; avessi avuto almeno una delle sue mani… Wakeman mi piace molto per le atmosfere che creava con gli Yes. Comunque il mio preferito in assoluto è Tony Banks.
D: La fine degli anni ’70 ha visto l’esplosione del prog. Anche voi avevate nel vostro repertorio cover dei Genesis e altri. Una manna per chi suonava le tastiere
R: Il prog è in assoluto la musica che preferisco: Genesis, ELP, Pink Floyd, King Crimson, PFIlM, Orme, Banco del Mutuo Soccorso… ultimamente ne ho scoperti molti di gruppi prog che in gioventù non avevo mai ascoltato. A parte questa leggera premessa, ti rispondo che in quel periodo non avevamo in mente di fare cover di altri gruppi, vuoi per la scarsa preparazione musicale per fare quel genere di cover, vuoi per la strumentazione non adatta a ricreare le atmosfere Genesisiane o dei Pink Floyd. Personalmente avevo una tastiera SIEL che per il periodo non era niente male, anche se in circolazione c’erano già tastiere importanti come l’Hammond o il moog… e stava cominciando l’era delle workstation…
D: C’è qualche musicista livornese che apprezzi particolarmente con il quale vorresti suonare?
R: Ammiro moltissimo il batterista Leandro Bartorelli e il flautista/sassofonista Claudio Fabiani e ho avuto il piacere di fare un paio di jam con Alessandro De Fusco, secondo me un tra i più bravi chitarristi rock, ottimo interprete degli AC/DC. Magari fossi all’altezza di suonare con questi musicisti: vorrebbe dire che sarei un grande musicista anch’io! Invece sono solo un appassionato.
D: So che suoni anche oggi. Parlaci del tuo gruppo.
R: Ho ripreso a suonare sei anni fa. Fino a quel momento strimpellavo in casa… ma era soltanto un passatempo. Comunque man mano che passava il tempo sentivo l’esigenza di suonare con una band. La mia poca esperienza e la mia timidezza mi avevano impedito di propormi come tastierista. Poi un giorno ho ritrovato il mio amico fratermo Mauro Pietrini e grazie a lui abbiamo formato un gruppo: i Return Flame. La formazione era la seguente: Mauro Pietrini al basso, Silvano Storpi alla chitarra, Sergio Paoletti alla chitarra ritmica e controvoci, Sergio (Sughino) Donati alla batteria (sostituito in seguito da Gianni Venturi), Moreno Lenzi alla voce e il sottoscritto alla tastiera. Mauro, per motivi personali, fu sostituito da Marco Dentone. La band è andata avnti fino al 2012 poi ci siamo sciolti. Posso dire che è stata una bella esperienza; ci siamo divertiti e ho debuttato con loro al Cavern di Piero Ciantelli. Facevano cover dei Deep Purple, Uriah Heep, Orme… e molti altri. Sì, ci siamo tolti delle belle soddisfazioni. Non voglio pavoneggiarmi, non è nel mio carattere, però posso dire che abbiamo avuto l’onore di apripista al Banco del Mutuo Soccorso e Tolo Marton. Dopo lo scioglimento dei Return Flame, con Moreno Lenzi e sua moglie Monica, decidemmo di formare un’altra band: la Libera Espressione. Il nome è quello originale del primo gruppo, e fu scelto perché al suo interno, oltre a me, entrò a far parte anche Giovanni Di Rocca (mio amico fraterno e chitarrista dei primi anni). La formazione era così composta: Moreno Lenzi e Monica alle voci, Giovanni Di Rocca alla chitarra, Tino Tozzi al basso, Sergio “Sughino” Donati alla batteria (sostituito in seguito da Gianluca Chetoni prima e poi da mio fratello Mirco Bonaccorsi). Avevamo intenzione di fare anche musica nostra, ma poi il progetto andò in fumo e continuammo con il filone delle cover. Facemmo un paio di uscite non importanti ma comunque piacevoli ma dopo due anni il gruppo si divise. A quel punto il sottoscritto, Giovanni Di Rocca e Mirco Bonaccorsi siamo rimasti soli e ci siamo dati da fare per cercare bassista e cantante. Abbiamo anche trovato delle persone con le quali abbiamo provato a formare una nuova band, ma tralascio di raccontarti questo periodo. Attualmente abbiamo formato un altro gruppo con il quale non ci siamo ancora esibiti (ad eccezione di una jam questa estate). La band si chiama “La Percezione”. Volevamo ripetere le esperienze delle cover rock degli anni 70/80 e anche fare musica nostra, ma dobbiamo ripiegare su cover pop/rock più leggere. Questo ci dà la possibilità di esibirci in determinati luoghi, come ad esempio gli stabilimenti balneari. Questo è un compromesso necessario per non “marcire” a fare le prove dentro un fondo.
D: Sei stato protagonista negli anni 70 e ancora oggi calchi le scene… che differenze, a parte l’età, trovi nella scena musicale livornese?
R: La parola protagonista mi sembra eccessiva. Diciamo che ho avuto la gioia di assaporare l’evoluzione della musica rock dei mitici anni 70. Cosa ne penso dell’attuale scena musicale livornese? Ad essere sincero non seguo più come qualche anno fa i gruppi nostrani.
D: Chi è oggi Claudio Bonaccorsi?
R: Da un punto di vista musicale un uomo abbastanza soddisfatto perché forse, con l’attuale band, abbiamo trovato un equilibrio, una stabilità. La voglia di suonare è ancora tanta e spero di potermi ancora esibire in pubblico al più presto. Da un punto di vista umano posso dirti che tra un anno e mezzo circa andrò in pensione e naturalmente potrò dedicarmi maggiormente alla musica, sperando di continuare a lungo a suonare con questo gruppo.