D Ariberto Carboncini chitarrista. Quando hai scoperto l’amore per questo strumento?
R L’amore per la chitarra mi è stato insegnato da mio padre che aveva imparato da suo padre e che io ho trasmesso a mio figlio Riccardo.
D Nel maggio del 1965 formi gli Atomici, gruppo beat, come erano soliti chiamarvi…bei ricordi
R La data precisa non la ricordo ma ero proprio un ragazzino quando con Enrico Demi, Roberto Panciatici, Riccardo Chiesa e Roberto Dell’Agnello si fondò il gruppo “Gli Atomici”, nome suggerito dal babbo di Enrico Demi.
D In quella bellissima estate siete ospiti fissi del Caminetto di Tirrenia e La Casa del Popolo di Zambra…
R Si, abbiamo suonato in quei locali ma non solo. Dopo un po’ il sax di Roberto Dell’Agnello ci lasciò e fu sostituito dal sax di Corrado Lomi. In quel periodo avevamo un contratto per tutta la stagione alla Pergola di Cenaia la domenica pomeriggio. Finito il servizio verso le 18.30-19.00 smontavamo gli strumenti per andare a fare la serata a Nibbiaia: pensa che pazzi.
D Il gruppo ebbe vita breve, si sciolse infatti nel dicembre delo stesso anno, ma riusciste ad esibirvi al Gran Ballo d’Autunno organizzato dal circolo studentesco “Cave 61” nei saloni dell’Hotel Palazzo…una soddisfazione…
R Si fu una bella soddisfazione. Essere scelti per il Gran Ballo d’Autunno non era semplice.
D Sei rimasto in contatto con gli altri Atomici ?
R Per un po’ di tempo si ma poi ci siamo persi di vista. Con Roberto Dell’Agnello sono in contatto via Facebook.
D Hai attaccato la chitarra al chiodo o hai avuto altri gruppi?
R No, non ho attaccato la chitarra al chiodo, anzi: dopo lo scioglimento degli Atomici mi chiamò il gruppo Elite 95 (pensa 95 perchè in 5 avevamo 95 anni…) ed è stata la band con la quale mi sono tolto molte soddisfazioni. Il lavoro non ci mancava ed eravamo assidui in due locali: il Sirena di Rosignano per l’inverno e il Jolly Beach di Marina di Bibbona per l’estate dove a settimana facevamo anche 4 servizi. In questo locale poi, dopo lo scioglimento degli Elite 95 ho suonato con diversi musicisti tra i quali Roberto Galazzo, con il quale ho suonato anche con Aldo e i Consoli. Poi ho suonato anche con Toscano e i Sovrani. Ho smesso di suonare a 50 anni senza dimenticare Marco Shoemberg e Franco Rossiello.
D Quali sono stati i tuoi punti di riferimento, i tuoi mostri sacri, i batteristi che imitavi nella tua cameretta?
R Beatles, Luigi Tenco e Fabrizio De Andrè del quale, come solista, ancora oggi faccio qualcosa.
D Tutti noi abbiamo rimpianti o rimorsi, musicalmente parlando, qual’è il tuo più grande rimpianto ?
R Sinceramente non ho rimpianti, forse qualche piccola delusione ma rimpianti no.
D Chi è oggi Ariberto Carboncini ?
R Un piccolo imprenditore con una azienda di costruzione di insegne luminose con 13 dipendenti e che lavora ancora nonostante i suoi 74 anni ma sempre innamorato della musica.
D Alessandro Baldeschi…batterista fin dalla nascita immagino…per la gioia dei tuoi vicini di casa…
R In verità ho iniziato a suonare la batteria un po’ tardi…avevo 16 anni. Devi sapere che io sono nato a “pane e musica”: mio nonno suonava il bombardino nella banda cittadina e mio babbo era un virtuoso; suonava infatti il sassofono, il clarinetto e il flauto. La sera non avevamo ancora la televisione e la radio era il nostro passatempo; naturalmente in un ambirnte familiare del genere era facile sintonizzarsi sui canali musicali. Avevo 10 anni quando mio padre decise che dovevo frequentare l’Istituto Mascagni e imparare a suonare il violino. Ma quello strumento non faceva per me, con gran rammarico di mio padre. A 16 anni la “svolta”: un mio caro amico mi propone di iniziare a suonare la batteria di sua proprietà. Io non ho mai avuto una batteria in casa mia…andavo in Via San Luigi..quindi la gioia era tutta degli inquilini di quello stabile.
D Hai iniziato nel lontano 1965 con il gruppo Siderali suonando soprattutto nei circoli rionali riscuotendo molti consensi…bei tempi…
R Nel 1963 fui assunto alle Poste e con il mio primo stipendio mi feci un bel guardaroba alla moda, ma con il secondo comprai una bella batteria. Nacquero nel 1965 i Siderali riscuotendo da subito un bel consenso. Circoli rionali ma non solo ci davano la possibilità di esibirci e noi lo facevamo molto volentieri. Poi come spesso succedeva, le fidanzate di alcuni sciuparono tutto e il gruppo si sciolse.
D Poi nel 1967 dalle ceneri dei Siderali nascevano i Lords..che ricordi hai?
R Delle cosi dette ceneri c’ero solo io. Ma non fu difficile “mettere su il gruppo”. A quel tempo all’Attias c’era un vero e proprio “mercato del musicista”; la vicinanza del negozio Pietro Napoli faceva si che molti musicisti livornesi frequentassero la zona e così nacquero i Lords.
D Il vostro era un repertorio fatto di cover molto accattivante…
R Si faceva tutto per tutti. Nelle sale da ballo dovevamo “andare dietro alla moda “ musicale del tempo, dovevamo suonare “i balli” del momento, far ballare la gente. I proprietari di dancing ci cercavano soprattutto in estate ma non solo. Il Jolly Beach di Bibbona ci fece un contratto da giugno a settembre…tutte le sere meno il lunedì. Era duro ma gratificante. In inverno invece ci chiamavano a suonare nelle feste comandate e nelle feste private.
D Nel 1970 il geuppo si scioglie…che successe?
R Non è esatto che si sciolse: si modificò. Fidanzamenti, matrimoni, lavoro, orari fecero si che alcuni elementi abbandonassero il gruppo mentre altri li sostituivano. Le sale da ballo avevano scelto di cambiare, i dj avevano preso il posto delle orchestre ma rimanevano sempre le varie feste di partito che permisero al gruppo di lavorare fino al 1998.
D Hai avuto altri complessi o hai “attaccato le bacchette al chiodo” ?
R Dopo una breve parentesi nei Sovrani con Gigi Orlandi ho attaccato le bacchette al chiodo. Pensa non ho più neanche la batteria!
D Quali sono stati i tuoi mostri sacri, i batteristi che imitavi davanti allo specchio ?
R Sinceramente nessuno. Non avevo un modello al quale mi ispiravo.
D Gli anni ’60…anni irripetibili…la musica, la gioventù…raccontaci
R Ci vorrebbe un libro! Gli anni 60…un sogno: gioventù, belle ragazze, una vita spensierata…non mi far ricordare…
D Tutti noi abbiamo rimorsi e rimpianti che ogni tanto fanno capolino…musicalmente parlando, qual’è il tuo più grande rimpianto ?
R Uno grosso. Era il 1978 quando fui contattato dall’impresario Bentivoglio. Voleva costituire un trio: pianoforte, basso e batteria per fare musica d’ascolto durante il pranzo e la cena al Gran Hotel Hilton di Abu Dabhi che al tempo si chiamava Repubblica Araba Unita e era sul punto di esplodere turisticamente. La paga? 3 milioni e mezzo al mese quando alle Poste guadagnavo 600.000 lire. Non ci crederai ma dissi di no. Un altro rimpianto è quello di non avere studiato musica e uno strumento individuale. La batteria infatti è si uno strumento ma ha bisogno della “compagnia” di altri strumenti. A conti fatti, mio padre aveva ragione.
D Chi è oggi Alessandro Baldeschi ?
R Un pensionato ancora innamorato della musica che pagherebbe oro per tornare a sedersi dietro una batteria.
D Anna Romaldini, cantante…immagino fin dalla tenera età
R Sì anche se non ne ho mai avuto consapevolezza; fino ai 14 anni, cantavo sempre ma la mia prima arte era il disegno, e cantare era un qualcosa che facevo in automatico, senza pensare. Grazie a questo la mia voce si è evoluta naturalmente, senza aspettative
D Suoni anche qualche strumento ?
R Suono il piano da quando mi sono formata per insegnare. Da piccola ho studiato un po’ chitarra, ma sono rimasta a un livello molto basic, anche se spesso mi ha aiutato per scrivere le mie canzoni, più del pianoforte.
D Attualmente sei la vocalist del gruppo Visionarya, bel gruppo…come è nato questo ensemble ?
R Era un progetto interamente composto da Marcello Sanna, nato per essere strumentale: mi sono fatta catturare dalle sue armonie ed atmosfere ed ho quindi deciso di comporre linee melodiche e testi e sono nati i Visionarya
D La vostra musica potrebbe essere etichettata, anche se le etichette in musica sono sempre riduttive, electric music con venature rock metal…
R In effetti le sonorità attingono da molti generi e non abbiamo mai trovato un’etichetta che ci rappresentasse appieno. Abbiamo coniato il termine Fantasy Rock per le atmosfere oniriche, magiche e senza tempo che percepiamo nella nostra musica.
D Non solo sei cantante ma anche cantautrice
R Sì, cantautrice e ci tengo a dire anche compositrice perché scrivo interamente i miei brani (musica e testi) curando ogni particolare dalla scrittura fino alla scelta degli arrangiamenti. Sto in studio finchè non esce il prodotto che voglio, che deve essere interamente come ho deciso debba essere. Mi piace e voglio essere libera di scrivere in base ai miei gusti principalmente. Mi diverto tantissimo a creare gli arrangiamenti vocali delle mie canzoni e a partecipare attivamente alla fase di editing
I miei progetti inediti attivi sono Tyta Eden (house, dance, pop) Anna Romaldini (pop-rock, rock) e Visionarya (fantasy rock)
D In precedenza hai fatto parte di altri gruppi ?
R Ho avuto una band di ispirazione punk grunge durante l’adolescenza, ci chiamavamo Anemix e facevamo musica nostra ispirata principalmente a Nirvana, Green Day e alle band che ascoltavamo in quel periodo (anni ’90)
Per quanto riguarda le formazione cover ne ho avute moltissime, da una tribute con voce femminile dei Rolling Stones fino ad un quartetto lounge jazz. Mi piace molto spaziare nei generi musicali, sono molto aperta mentalmente alle commistioni e alle sperimentazioni.
D Con i Visionarya, se ben ricordo, hai partecipato ad un Sanremo Giovani…
R Era un evento in cui si esibivano diverse band italiane sul palco dell’Ariston, ma scollegato dal Festival. L’adrenalina nel mettere i piedi su quel palco è veramente indescrivibile, anche se non sei in gara. Pensai che su quel palco ci cantò Freddie Mercury nell’83 e mi sono emozionata tantissimo. Mettere i piedi sul palco dell’Ariston è un onore, è una bellissima soddisfazione.
D Progetti futuri, tuoi o con il gruppo ? Magari qualche concerto in città o dintorni?
R Vorrei continuare a scrivere musica e pubblicarla. Il live è molto cambiato e portare in giro musica originale non è semplice, sono percorsi totalmente diversi da quello che ho sempre fatto fino ad adesso, ai quali devi dedicare un certo tipo di attenzione e un certo tipo di dedizione che spesso non sono facili da sostenere se sei totalmente indipendente (soprattutto quando vuoi esserlo e non sei molto malleabile). Lavoro per diverse agenzie e in diversi progetti di musica cover che hanno per fortuna colmato la mia sete di live, che faccio per fortuna da sempre.
D Non solo cantante ma anche “vocal coach” presso MusicArte…interessante, faticoso ma anche appagante insegnare ai giovani…
R Direi non solo ai giovani perché ho allievi da 6 a 75 anni. Il canto è una passiome che moltissime persone hanno e che decidono anche da adulte di esprimere, con effetti davvero meravigliosi e a volte anche stupefacenti.
Insegnare non è semplice e devi studiare continuamente per restare aggiornata e poter sperimentare sempre tecniche e metodi nuovi ed innovativi.
D Con la musica e il canto si possono anche correggere disfunsioni…in cosa consiste il Metodo Proel di cui sei specialista ?
R Il metodo Proel, nel mio caso didattico, serve per riprogrammare la percezione del corpo e della voce nei cantanti in modo da eliminare tensioni, modificare atteggiamenti viziati, dare nuovi spunti e nuove prospettive nell’utilizzo della propria voce, dando nuovi strumenti che toccano anche l’igiene vocale, che deve essere sempre considerata per il mantenimento di una voce eufonica. È una tecnica corporea che integra la didattica tradizionale in modo veramente soddisfacente.
D Tutti noi abbiamo rimorsi e rimpianti per non essere saliti su quel treno che aspettava solo noi…musicalmente parlando, dove andava quel tuo treno ?
R Ho preso tutti i treni che potevo prendere. A volte si pensa di non aver preso i treni giusti ma poi capisci perché alcuni non sono mai arrivati e ringrazi che sia così, anzi tiri pure un respiro di sollievo.
Non ho né rimorsi né rimpianti, mi sento pienamente responsabile della mia vita e dove sono , anche se a volte non ne sono stata consapevole, l’ho deciso sempre io.
D Chi è oggi Anna Romaldini ?
R Sono una persona piuttosto centrata, in continua evoluzione e trasformazione. Mi piace quello che sono e sono orgogliosa di me. Mi impegno per raggiungere ciò che voglio con determinazione e tenacia, cercando di fare ciò che faccio per rendermi felice. Se coltiviamo il nostro mondo interiore con gioia oltre ad essere felici, possiamo essere di ispirazione anche per gli altri, dando forza ed energia a chi ne ha bisogno, nel mio caso le persone a cui voglio bene e i miei fantastici allievi di canto.
D Chiara Pellegrini, cantante. Nascere in una famiglia di musicisti cantare e suonare è stato un passaggio naturale…
R Naturale
si, ma non un passaggio ovvio; purtroppo nel nostro mondo non è una
cosa così normale per una bambina crescere circondata dalla musica e
realizzare che tutti i tuoi familiari fanno i “musicisti di
mestiere” cioè fanno di lavoro esattamente quello che amano fare,
in una società dove suonare, danzare, scrivere musica, insegnare
musica eccetera di solito è visto più come un hobby o un “talento”
da “sfruttare”.
Sicuramente
è un pregio avere una famiglia del genere, come allo stesso tempo
qualcosa di molto complesso da affrontare quotidianamente,
soprattutto da adolescente. Essere la settima discendente di cosi
tante generazioni di musicisti è un onore, una ragione in più per
trovare la forza di portare avanti la mia arte in un mondo sempre più
superficiale. Spesso mi domando come deve essere stato per i miei avi
essere musicisti durante la loro epoca; una cosa a cui penso spesso è
che gran parte di loro per esempio, erano e sono maschi, cosa che fa
sicuramente la differenza in questo mondo.
Essere donna
oltre che musicista per me è comunque un’ulteriore sfida che mi
mette alla prova costantemente e mi motiva a rinnovare la mia visione
della musica, adesso che sono mamma poi…un altro mondo ancora!
D Non solo
cantante, infatti hai studiato il corno, il flauto traverso, Canto
Lirico; consegui un diploma in Canto Moderno con Ilaria Bellucci
(scuola G. Bonamici, Pisa), studi Canto Jazz con Diana Torto
(conservatorio G.B.Martini, Bologna) e consegui un Bachelor in Canto
Jazz presso il prestigioso conservatorio Hanzehogeschool Prince Claus
Conservatory, in Olanda …mica poco…
R Sin da
piccola ho cantato e danzato; i miei giochi preferiti erano gli
strumenti musicali, i dischi e i Real Book(s) di Jazz che trovavo
nella libreria. Per me sperimentare i vari strumenti era un
divertimento, un modo per cambiare il colore ai vari tipi di voci che
immaginavo di avere; spesso per esempio giocavo ad imitare le mie
cantanti preferite: Ella Fizgerald, Billie Holiday, Rosa Passos, la
Callas, Noa, Maria João…e così imparavo le loro canzoni, i soli
di Coltrane, di Davis, la voce di Luis Armstrong. Ho scoperto dopo
che questo mio modo istintivo “of playing” nel sendo di “giocare
la musica”, è il modo più giusto attraverso cui tutti i migliori
musicisti hanno imparato e tutt’oggi imparano a suonare e cantare.
Ho sempre amato tutta la musica. Non era solo il jazz ad attirarmi,
ma anche le opere liriche appunto, la musica classica, le orchestre.
Il mio strumento preferito fra quelli che ho studiato da bambina è
stato il corno, pensa un pò…all’età di 10 anni scelsi e studiai
con dedizione per qualche tempo al Conservatorio Mascagni di Livorno.
Dovetti smettere perché mi misero l’apparecchio ai denti e mi
tagliavo le labbra ogni volta che suonavo. Piansi per qualche mese
quando mi dissero che non potevo continuare. Chissà, magari se non
avessi messo l’apparecchio ai denti oggi sarei una cornista in
qualche orchestra -con i denti storti-, invece che una cantante jazz
e polistrumentista!
D Ti sei
dedicata al jazz, genere musicale che si sposa felicemente con la tua
splendida voce, ma segui anche altri generi?
R Come
dicevo, per me la musica è una (anche se devo ammettere che ho
sempre fatto fatica ad ascoltare il metal, come oggi faccio fatica
con la trap e con certe canzoni proposte a Sanremo quest’anno per
esempio) e l’ho sempre ascoltata tutta volentieri. Ho scelto di
studiare il jazz sicuramente per la sua naturale versatilità che
prende le sue radici dall’improvvisazione che mi “innamorava”
ogni volta che mio padre e mio zio suonavano e facevano soli durante
i loro concerti, ma soprattutto perché a livello canoro è uno stile
musicale che offre una preparazione completa, lasciandoti gli
strumenti per usare la voce come meglio si vuole. Gli alti, i medi ed
i bassi con la voce dovrebbero essere studiati sempre partendo dalla
preparazione jazz – ovviamente partendo dal presupposto che si ha
un’insegnante all’altezza di tale insegnamento … – per poi
indirizzare il proprio cammino di studi in altri generi se lo si
vorrà. Un po’ come la danza classica nella danza ecco.
Da quando mi
sono trasferita in Portogallo ed appassionata a quella che
erroneamente per comodità chiamiamo “world music” per esempio,
ho scoperto che alcune canzoni, se pur di armonia semplice e con
melodie poco complesse, non sono semplici da cantare. Ci vuole sempre
una certa preparazione per poterle interpretare al meglio.
D Dopo aver
vissuto nei Paesi Bassi e nel Regno Unito, ti trasferisce a Lisbona,
in Portogallo, dove vivi, suoni ed insegni per 5 anni; qui avvii il
programma di Master/Specialistica con Maria João presso il
conservatorio Escola de Música Superior de Lisboa. Come nasce questa
“avventura”?
R Eh.
Inizialmente la scelta nacque da una semplicissima esigenza. Dopo
aver vissuto in paesi “freddi” e spesso grigi, anche se questi
offrono moltissimi stimoli – ho instaurato amicizie che dureranno
tutta la vita, per dirne una – ho sentito l’esigenza di sole, di
cibo saporito che mi ricordasse casa. Ma la “vera scelta” nasce
da un sogno che ho fatto una notte mentre ancora vivevo in Olanda:
non ho saputo cosa avessi sognato finché non vidi con i miei occhi
il luogo presente nel mio sogno. Era la Ribeira das Naus di Lisbona,
il porticciolo della marina situato proprio accanto alla storica e
bellissima Praça do Comércio.
Un giorno,
durante la mia prima visita a Lisbona, stavo camminando in giro per
la città e, passata Praça do Comércio la vidi, come nel mio sogno.
Capii che era un segno, la conferma che ero sulla giusta via, la
giusta direzione che la mia vita doveva prendere in quel momento. Mi
trasferii subito.
Successivamente
cominciai il percorso di Master in canto jazz con Maria João – per
me un idolo dell’improvvisazione vocale degli anni ‘80/’90 –
che però interruppi subito perché mi resi conto che non era quello
che volevo in quel momento; volevo sperimentare, scoprire, imparare
da ciò che trovavo in strada e non in un conservatorio. E così ho
fatto per tutti i fantastici 5 anni durante i quali ho vissuto a
Lisbona.
D Ti sei
esibita come solista anche se ultimamente accompagni alcuni musicisti
come Andrea Musio o un certo Andrea Pellegrini…
R Si! Ed è
stato e lo è tutt’oggi meraviglioso! Ahahaha
Non mi
fraintendere…suonare fianco a fianco con musicisti di livello come
loro è sempre un’onore e una bellissima esperienza in più da
raccontare, soprattutto suonare con mio padre con il quale sul palco
ho un rapporto unico …
Ma per una
cantante jazz esibirsi da sola è una cosa molto nuova; spesso si è
in trio o quartetto o addirittura in band molto più grandi. Il che è
bellissimo e ti fa sentire una vera leader intendiamoci… sopratutto
quando si canta in big band!
Ma solo
qualche mese dopo essere arrivata a Lisbona ho capito che volevo di
più: volevo scoprire cosa fossi io quando suonavo senza gli altri. E
l’ho fatto. Ho preso la chitarra ed ho cominciato a suonare.
D Perchè
l’esigenza di creare Kaira Mayra ?
R Perché
Kaíra Màyra è Chiara Pellegrini senza le parole “cantante jazz”
accanto e perché avendo vissuto così tante esperienze durante gli
anni in Olanda e a Londra avevo bisogno di mettere un vestito nuovo e
raccontarmi attraverso una nuova musica.
D Interessante anche il trio tutto al femminile Faya…
R Si, Faya è
nato a Lisbona e sin dai primissimi mesi è diventato un gruppo
forte, composto da donne forti, musiciste scalpitanti.
Per me è
stata anche un’ottima scusa per approfondire lo strumento della
chitarra – che non ho mai studiato, ma solo investigato come
autodidatta, cosa che non mi basta più, infatti non vedo l’ora di
avere il tempo di studiarla per bene! – che ho suonato anche in forma
di percussione. Questa band è stata una splendida partenza;
un’esperienza che mi ha regalato anche un bel primo premio a
Berlino nel Creole Global Music Contest nel 2019 e che mi ha segnata
sotto molti aspetti, sia a livello lavorativo, che musicale e
personale. Adesso la band è ferma.
D Dal 2009
ad oggi ti sei esibita in Germania, Olanda, Portogallo, Regno Unito,
Italia, Polonia, Francia, collaborando con artisti di fama
internazionale come The Trammps, Joris Teepe, Maestro Pellegrini, Guy
Mintus, Vittorio Silvestri, Carlos Mil Homens, Andrea Pellegrini,
Gonçalo Sousa, Olmo Marin, Nino Pellegrini, Nicolás Farruggia,
Giacomo Riggi, Toms Mikals, Esat Ekincioglu, Ziv Taubenfeld, Andrea
Caruso, Kristina Schäfer, Elena La Conte, Andrea Musio. Dal 2006 al
2016 partecipi a Masterclass con grandi nomi come Roger Treece;
Deborah Brown; Andam Nussbaum; Wess Anderson; Lewis Nash; Don Braden;
Kurt Weiss; Michael Moore; Steve Altenberg; Freddie Bryant; David
Berkman; Gene Jackson; JD Walter; Guinga; Gretchen Parlato; Deborah
Davis; Sheila Jordan; Elisabetta Antonini; Marco Bartalini; Anita
Wardell; Rosario Giuliani; CharisIoannou; Danilo Perez; Gwendolyn
Sampè – Prince Claus Conservatorie (NL)/ Saint Louis College Of
Music (IT)/ Teatro C (IT); Managment Artistico-Creativo con Teresa
Mariano…una gran bella soddisfazione…
R Eppure
penso sempre di non aver fatto abbastanza! Ahahah
Quando giri
il mondo e conosci così tanti maestri e colleghi, capisci che non si
finisce mai di imparare e che la musica ed il mondo dei musicisti è
come un quadro che puoi interpretare e ri-interpretare fino
all’infinito senza mai stancarti di farlo.
É un onore
per me aver conosciuto e collaborato con tutte queste persone.. e
chissà quante altre ne conoscerò!
D Progetti
futuri ? Qualche incisione ? Concerti magari in città?
R Fortunatamente
molti!
Nonostante
il terribile periodo che tutti noi abbiano vissuto e passato –
speriamo – a causa del COVID 19, nell’ultimo anno e mezzo, insieme
al mio compagno Andrea Musio – chitarrista, oboista, cantautore –
abbiamo anche cambiato paese rientrando in Italia, paese nel quale
non vivevamo rispettivamente da 12 anni… e come se non bastasse,
siamo ritornati in 3! Ho dato alla luce la nostra splendida Ginevra
Naira che ovviamente a un anno canticchia e tiene il tempo con il
piedino come sua madre…(chissà se sarà a portare avanti l’ottava
generazione di musicisti!?)
Siamo una
squadra vincente e siamo riusciti a ripartire nonostante le
difficoltà immense del periodo storico, del pochissimo sostegno che
molti degli stati europei – Italia e Portogallo sicuramente fra i
peggiori – hanno dato ai lavoratori del nostro settore.
Non solo
siamo riusciti a ripartire, ma insieme abbiamo dato vita ad un nuovo
progetto che si chiama Luarte Project con il quale proponiamo un
repertorio di World Fusion e canzone d’autore fra cover e originali
nostri, nel quale sia Andrea che io cantiamo, suoniamo la chitarra e
le percussioni.
Quest’estate
suoneremo molto, per la maggior parte in Toscana, con qualche data
nel Salento e nelle Langhe.
In questo
progetto per me il challenge è investigare il mio lato di
percussionista, oltre al lato di compositrice. Mi diverto moltissimo
perché suono spesso il cajon e piccole percussioni come la kayamba,
chakers ed altri, e perché al mio fianco c’è il mio compagno che
è un musicista pazzesco, oltre che autore di canzoni bellissime.
Abbiamo
anche in progetto di pubblicare il nostro primo EP quest’estate…
insomma… tante cose belle!
D Tutti noi
abbiamo un rimorso, un rimpianto che ogni tanto fa capolino per non
essere saliti su quel treno che aspettava solo noi…musicalmente
parlando, dove andava il tuo e perchè non sei salita ?
R No, io di
treni ne ho presi anche troppi…aerei soprattutto!
Scherzi a
parte, non ho di questi rimorsi fortunatamente… confido nel futuro
che mi proporrà ancora tante cose, e se nel passato ne ho persa
qualcuna ed era quella giusta, credo che me la riproporrà e si
avvererà se si deve avverare il sogno.
Ho viaggiato
molto ed incontrato persone incredibili, ho fatto una famiglia con un
musicista che da priorità alla stesse cose in cui credo io, sono
madre di una bimba splendida e figlia di genitori grandiosi che
credono in me e sostengono quel che faccio e che sono oggi.
Sicuramente
ho il rammarico di non aver avuto la dedizione da adolescente di
studiare seriamente tutti gli strumenti che avrei voluto studiare…
volevo addirittura diventare direttore d’orchestra! Ma l’esperienza
che ho oggi mi insegna che a fare quel che si vuole davvero fare c’è
sempre tempo: comincerò a prendere lezioni di chitarra e
percussioni, continuerò a scrivere quando ho qualcosa da dire e
chissà, forse porterò a termine il biennio per poi un giorno poter
insegnare nei conservatori tutto quello che so.
D Chi è
oggi Chiara Pellegrini ?
R Chiara Pellegrini è una musicista e compositrice scalpitante, un insegnante dedicata, una donna, un’amica, una figlia ed una madre che sarà sempre quello che è nata per essere.
D Valerio Casini, innamorato della chitarra fin dalla tenera età immagino…
R Ciao, bentrovato. Con la
chitarra ho cominciato a 13 anni circa, quando chiesi a mia zia di
prestarmi la sua chitarra classica per provare a suonarci canzoni
punk. Di tanto in tanto chiedevo dritte a mia cugina che è una
chitarrista professionista. C’è sempre stato un buon feeling tra me
e la chitarra. Ho anche altri strumenti con i quali mi diverto ma
quando devo scrivere prendo la chitarra.
D Attualmente fai parte del gruppo
Portulaca, ottima band, ottimi musicisti…come nasce questa unione?
R Nasce dal bisogno di fare quello che ci piace, e di farlo con chi è sulla stessa lunghezza d’onda. Meno testa e più cuore. Ho scoperto che rende più felici davvero.
D Prima hai militato nei Bad Love
Experience, altra ottima band…esperienza finita o percorso
parallelo ?
R Esperienza finita. Abbiamo condiviso quasi 20 anni di giornate, dischi, tour e tante esperienze. Troppe divergenze sul finire per poter continuare a stare insieme. Ho dei bellissimi ricordi e sono contento di tutto quello che abbiamo fatto, voglio e verrò sempre bene a quel periodo della mia vita ed agli amici che lo hanno vissuto con me.
D Tornando ai Portulaca sta uscendo il
vostro nuovo lavoro “Per il dolore, per la felicità”, mixato al
Jambona Studio di Livorno…soddisfatto?
R Si molto. E’ stato un lungo
lavoro, anche a causa della pandemia che interrompeva il ritmo. Ma lo
è stato anche perchè ci siamo presi tutto il tempo di fare le cose
con i nostri tempi e secondo il nostro gusto. Abbiamo registrato al
Banana Studio con Valerio Fantozzi, amico di vecchia data e ottimo
tecnico audio. Dopodichè lo abbiamo mixato al Jambona Lab da Antonio
Castiello e Aldo De Sanctis con i quali c’è stato feeling immediato
sulla direzione che doveva prendere.
D Se non sbaglio è interamente
autoprodotto…
R Si lo abbiamo prodotto noi
come Inner Animal Recordings, collettivo di artisti livornesi.
D Geniale l’idea di stampare 100 copie
in vinile con 10 copertine diverse…
R Grazie. Lo dobbiamo anche a
tutti quegli artisti che si sono fatti coinvolgere con entusiasmo.
Vedere con gli occhi quello
che un artista vede nella tua canzone è coinvolgente, è collaborare
su un piano di scambio emozionale e di soggettività diverse.
Proveremo a organizzare un
evento/mostra per presentare il connubio musica / pittura non appena
avremo in mano i vinili.
D In questo lavoro c’è un ritorno alle
radici, una ricerca della musica popolare…è il tuo genere o magari
preferiresti sperimentare altro ?
R La musica mi piace quasi
tutta. La mia casa però sono la musica country, quella folk e il
rock’n’roll degli anni 50. Più che sperimentare generi a me piace
collaborare e mi piace farlo con le persone con cui sento un feeling.
Dalla collaborazione nasce sempre qualcosa di altro rispetto a me
soltanto.
D Progetti futuri, qualche concerto a
breve magari in città?
R Per l’estate no, molti della
band sono sotto lavori che con la stagione raddoppiano. Da settembre
vediamo di mettere in moto qualcosa, sicuramente una prima a Livorno
si farà.
D Quali sono i tuoi mostri sacri, i
chitarristi che imitavi davanti allo specchio?
R Billie Joe Armstrong dei
Green Day da adolescente, dopo Pete Townshend, Steve Marriott, John
Lennon, Joe Strummer, Mick Jones, Bob Dylan, Eddie Cochran.
D Tutti noi abbiamo un rimpianto che
ogni tanto “salta fuori”…quale è, musicalmente parlando il
tuo?
R Non essere riuscito a vivere solo
nella musica. Il mondo musicale che amo, con cui sono cresciuto, di
cui ho letto, mi sono appassionato e che mi ha formato non esiste
più. Non parlo solo di genere ma di circuito. Odio questi discorsi
da vecchio nostalgico che non sono ma oggi, parlando su un piano di
realtà, è davvero difficile se non impossibile vivere grazie a una
band, un negozio di dischi, un’etichetta. Essere immersi nella
musica. Oggi abbiamo Spotify e Netflix.
D Chi è oggi Valerio Casini ?
R Sono un sognatore che si
confronta con la realtà ma non smette di sognare.
Ho bisogno di una meta, di
relazioni autentiche e di musica.
D Stefano Onorati, pianista immagino fin da bambino.
R Ho cominciato a suonare il piano
appena sono diventato abbastanza alto da arrivarci – fino a quel
momento suonavo l’organo Bontempi
D Ovviamente hai fatto studi
classici…
R Si ho studiato classica con diversi
insegnanti nel tempo e in maniera non continuativa, ma nonostante
fossi già avviato alla carriera jazzistica, mi sono diplomato
D Suoni jazz professionalmente dal
1993, anno in cui inizia la tua collaborazione con il sassofonista
Gianni Basso…
R Si. Ho incontrato Gianni nel 1993 a
Livorno e per me fu il primo concerto da professionista. Gianni
conosceva veramente un’infinità di brani a memoria e rimase
colpito dal fatto che giravo con un foglio con una lunga di lista di
titoli che sapevo a memoria. Con me si divertiva a suonare
soprattutto in duo dal momento che poteva suonare brani che spesso
altri non conoscevano.
D E prima che hai fatto ?
R Fino al 1992 sono stato studente di
Siena Jazz, è passato molto tempo, adesso sono 10 anni che ci
insegno. Avevo un po’ di situazioni musicali con amici e coetanei che
come me volevano imparare a suonare al meglio.
D Stefano Onorati Quartet, Three Lower Colours, Reunion Big Band, Vertere String Quartet, MilleNovecento, Big Band di Barga jazz, queste le tue band, e credo di averne omesse alcune, da tutte hai ricevuto e dato…
R Posso dire genericamente che da tutte
le situazioni a nome mio o gruppi in cui sono stato co-fondatore, ho
ricevuto tantissimo, esperienza, maturità, crescita. I gruppi si
costruiscono principalmente perché sai che con certi musicisti oltre
al lato musicale, c’è tutto un lato umano da esplorare e che
ovviamente non è isolato poi da ciò che succede. Vorrei menzionare
anche il mio trio con Senni e Paoli e aggiungere il nuovo quartetto
la cui paternità condivido con Fulvio Sigurtà che si chiama
Singularity (insieme a Gabriele Evangelista al contrabbasso e
Alessandro Paternesi alla batteria).
D Hai suonato in tutta Italia e Turchia, Svizzera, Germania, Olanda, Francia, Slovenia, Inghilterra…cosa ti è rimasto di queste splendide “avventure” ?
R Suonare all’estero è sempre molto
eccitante perché i musicisti italiani sono sempre benvoluti dal
pubblico straniero. E’ emozionante pensarci e quindi è come se
fosse una sfida ulteriore a dare il massimo possibile.
D Non contento insegni al Conservatorio
di Rovigo dal 2007 e al Siena Jazz University dal 2012…
R Al conservatorio di Rovigo sono come
se fossi a casa. Insegno là da 15 anni ormai e da 7 sono capo
dipartimento, il che vuol dire un sacco di impegno in più per
l’organizzazione e anche per la produzione visto che mi occupo
anche di organizzare due Festival e il Premio Tamburini.
D Ovviamente il jazz è nel tuo DNA, ma
trovi il piacere ad ascoltare altri generi ?
R Assolutamente si, ma non mi limito ad
ascoltarli. Mi piace sempre di più la sperimentazione elettronica,
passo molto tempo in studio a sperimentare e creare cose. Sto
lavorando ad un album ambient e collaboro con diverse situazioni di
musica elettronica ad alto livello. Mi sto occupando anche della
produzione di un disco di rock progressivo, mi ritengo un musicista
con una mentalità molto aperta e una visione a 360 gradi. Anche con
i miei studenti mi diverto ad andare oltre ai generi e alle
classificazioni.
D Quali sono i tuoi mostri sacri, i
pianisti che ti hanno fatto innamorare dello strumento?
R Innanzitutto i miei mostri sacri non sono soltanto pianisti. Quando a tre anni ho cominciato a mettere le mani su un piano vero, passavo molte ore ad ascoltare mio padre che è sempre stato un “Gershwin” dipendente, perciò già da quell’età ho cominciato ad imitarlo e a cercare di riprodurre quei brani. Durante l’adolescenza invece sono stato affascinato dal periodo fusion, soprattutto Chick Corea e i Weather Report per poi passare allo studio e all’ascolto di due pianisti che hanno avuto una grossa influenza su di me e cioè Bill Evans e Keith Jarrett. Il mio mostro sacro totale e assoluto è e resterà sempre Bach. Ovviamente ci sono altri artisti che sono stati fondamentali per la mia crescita, Miles Davis, Wayne Shorter, Kenny Wheeler, John Taylor. Attualmente non posso essere indifferente alla grandezza di pianisti come Brad Mehldau e Fred Hersch.
D Tutti noi abbiamo un rimpianto che a
volte torna prepotente…non essere saliti su quel treno che
aspettava solo noi ci fa ancora arrabbiare…dove andava quel tuo
treno?
R Come tutti ho perso diversi treni per
vari motivi, ma non ho rimpianti perché il mio principale scopo è
cercare di essere me stesso. Magari alcuni treni mi avrebbero portato
più lontano di dove sono adesso, ma forse ancora più lontano da me
stesso, perciò, pensandoci bene, forse sono contento così.
D Chi è oggi Stefano Onorati ?
R Posso dirti chi sono oggi, ma domani
vorrei magari essere altro. Non voglio stare fermo, voglio andare
avanti e riuscire ad evolvermi ancora. Guardandomi indietro (anche
per colpa della mia età) vedo che di cose ne ho fatte tantissime e
sono contento di averle fatte e che molte di queste hanno decisamente
contribuito a farmi diventare quello che sono adesso. Sicuramente
sento di avere ancora molto da dire e da fare e quindi lo Stefano di
oggi è proiettato verso i nuovi progetti ed altri che arriveranno e
che ancora non conosco…..
D Matteo Tripodi, violista…come e quando nasce in te l’amore per questo strumento?
R L’amore per la viola
nacque quando avevo 13 anni. Durante la seconda media conobbi la
violista Simona Ciardini, che era venuta alla scuola media “G.
Borsi” per fare una supplenza all’allora professoressa di violino
Rita Bacchelli. Alla fine dell’anno scolastico entrambe mi
consigliarono di entrare nella classe di viola dell’Istituto “P.
Mascagni”. Da lì il mio amore per questo strumento esplose grazie
agl’insegnamenti di colui che fu il mio primo maestro di viola,
Riccardo Masi.
D Naturalmente hai fatto
studi classici…
R Il mio percorso di studi
è iniziato nell’ottobre del 2007 e si è concluso nell’ottobre
del 2020. Fino all’ottobre del 2015 ho frequentato l’Istituto “P.
Mascagni”, studiando prima con Riccardo Masi e poi Dorotea Vismara;
dal novembre dello stesso anno fino al giugno del 2017 ho frequentato
il Conservatorio “Cherubini” di Firenze, dove sotto la guida di
Augusto Vismara ho conseguito il diploma di vecchio ordinamento con
voto 10. Dall’ottobre del 2017 mi sono iscritto al biennio di
specializzazione in viola all’Istituto “P. Mascagni”, dove ho
studiato prima con Stefano Trevisan e poi con Agostino Mattioni;
nell’ottobre del 2020 ho conseguito la laurea di II livello con
votazione 110 e Lode.
D Attualmente fai parte
dell’Ensemble Bacchelli, un’Associazione Musicale che ha lo scopo di
promuovere lo studio, l’approfondimento, la pratica della musica
…bella esperienza…raccontaci…
R L’”Ensemble
Bacchelli” è nato nel 2005 come gruppo d’archi formato da Rita
Bacchelli ed alcuni suoi ex allievi della scuola media. Il mio
viaggio con l’”Ensemble Bacchelli” è iniziato nell’estate
del 2007, e continua tutt’oggi, dove negli ultimi anni sto
ricoprendo il ruolo di prima viola e solista. L’Associazione come
tale è nata nel 2008, mentre i corsi sono attivi da una decina di
anni. Questi corsi sono chiamati LEB (laboratori dell’Ensemble
Bacchelli”) e prevedono sia corsi singoli di strumento sia vari
gruppi: l’orchestra Junior (che prevede allievi fino ai 12 anni),
l’orchestra Young (con allievi dai 13 anni in su) e il coro. Queste
realtà si esibiscono sia da sole sia insieme all’orchestra
principale.
D La viola è impiegata
principalmente nella musica classica, sia come strumento solistico
(anche se è meno comune in questo ruolo rispetto ad altri strumenti
della sua famiglia, come il violino o il violoncello), sia in
orchestra, nel quartetto d’archi e in svariate formazioni
cameristiche…immagino che sia questo il tuo genere preferito.
R Sì, in effetti questo è
il mio genere preferito e amo moltissimo suonare la musica da camera,
anche se il mio sogno nella vita è quello di riuscire ad entrare in
un’orchestra sinfonica stabile.
D La viola ha un ruolo
significativo nella musica tradizionale di alcuni paesi europei, in
particolare nella cultura ungherese e rumena, mentre si tratta di uno
strumento non comune nella musica leggera, nel rock o nel jazz,
mentre altri strumenti, tradizionalmente “classici” come il sax e
il violino trovano impiego in questi generi…come te lo spieghi?
R La predilezione per
certi strumenti si può riscontrare per vari motivi: acustici, di
timbro e anche per la cultura di appartenenza dei gruppi che scelgono
di utilizzarli. Uno strumento che può essere riconosciuto facilmente
all’orecchio ha più possibilità di essere utilizzato. Per
esempio, la viola è stata utilizzata meno degli altri archi come
solista perché a livello di ottava si trova in una posizione mediana
tra il violino che è il soprano e il violoncello che è il tenore.
Invece, le viole tradizionali dell’est sono utilizzate
principalmente per accompagnare, infatti, a differenza degli
strumenti ad arco occidentali hanno il ponticello sprovvisto di
curva.
D Durante la giornata non
c’è mai posto per un po’ di rock’n’roll?
R Per quanto il mio genere
preferito sia la musica classica (che in realtà si chiama musica
colta occidentale), io ascolto tantissimo anche gli altri generi
musicali: alcuni tra i miei gruppi preferiti ci sono i The Beatles, i
Metallica, Skillet. In più amo tantissimo le canzoni dei classici
Disney.
D Quali sono stati i tuoi
punti di riferimento, i violisti che ti hanno lasciato “a bocca
aperta”?
R I miei violisti
preferiti sono: William Primrose, Paul Hindemith, Yuri Bashmet, Tabea
Zimmermann e Amihai Grosz. In particolare, Primrose è stato colui
che nella prima metà del ’900 ha ridato dignità alla viola come
strumento solista, che era stata accantonata dai compositori del
periodo romantico.
D Immagino che tu abbia
suonato in molti teatri e in scenari stupendi…quali ricordi in
maniera particolare?
R Alcuni dei luoghi in cui
mi sono esibito sono ovviamente il teatro Goldoni con l’orchestra
del teatro e dell’Istituto “Mascagni”, il teatro del Maggio
musicale fiorentino e il teatro Verdi di Firenze dove ho suonato con
l’orchestra del conservatorio Cherubini, il teatro Verdi di Pisa
dove ho suonato con l’orchestra Archè. Altri posti meravigliosi
dove ho suonato si trovano in Spagna, dove mi sono esibito in
quartetto d’archi e quintetto con la chitarra per uno scambio
culturale organizzato dal Rotary club. Tra i vari luoghi dove abbiamo
suonato ci sono il Conservatorio Reale di Madrid e quello di Vigo.
D Tutti noi abbiamo un
rimpianto che ogni tanto riemerge, anche se sei molto giovane,
musicalmente parlando, qual è il tuo?
R Sinceramente, sono
soddisfattissimo del mio percorso di studi musicali e del percorso
artistico che sto affrontando, rifarei ogni scelta intrapresa fino ad
oggi. Al massimo un giorno mi piacerebbe conseguire anche una laurea
in violino, ma sarebbe più un capriccio personale che un rimpianto
nato dopo il passaggio alla viola.
D Chi è oggi Matteo
Tripodi?
R A livello professionale oggi sono uno
strumentista che suona in varie orchestre della Toscana e
un’insegnante di violino in alcune scuole private di Livorno e
Pisa; a livello umano sono un bambino troppo cresciuto che cerca di
divertirsi, di divertire ed emozionare le persone grazie al lavoro
più bello che possa esistere.
D Maria Cristina Pantaleone, clarinettista, chitarrista ma anche cantante…nasce prima la musicista o la cantante ?
R. Ho iniziato come musicista, a 9
anni suonavo il clarinetto nella Filarmonica P.Mascagni di Venturina,
in seguito ho suonato il basso elettrico sempre in Filarmonica. A 19
anni ho cominciato lo studio della chitarra moderna per poi passare
alla classica. Contemporaneamente ho cominciato a cantare
accompagnandomi con la chitarra.
D Hai iniziato nelle varie bande della
tua zona ma hai fatto anche studi classici come l’Accademia di Santa
Cecilia e l’Istituto Mascagni…
R. Ho studiato la chitarra classica
in una scuola di musica piombinese, quella di Viviana Tacchella, e ho
dato gli esami presso i conservatori citati da privatista.
D Hai collaborato con il gruppo
Passiflora con cui partecipi ad un programma su Rai3, con i Lucky
Strike hai inciso il CD “Corri nel vento”, con il gruppo Stile
Libero hai partecipato al Pistoia Blues Festival 1996, alla rassegna
Musica dei Popoli, al programma “Fiore di Pietra” su Rai2, e a
Sanremo 1997 con gli O.R.O…mamma mia…soddisfatta immagino…
R. Assolutamente, mi ritengo fortunata
per aver fatto tutte queste esperienze, hanno contribuito alla mia
formazione come musicista e come insegnante oltre ad aver tenuta viva
la voglia di imparare e di mettere sempre in discussione e migliorare
la mia capacità professionale.
D Poi mica ti sei fermata…hai
partecipato al progetto “Porgy and Bess” presentato al Teatro
Verdi di Firenze, hai collaborato con Nick Becattini & Serious
Fun, con Alessio Colombini, Matteo Becucci e moltissimi altri…in
pratica non ti sei fermata un attimo…
R. Si, ho avuto la possibilità di
cantare in progetti musicali di grande valore con dei musicisti di
vaglia, sono riuscita anche a mettere su famiglia, ho avuto due figli
e grazie a un marito presente e collaborativo sono riuscita a portare
avanti tutti i progetti di cui ho fatto parte.
D E infine di sei messa ad insegnare
canto presso la scuola comunale di musica CFDMA di Castagneto
C.cci…cosa manca adesso ?
R. La scuola di Castagneto è
l’ultima di una serie, ho insegnato presso l’Accademia Musicale di
Firenze, il CMM di Grosseto, la scuola di musica legata ai Jubilee
Shouters, la Sarabanda di Cecina.
Ora insegno al CFDMA, ho limitato la
mia attività come insegnante per via di una cardiopatia congenita
che è migliorata dopo una operazione importante ma che devo tenere
di conto per la mia attività presente. Ho ricominciato a studiare
canto lirico con la M.stra Silvia Pantani e continuo a coltivare la
passione per la chitarra classica e il flauto da autodidatta.
D Maria Cristina, quali sono stati i
tuoi mostri sacri, le tue icòne ?
R. Da giovane ho avuto un grande
amore per il progressive classico e per i cantautori italiani poi ho
incontrato il jazz, ho perso la testa per Sarah Vaughan, in seguito
per Nina Simone, Betty Carter, Carmen McRae e per diversi musicisti,
Coltrane, Jarret, Bill Evans, Ellington ecc.ecc…
D Immagino che la lirica e la classica
siano nel tuo DNA, ma ascolti anche generi diversi…
R. Sono innamorata della musica
elettronica fin da ragazzina, ascoltavo i Kraftewerk ,poi quella
degli anni 90 Massive, Portishead, Archive. Anche quella attuale,
James Blake, Aphex Twins ecc.
Non sono una profonda conoscitrice ma
di sicuro sono una estimatrice della elettronica ben fatta.
D Hai fatto un’ottima carriera e il
meglio deve ancora venire…immagino che tu sia stata
determinatissima nell’inseguire il tuo sogno…nei ragazzi di oggi
trovi la stessa tenacia?
R. Non so se si può paragonare la
definizione di tenacia dei i miei tempi a quella odierna. Prima si
raggiungevano degli obbiettivi con il tempo necessario , i mezzi a
disposizione erano limitati, le scuole di musica erano poche e se
volevi formarti dovevi passare per forza dall’esperienza sul campo
che per fortuna era possibile, c’erano molti locali che programmavano
musica live. Tra gli anni 80 e i 90 sono sorte le scuole di musica a
indirizzo pop rock e jazz e molti di noi hanno potuto mettere a
frutto le proprie esperienze a scopo formativo.
Ora l’offerta formativa è ampia, passa
dal web alle scuole di musica sempre più presenti anche nei centri
urbani più piccoli, l’accesso alle informazioni più aggiornate in
campo musicale sono alla portata di tutti grazie a internet, la
tenacia forse sta nell’accettare una volta di più la precarietà di
questo mestiere e nell’avere un piano B nel caso le cose non
andassero nella maniera voluta.
D Tutti noi abbiamo un rimpianto che
ogni tanto fa capolino…non essere saliti su quel treno che
aspettava solo noi a volte ci lascia svegli la notte…dove andava il
tuo treno ?
R. A questo punto della vita credo di
aver fatto il migliore percorso che potevo, o quantomeno il piu
giusto per quella che ero e che sono. La musica mi ha aiutato a
vivere, qualche volta a sopravvivere, ho imparato molto su di me
attraverso l’espressione musicale, specialmente dal canto, che rimane
per me uno strumento speciale perchè profondamente rivelatore e che
mi ha permesso di esprimere qualcosa che è parte di me ma anche
parte di tutti.
D Chi è oggi Maria Cristina Pantaleone
?
R. Una persona che ha la fortuna di continuare ad avere voglia di imparare.
D Cesare Carugi, cantautore e chitarrista…giusta la sequenza ?
R Perfetta
D Ci conosciamo da molti anni e posso
senza dubbio dire che hai scritto delle belle canzoni…dove e come
nasce questa tua “passione” ?
R Non saprei dirlo neanche io
probabilmente. La musica è sempre stata una parte essenziale di me
sin da quando ero piccolo, allo stesso modo la curiosità e la
creatività hanno fatto il resto. Essere legato a certi tipi di
musica mi ha indirizzato verso un certo stile che però non ho mai
voluto fossilizzare. Ho sempre cercato di evolvermi in tal senso. E’
di grande aiuto anche avere una fervida immaginazione.
D West Coast, Country Music ma anche i
grandi rocker, tipo Springsteen o Tom Petty…cosa ti ha più
influenzato?
R Tutto va a periodi della mia vita,
ho avuto il periodo country, il mio periodo West e il mio periodo
East, ma ho avuto anche un periodo in cui ero estremamente attratto
da Jeff Buckley, o dai Radiohead, o da Nick Cave. L’influenza che
ha la musica verso di me è più ampia di quanto si pensi, ed è in
continua evoluzione, probabilmente nell’ultimo anno due dei dischi
che ho ascoltato di più sono “The Black Saint and the Sinner Lady”
di Charles Mingus e “Night and Day” di Joe Jackson, per dire di
qualcosa che sfonda quello che potrebbe essere individuato come un
mio spettro sonoro.
D Nel 2010 pubblichi un EP di 6 brani
“Open 24 Hrs”, “Here’s To The Road” l’anno
seguente (con le partecipazioni di Michael McDermott, Riccardo
Maffoni, Daniele Tenca e tanti altri amici musicisti), per arrivare
al tuo ultimo lavoro “Pontchartrain” del 2013 (quello che
mi piace di più ndr) e Crooner Freak nel 2016 soddisfatto ?
R Sono soddisfatto del tipo di
evoluzione che ho fatto, il che non significa che sia totalmente
soddisfatto dei dischi. E’ una patologia dei musicisti, quella di
essere incontentabili, o di trovare difetti in un disco passato una
volta che sono concentrati sul disco seguente.
D E dopo ti sei fermato? Hai
attaccato penna e chitarra al chiodo?
R Non l’ho appese al chiodo ma
hanno senz’altro preso più polvere rispetto al passato. Il lavoro
(che per fortuna è comunque nel mondo della musica) mi ha tolto un
po’ di pianificazione sulla mia passione. Non ho rimpianti su
questo, non ho mai avuto l’ambizione di fare chissà cosa con la
mia musica.
D So che hai intrapreso un nuovo e
interessantissimo percorso musicale con Bagana
– B District Music una nuova label che da voce artisti emergenti
della nostra penisola che ti assorbe completamente…
R L’inizio del mio lavoro in
Bagana è purtroppo coinciso con l’arrivo della pandemia, e mi ha
permesso – prima delle chiusure – di lavorare a pieno regime solo
per pochissimi mesi. Col tempo – visto che col booking eravamo
fermi – abbiamo deciso di mettere su anche un’etichetta per artisti
emergenti, in cui cerco di dare una mano per quello che posso.
D Chi sono stati i tuoi mostri sacri,
i cantanti e musicisti che ti hanno indicato la via?
R Ce n’è uno in ogni angolo della
mia esistenza, posso dire. A parte i già citati sopra, Miles Davis,
Bob Dylan, Tom Waits, Paul Westerberg, Neil Young, Frank Sinatra,
Paolo Conte, Jacques Brel, John Lee Hooker, Thelonius Monk, gli
Stones, Robert Wyatt, David Crosby, Coltrane, ma anche i Wilco, Ray
Lamontagne, gli Afghan Whigs o quella splendida band che sono i My
Bloody Valentine…
D Progetti futuri ? Magari “butti giù
una manciata di canzoni” per un nuovo cd ?
R Un disco nuovo sarebbe già in
programma, ma al momento mi manca lo stimolo artistico che mi spinge
in studio a registrare. E’ una cosa forse troppo personale per
essere compresa, ma voglio prendermi tutto il tempo necessario senza
fare le cose per forza.
D Tutti noi abbiamo un rimpianto che
ogni tanto fa capolino nella nostra mente che ci ricorda che dovevamo
salire su quel treno che ci stava aspettando…musicalmente parlando,
dove andava il tuo ?
R Non ci crederai, ma se non sono
salito su qualche treno a volte l’ho fatto volontariamente. E tra
l’altro sto supponendo perché manco me lo ricordo.
D Chi è oggi Cesare Carugi?
R Uno che è riuscito a massimizzare
dalla sua passione principale e che è riuscito a guadagnarsi il
giusto rispetto per quello che faccio (cosa a volte più gratificante
dei soldi). Ed è sempre un gran cazzone, come vent’anni fa.
D Ultimissima domanda…te cecinese
purosangue, mezzo labronico, amante del mare…che ci fai a Ferrara ?
R Il mio è stato un trasferimento
in gran parte per motivi di organizzazioni lavorative, ma anche
dovuto a una situazione che sentivo strettissima. Non sono mai stato
un profeta in patria, ne ho mai cercato di diventarlo. E non sono un
amante del mare, per essere chiari. Anzi, non credo passerei oltre
mezz’ora su una spiaggia prima di annoiarmi di brutto. Sono uscito
strano.
D Alberto Bientinesi, bassista. Chitarrista pentito o innamorato da sempre dello strumento ?
R Il mio approccio con la musica è
stato come avido ascoltatore di dischi jazz, poi ho sentito
l’esigenza di iniziare a suonare un strumento… qualsiasi. Alla fine
ho ridotto la scelta a tre strumenti : sassofono, contrabbasso e
batteria e ho scelto il contrabbasso. Dopo pochi anni ho realizzato
che il basso elettrico aveva potenziale artistico in via di sviluppo
(stiamo parlando del 1980) e mi sono concentrato su quello, ma va
detto che ho sempre giocato con il pianoforte di casa che mi è
servito in seguito per comporre.
D Hai fatto studi classici o sei
autididatta ?
Ho studiato tecnica del basso elettrico
per un anno con Ares Tavola zi e 3 anni teoria, analisi musicale e
composizione con Mauro Grossi, più alcuni seminari (Siena Jazz, CPM
Milano, Umbria Jazz…)
D Attualmente fai parte del gruppo
Ultrasoda, ottimo sound, ottimi musicisti…come nasce questa band ?
R Alla domanda come nasce la band Ultrasoda la risposta è come sono nati tutti i miei progetti: ho chiamato i musicisti per un progetto mio e gli ho sottoposto i brani già scritti in precedenza, poi una volta cominciati i concerti ne ho scrittodi nuovi, pensati per i musicisti stessi. Il repertorio è sempre approvato da tutti e c’è spazio per brani scritti da loro, ma fino a oggi è avvenuto raramente che un membro del gruppo proponesse pezzi propri. Ho sempre messo l’entusiasmo di tutti i componenti al primo posto per portare avanti i progetti . Ho sempre avuto gruppi musicali in cui ero il leader, anche prima di sapere il nome delle note sul basso! Ultrasoda è solo l’attuale formazione con la quale cerco di raccontare me stesso dialogando con gli altri componenti. Gli ottimi musicisti che si avvicendano nel gruppo hanno un ruolo fondamentale per l’identità del progetto. Personalmente sento che il mio strumento più che il basso è la band stessa. Con loro suono pezzi miei vecchi e nuovi che ogni volta assumono nuovi significati.
D In precedenza hai fatto parte di
altre band ?
R Naturalmente ho avuto altre band in
cui ero il leader (si può consultare la mia biografia nel sito :
albertobientinesi.wixsite.com/alberto-bientinesi)
e nelle fasi della mia vita ho proposto la musica che mi sembrava
esprimere..” Ho suonato anche in molti gruppi come sidemen sia
in progetti artistici che in situazioni di lavoro. Non sto a
elencarli tutti, ma stiamo parlando di contesti musicali di tutti i
tipi, dal duo alla big band, a sonorità acustiche a uso di
tecnologie sofisticate, a sistemi musicali occidentali e non.
D Hai suonato Rhythm & Blues, soul,
jazz ma anche funky, musica afrocubana e brasiliana…impossibile
stabilire il tuo genere preferito…
R Non mi sono mai preoccupato della
questione del genere, semmai sto molto attento allo stile. In questo
mi ha aiutato molto il cinema. Prendiamo i film di Sergio Leone o di
Tarantino, o anche quelli di bollywood: i generi convivono tra loro
(tensione, dramma, umorismo, surrealismo) ma lo stile è sempre
rigoroso. Direi che la mia musica è un treno che parte da una
stazione che potremmo chiamare jazz e che viaggia verso nuovi
territori. Il treno non si può fermare altrimenti cessa di essere un
treno.
D Sei molto conosciuto naturalmente in
zona ma anche in Italia e poi hai suonato in ogni posto del mondo:
Senegal, Costa D’avorio, Marocco, India, Venezuela, Cuba, Bolivia,
Brasile, Uruguay, Romania, Francia, Gran Bretagna, Canada, Stati
Uniti…esperienze meravigliose immagino…
R Nella mia vita ho investito molto nei
viaggi (viaggi non organizzati, preferibilmente molto lunghi, spesso
da solo) e c’è una forte connessione tra i miei viaggi e la mia
musica. Ascoltando la mia musica si potrebbe anche intuire i luoghi
che ho visitato. Nei viaggi ho sempre avuto occasione di scambio con
musicisti locali e ho cercato di vivere più profondamente possibile
i luoghi. La musica jazz di oggi è come un pentolone dove si possono
mettere molti ingredienti per cucinare sempre cose nuove, così come
la società in cui viviamo è sempre più multiculturale. Il genere
che preferisco? Non so, ce ne sono molti. Ascolto musiche
tradizionali di tutti i paesi, musica popolare, colta, religiosa, da
ballo… Mi annoio quando sento che manca una sincerità profonda.
Naturalmente ascolto molta musica che non suonerei mai, ma vedo che
mi è utile quando creo la MIA musica, è parte delle mie esperienze
che agisce a livello inconscio.
Da ragazzino ero un toscano che
ascoltava musica afroamericana poi con il tempo ho scoperto i luoghi
da cui provenivano le influenze dei miei artisti preferiti e sono
risalito alle fonti : il Brasile di Wayne Shorter, l’africa di Joe
Zawinul, L’India di John McLaughlin, la Spagna di Chick Corea e poi
Giamaica, Cuba, Sud Est Asiatico… Se le esperienze sono state
belle? La parola esperienza contiene il concetto di bellezza sia se
si fanno esperienze piacevoli che spiacevoli. Il mio punto di
riferimento come essere umano è : gratitudine, sempre, la mia parola
d’ordine, il mio mantra (o la mia preghiera del mattino
D Progetti futuri ? Un altro CD,
concerti magari in zona ?
R Appena torno in Italia devo missare 3 differenti cd, uno dei quali con gli Ultrasoda. Ho già pianificato altri 3 cd da realizzare appena ci sarà il tempo. Dal punto di vista della creatività sono sempre in movimento, non potrò mai realizzare tutto quello che ho in mente (non solo musica, ma anche film e simili…). Realizzare cd per me è una esigenza imprescindibile, quando sento questo richiamo devo registrare e dopo mi sento diverso, alleggerito, pronto per qualcosa di nuovo. Inoltre l’idea che qualcosa di registrare possa rimanere anche dopo la mia morte mi fa sentire meglio
D Ognuno di noi ha un rimpianto che
ogni tanto fa capolino…un treno che ci aspettava sul quale non
siamo saliti…musicalmente parlando, dove andava quel tuo treno ?
R Non ho rimpianti, le cose sono andate
come dovevano andare.
D Chi è oggi Alberto Bientinesi ?
R Alberto oggi è qualcuno che cerca di essere più umano del giorno prima, ogni giorno. La vera sfida per me è cercare di migliorare sempre come essere umano, la mia musica solo un diario, un giocattolo, forse un tranquillante (o un eccitante). Sono sempre pronto a scoprire cose nuove dentro e fuori di me.