SERGIO CONSANI

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D.: 1967… nascono i Pionieri, gruppo storico di Livorno e tu ne eri il batterista…
R.: Sì, è stato il mio primo vero gruppo con cui ho cominciato a suonare. C’erano Auro Morini alle tastiere, Andrea Michelazzi al basso e Alberto Esposito alla chitarra.
D.: Iniziaste come gruppo di supporto al cantante Alfonso Belfiore, con il quale vi esibiste in molti locali della Versilia e della costa ligure. Che ricordi hai?
R.: In realtà Belfiore è subentrato dopo qualche mese che noi avevamo già iniziato a suonare in vari locali della Toscana. Alfonso cercava un gruppo con il quale esibirsi, e trovò noi. La Versilia l’abbiamo battuta a tappeto, e oltre, fino a Marina di Carrara e La Spezia. pionieri eurodavoli 9-3-1968
D.: Nel 1968 cessa la collaborazione con Belfiore e il gruppo intraprende un proprio cammino musicale. “Abbandonammo il beat per dedicarci alla nuova musica americana, soprattutto il rythm’n’blues di Otis Redding e James Brown” mi diceva il tuo compagno Andrea Michelazzi… confermi?
R.: Assolutamente. Ci piaceva molto quel genere, e Redding e Brown a quei tempi erano dei veri e propri miti della musica. Abbiamo cercato poi altre soluzioni musicali, ma forse eravamo troppo giovani per avere le idee chiare, e quando ti lasci trasportare solo dall’istinto senza abbinare tecnica e preparazione, allora tutto diventa più difficile.
D.: Nel 1970 vi siete sciolti… che successe?
R.: Io avevo voglia di andare oltre, di intraprendere una vera e propria professione, di fare della musica la cosa principale della mia vita. Invece gli altri si sono fidanzati e accasati, mentre io entrai a far parte del quintetto di Livio Marchetti, trombettista, e andai a suonare con loro su una nave da crociera sulla quale sono rimasto un anno e tre mesi. Un’esperienza fantastica, dove ho conosciuto un sacco di gente, di musicisti e mi sono visto mezzo mondo.
D.: Sei rimasto in contatto con qualche “pioniere”?
R.: Certo! Con tutti. Andrea, Alberto e Auro sono ancora amici miei, e ci siamo visti, abbiamo cenato insieme e quasi quasi avevamo in progetto di organizzare una serata come ai vecchi tempi, mettendo su un piccolo repertorio ed esibirci in qualche locale. Ma manca il tempo, e tra il dire e il fare…
D.: Inutile negarlo… gli anni ‘60 sono stati anni irripetibili. Senza dubbio sono ricordati come gli anni della gioventù… ma non penso che sia solo per quello. Tu che hai vissuto da protagonista musicale quel periodo che ne pensi?
R.: Gli anni ’60 sono stati il periodo d’oro per cantanti e gruppi musicali. La cosa bella è che c’erano tantissimi locali in cui potevamo suonare, e nonostante fossimo in molti a volerci esibire, i concerti e le serate nelle sale da ballo non mancavano mai. Quando avevo 17 anni suonavamo quasi due volte alla settimana: impensabile oggi per un gruppo che è appena nato. Lo vedo male il futuro per i giovani musicisti.
D.: “Erano solo canzonette” si sente spesso dire, rispetto alla musica beat… ma se tutt’oggi fanno “battere il piede” forse non erano solo canzonette…
R.: Ma quali canzonette! Forse che oggi in giro ci sono delle canzoni migliori di quelle degli anni ’60? Poche sono le canzoni di oggi che rimarrano nella storia, mentre quelle degli anni ’50 e ’60 le ascolteranno anche fra cent’anni. Certo, oggi la tecnologia ha influenzato molto le sonorità e la qualità è migliorata, ma poi sono i musicisti e i parolieri a dover far bella una canzone, e se non hai talento non c’è tecnologia che tenga.
D.: Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
R.: In linea di massima ho sempre amato il jazz e le grandi orchestre. Non disdegno però la fusion e sono tanti i musicisti che apprezzo, ascolto e ammiro.

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D.: Una domanda che faccio a tutti i batteristi alla quale non puoi sottrarti: Charlie Watts dei Rolling Stones ha sempre detto che il suo “culo” è quello di Mick Jagger che da più di 50 anni si trova davanti sulle scene. Quale è il “tuo culo”?
R.: Uno su tutti: Steve Gadd. In seconda fila Dave Weckl. E poi, per andare un po’ indietro nel tempo, ho sempre amato Joe Morello, il batterista di Dave Brubeck: pulito, tecnicamente bravissimo ma con un cuore sempre aperto alle emozioni e alla comunicatività.
D.: Hai attaccato le bacchette al chiodo o suoni ancora oggi?
R.: Stai scherzando! Un vero musicista non attacca mai lo strumento al chiodo fino a che non muore! Io, quando ho lasciato i Pionieri e sono andato negli Stati Uniti, ho iniziato a fare la professione vera. Sono rimasto negli States cinque anni, ho suonato per diversi musical in molte città americane, ho avuto un gruppo jazz con una cantante cinese eccezionale e poi sono tornato in Italia. Un produttore livornese che lavorava per la RCA mi disse che i Pandemonium cercavano un batterista, sono andato a Roma, ho fatto un provino e mi hanno preso. Era il 1976. Vi ricordate quel pezzo intitolato “Tu fai schifo sempre”? Be’, con questo pezzo assolutamente fuori dalle righe andammo a Sanremo nel 1979. Poi nell’80 ho lasciato i Pandemonium e ho fatto molto lavoro di studio dove registravamo quasi ogni giorno colonne sonore per i film che allora uscivano in continuazione. Ho lavorato per anni con Ennio Morricone, Nicola Piovani, Luis Bacalov, Pino Donaggio, Stelvio Cipriani e… non so quanti altri. In tour con Francesco De Gregori, Gabriella Ferri, un’incisione con Paolo Conte… e basta, sennò non si finisce più. E oggi, che sono tornato a Livorno da qualche anno per questioni personali, ho un gruppo jazz, il JBJ Trio, con il quale mi trovo benissimo: Max Fantolini al pianoforte e Giulio Boschi al contrabbasso. E anche quest’anno parteciperemo al mese del jazz organizzato dall’Unesco ad aprile.
D:: Chi è oggi Sergio Consani?
R.: Uno che non si arrende mai e che una ne fa e cento ne pensa. Oltre a suonare con il mio trio, sono il responsabile della Redazione di questo giornale, 57100livorno.it, poi insegno scrittura creativa, perché c’è da dire che ho pubblicato sei romanzi. Inoltre insegno sceneggiatura cinematografica alla Scuola Cinema del Vertigo. Ho qualche altro progetto in mente, ma magari ne parliamo un’altra volta.

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