LUIGI CERBONE

D Luigi Cerbone e la sua chitarra…un amore ormai eterno…

R A dire il vero è più un “rapporto complicato”. Comprai la mia prima chitarra a 16 anni e non ho mai imparato a suonarla veramente. Essendo autodidatta e non essendomi mai potuto applicare quanto avrei dovuto, le mie conoscenze dello strumento sono rimaste assai limitate. Compongo e suono ogni cosa ad orecchio, non conosco gli accordi, le varie scale e tanto meno le note sulla tastiera.

D Il tuo primo gruppo se non sbaglio furono i Mildewed, un buon gruppo, che ci dici?

R I Mildewed sono in assoluto uno dei ricordi più belli legati alla mia infanzia. E’ proprio dentro quella minuscola sala prove ricavata nel garage del nostro batterista dell’epoca che scoprii il valore dell’amicizia, lo spirito di sacrificio, la complicità e la condivisione dei sogni. Eravamo tutti coetanei di età compresa fra i 18 e 20 anni e come tutti i ragazzi che iniziano un percorso nel mondo della musica, agognavamo un futuro fatto di tour ed un contratto discografico. Così nei primi anni del 2000 iniziammo a muovere i primi passi nel mondo dello screamo/hardcore tanto caro alle bands d’oltreoceano come Shai Hulud, Beloved, Hopesfall ecc..ecc.. ma quando si è giovani, si è impulsivi e spesso si pecca di presunzione, tant’è che quando iniziammo ad avere una certa visibilità, all’interno della band si formarono alcune prese di posizione mirate a tagliare i rami più deboli.

Ricordo che all’epoca ero l’unico ad avere già un lavoro e alcuni impegni probabilmente ci avrebbero portato inevitabilmente ad allontanarci da casa per settimane o forse per mesi. Non potendo permettermi di seguire i sogni del resto dei componenti, l’allontanamento dalla band fu inevitabile.

D Nel 2007 vede la luce il progetto Elara, Luigi Cerbone come one man band. Perchè questa scelta?

R Con l’allontanamento si spezzarono amicizie decennali e certi avvenimenti, specie se ti investono in determinato periodo della vita, hanno un impatto potentissimo. Così iniziai una sorta di percorso interiore per una ricerca della felicità nelle piccole cose e il primo passo verso questa ricerca fu l’acquisto di un biglietto aereo per l’Islanda.

Partii per un mese in solitaria, vidi paesaggi incredibili e quando tornai avevo la testa così piena di immagini, colori e suoni che si sposavano perfettamente con la musica ambient.

Così al mio ritorno cercai di trasformare in suono tutto ciò che avevo assorbito durante quel lungo viaggio; volevo creare un qualcosa di emotivamente potente, intimo e personale. Un qualcosa che non fosse filtrato dalla testa di altri musicisti. Era un progetto mio, ero io.

D Comunque subito dopo l’uscita del tuo ep “Stary night in a cold november” del 2008, nel 2011 dai vita nuovamente ad un gruppo stabile, con l’ingresso di un basso e batteria, un trio classico…

R Alessio e Vincenzo in quel periodo avevano un progetto post-metal appena naufragato e quando mi chiesero se fossi intenzionato nel trasformare il mio progetto ambient in un progetto post-rock strumentale con più membri, io accettai. Complice la curiosità nel cercare di fare qualcosa di nuovo anche se meno personale, complice la nostalgia dei palchi, iniziammo da subito con l’aiuto di un po’ di elettroniche, ad adattare i miei vecchi brani con la più classica delle formazioni.

D Nel 2012 firmate addirittura per l’etichetta statunitense Fluttery Records che permette l’uscita di “Soundtrack for a quiet place”, una bella soddisfazione

R Passammo un anno intero a riarrangiare i pezzi, a cercare gli incastri di note più belli e, terminata la lavorazione, ci rinchiudemmo al Domination Studio di San Marino e poi spedimmo il master a Greg Calbi dello Sterling Studio di New York. Il prodotto finito suonava meravigliosamente bene e iniziammo a spedire il “demo” come si faceva una volta.

Ricordo ancora quando mi arrivò la mail sul cellulare: in quel periodo ero alle Svalbard in tenda e il segnale andava e veniva. Lessi la mail più volte e fra la morsa allo stomaco e la botta di adrenalina ricordo ancora la frustrazione nel non riuscire a comunicare con il resto della band in Italia. La Fluttery Records, una delle etichette più in vista nel panorama post-rock era rimasta colpita dal prodotto e ci inviò il contratto. Fu una bellissima soddisfazione.

La soddisfazione più grande arrivò con il secondo disco “In the depths of time, in an ocean made of stars” il quale riuscì a piazzarsi al 42° posto fra i migliori 50 dischi post-rock del 2015.

D Attualmente il progetto Elara è in stand by…che è successo?

R Qualche mese fa introducemmo un quarto elemento all’interno del gruppo e iniziammo la stesura del terzo lavoro. Poi alcuni eventi della mia sfera privata hanno avuto un impatto più forte del previsto e quindi tutto si è fermato.

D Luigi quali sono i tuoi punti di riferimento, i tuoi mostri sacri?

R Ho un amore incondizionato verso i Sigur Ròs e le varie produzioni del cantante Jon Thor Birgisson. Ludovico Einaudi, Max Richter, Olafur Arnalds e Johann Johannsson completano il cerchio.

D La città di Livorno è sempre stata generosa nello “sfornare” ottimi musicisti; quale è il tuo rapporto, con la scena musicale cittadina e con i tuoi colleghi musicisti?

R Chi fa parte di una band nel cecinese, tende a frequentare uno o due luoghi in particolare della zona. Va da se che alla fine ci conosciamo tutti e lentamente si sono instaurati dei bellissimi rapporti di amicizia che vanno oltre l’interesse e la passione per la musica.

D Ognuno di noi ha un rimpianto per una occasione non sfruttata a dovere, una occasione che avrebbe potuto cambiare la nostra vita; sempre in ambito musicale qual’è la tua grande occasione perduta, quel treno sul quale non sei salito all’ultimo momento?

R Non credo di aver perso un vero e proprio treno. Certo, avrei potuto fare delle scelte diverse in passato ma se mi guardo indietro non ho nessun rimpianto e posso ritenermi soddisfatto e felice del percorso intrapreso con entrambe le band. Se ci penso, quello che desideravo dalla musica, alla fine nel mio piccolo l’ho ottenuto.

D Chi è oggi Luigi Cerbone?

R Bella domanda.

DAVID MARSILI

D David Marsili, musicalmente parlando, professione chitarrista/cantante, da sempre immagino.

R In realtà no. Iniziai con una tastierina Bontempi. Un duo di pop elettronico nell’88; avevo 15 anni. Scimmiottavamo i Duran Duran. Poi passai alla chitarra, prima una classica per strimpellare, poi mi arrivò una Samick modello diavoletto direttamente dagli USA. Per un periodo invece passai al basso, ma fu un fulmine.

D Il tuo primo gruppo, se non sbaglio, furono i Golem, raccontaci

R Come scritto sopra, iniziai con questo duo. L’altro era Matteo Monteverdi, un vero ragazzo prodigio, una persona fragile e forte, un vulcano creativo. Da quel gioco formammo gli Echo, e nel ’91 registrammo un demo dai Brilli. C’erano pezzi bellissimi, acerbi ma potenti. Il cantante era Davide Morelli, oggi noto imprenditore creativo nel campo informatico, e alla batteria Maurizio Fontanelli. Ci ispiravamo all’indie degli Stone Roses. Manchester era il nostro faro, ma il progetto si consumò in poco tempo.

Poi, dopo una pausa di circa un anno, nel ’93 con Massimo Ruberti formammo i Golem. Eravamo nel pieno dei ’90, ci muovevamo tra il dark dei Cure e la psichedelia. Un mix di ombre e colori. Ci siamo divertiti.

D Nel 2002 nascono i Disvega. Sei in duo con il tuo amico da sempre Massimo Ruberti…con un progetto di musica elettronica…

R In quegli anni, oltre ai Golem avevo collaborato con altri progetti. Gli Inorganica di Rosignano e i Tilak, con Francesco Landucci. Un duo acustico tra cantautorato e musica etnica, chitarra e sitar. Una bella esperienza.

Poi, in un periodo in cui stavo finendo l’università e preparando la casa con la mia futura moglie, Lucilla, venne Massi con un demo. “Uno”. Mi chiese di cantare i suoi pezzi elettronici. Nacquero così i Disvega.

D Da duo diventate nel tempo un “ensemble”: si aggiungono diversi musicisti e alcune voci femminili; il vostro sound si affina tanto che vedono la luce alcuni cd/demo come “Luceombra” nel 2004 e “Nascita e ritorno al mare” nel 2007…una bella soddisfazione

R Esatto. I Disvega sono stati un bel progetto. Abbiamo suonato molto fuori, non sempre con soddisfazione. Nei contest avevano tutti chitarre sparate a mille voci urlanti. Noi ci presentavamo con la tastiera e suoni più rarefatti; ci sentivamo spesso fuori contesto. Però in quegli anni abbiamo tirato fuori tantissime canzoni, molte rimaste inedite. Da quel serbatoio di prove abbiamo attinto molto per il progetto attuale. Che in un certo senso si potrebbe considerare la cover band dei Disvega. (Scherzo!)

D Nel 2012 il gruppo praticamente si scioglie, strade diverse. Te con il tuo inseparabile amico Massimo date vita ai Rupert…

R È così. Rupert nasce come un progetto solista di Massimo, che recuperò le sue migliori canzoni dei Disvega e voleva farci un disco per non perderle. Roberto Mangoni lavorò molto sulla “raffinazione” dei pezzi, io misi le chitarre. Poi si aggiunse Ada Doria, splendida voce, e il progetto attirò l’attenzione di Daniele Catalucci (Virginiana Miller, Symphonico Honolulu) che decise di suonarci, produrlo, e presentarlo a Santeria / Audioglobe. Così è nato Wandering.

D Alcuni testi delle canzoni dei vari gruppi in cui hai fatto parte si rifanno ai tuoi scritti perchè oltre che musicista sei anche un ottimo scrittore. Parlaci un po’ di questo David…i tuoi libri ed altro…

R Grazie. Sì, direi che la narrativa oggi è l’ambito che mi rappresenta meglio. Scrivere è come avere una finestra sul modo, una prospettiva sugli eventi e sull’immaginario. Mi sono avvicinato presto alla scrittura ed ho pubblicato il mio promo romanzo breve (Viscere) nel 2008.

Poi sono venuti molti altri racconti, e altri due romanzi. “Stagioni chimiche” è il più importante, e l’ho portato nelle librerie, nelle scuole e perfino in carcere. Ho avuto grandi feedback ed è stata un’occasione infinita di riflessioni.

Oggi ho un inedito nell’hard disk, e sto già lavorando ad un nuovo romanzo. Cercherò di giocarmeli al meglio quando sarà il momento.

D Quali sono i tuoi punti di riferimento, i tuoi “intoccabili” ?

R Musicalmente ho sempre avuto pochi veri miti. Ce ne sono alcuni che mi hanno dato tanto, in modo diverso. I Cure. David Sylvian. Ma come chitarrista mi sarebbe piaciuto suonare come John Squier degli Stone Roses. A distanza di tanti anni li ascolto ancora e quando sento le chitarre di… ad esempio “Sugar spun sister” non posso evitare di mimare i gesti delle mani sul manico di una chitarra immaginaria. Anche se sto guidando.

D Livorno e la musica: binomio perfetto. Da sempre infatti la città ha dato i natali a centinaia e centinaia di gruppi “indigeni”. Quale è il tuo/vostro rapporto con la Livorno della musica?

R Livorno è una città dalle mille contraddizioni. E quindi anche in campo musicale. Se da una parte esiste un underground molto fervido, tra le cantine sui fossi, i fondi dalle pareti umide in città, i garage e le sale prove, in superficie arrivano in pochi. I progetti musicali si fondono, si mischiano, si dimenticano in fretta. Ma restano un rumore di fondo di una città in cui l’arte esiste. Con i nostri progetti ci sentiamo parte di questo sottomondo, anche se sempre un po’ al limite, a modo nostro. Distanti da tanti atteggiamenti e forse in modo, diciamo, più invisibile.

D Progetti futuri? Qualche concerto dal vivo magari in città dove possiamo ascoltarti?

R Questa estate non credo che ci esibiremo con Rupert. Stiamo lavorando a pezzi vecchi/nuovi per un nuovo disco. Forse parteciperemo al Ciampi. Però magari con la chitarra acustica potrei improvvisare qualche serata letteraria/musicale sotto le stelle. Vediamo.

D David, un sogno nel cassetto e una occasione perduta che ti “fa ancora male” ?

R Non ho particolari rimpianti. Sto con i piedi per terra e non rinnego niente. In campo artistico, forse avrei potuto concentrarmi più su alcuni aspetti e perdere meno tempo, ma non è così grave.

D Chi è oggi David Marsili?

R Un padre di due figli splendidi, Margherita (13) e Lorenzo (10). Lei suona al Mascagni, divora libri e disegna splendidamente. I suoi lati artistici sono acerbi ma esplosivi e credo (e spero) che farà molto più di me. Lui è ancora piccolo, ha il piglio dell’attore, anche se per ora è assorbito dal calcio e dalla Play.

Poi è un insegnante che ha una grande passione per quello che fa.

Uno che ha voglia di leggere, scrivere, e anche suonare.

Un mediocre tennista.

In campo musicale è ancora uno dei peggiori chitarristi di Livorno.

Grazie per questa chiacchierata. Un saluto a chi avrà voglia di leggerla.

MARCO BICCHIERINI

D: Marco Bicchierini, bassista in un mondo dominato dalle chitarre. Perchè questa scelta?
R: In realtà è nato tutto per scherzo… o quasi. Anno 1991. Ero un Boy Scout, e decidemmo di mettere su una band improvvisata per una festa. In questa band c’era solo chi sapeva un po’ suonare la chitarra. Io scelsi il basso, forse perché sono sempre andato controcorrente. Poi la passione ha fatto il resto.
D: Nel 2009 dai vita ai Dusko…
R: Sì, diciamo che il progetto era nell’aria sin dal 2003. Lavoravamo tutti e tre nella solita fabbrica, e quell’anno suonammo proprio all’interno della fabbrica. Da quel giorno, passarono 6 anni, prima di decidere di ritrovarsi in studio e dare vita effettivamente ai Dusko.
D: Il vostro sound si può definire, anche se etichettare un genere musicale non mi trova d’accordo, un connubio tra rock duro e indie rock melodico.
R: Qua è doveroso fare delle precisazioni. I Dusko hanno avuto due vite. La prima dal 2009 al 2015 dove il nostro sound prendeva ispirazione quasi totalmente dalla scena indie rock italiana e non, con contaminazioni di puro rock… e forse anche qualcosa di più. La seconda vita parte dal 2018 dove ci siamo di nuovo riuniti, ma con un approccio piu elettronico nella stesura dei brani. Ci sono stati tre anni di limbo, dove ognuno di noi ha fatto ciò che di meglio credeva.


D: Vi siete esibiti al The Cage ma anche allo Zenigata di Firenze, belle esperienze…
R: Abbiamo avuto la fortuna di suonare molto in giro. In locali importanti come il The Cage, e lo Zenigata dove respiri davvero un’aria di professionalità, che al tempo, per noi che dovevamo emergere, poteva anche far paura. Ma poi sul palco, tutto spariva e si trasformava in energia.
D: “L’uomo cagionevole” è il vostro primo disco ufficiale, prima ci sono stati due EP Dusko music” e “L’amico meccanico”; soddisfatti del risultato ottenuto?
R: I primi due Ep sono forse la base solida dei Dusko, la forma istintiva, in cui secondo me va vista la musica in toto, senza tanti arzigogoli. Sono la via intrapresa per poi arrivare a “L’Uomo Cagionevole”, vero e proprio disco, sudato, voluto con tutte le nostre forze, che ci rappresentava in pieno.
D: I testi sono vostri e non è poco in una miriade di cover band: testi semplici, efficaci, diretti, che mettono a confronto con la realtà…
R: I testi sono stati una nostra prerogativa, da subito. Volevano far ascoltare materiale nostro, e farci giudicare su ciò che noi dicevamo. Una forma molto semplice, nella scrittura, ma credo anche molto diretta.
D: Prima dei Dusko in quali gruppi hai suonato?
R: Prima dei Dusko, ho militato nei Sexophrenia negli anni 90, negli Hydrospin fine anni 90 e nei Flamin Moe anni 2000/01/02.
D: Progetti futuri? Esibizioni dal vivo, magari in città?
R: In questo momento è già molto il fatto di aver avuto la voglia di ritrovarsi a suonare insieme. Stiamo prendendo le cose nel modo più leggero possibile. Per non cadere di nuovo in errore. Buttiamo giù idee, e registriamo quelle che più ci sembrano valide.
D: Marco quali sono i tuoi punti di riferimento, musicalmente parlando, i tuoi mostri sacri?
R: Faccio parte della Generazione X, adoro la ribellione degli anni 90, il sapore che aleggiava nell’aria. Kurt Cobain nel bene e nel male, mi ha convinto a non mollare la musica. Poi ascolto Led Zeppelin, Lynyrd Skynyrd, Guns ‘n Roses, Metallica, PFM, Banco, Verdena, Ministri… come vedi abbraccio vari anni di musica.
D: A proposito di Livorno, che ne pensi della scena musicale odierna, in una città da sempre madre di centinaia e centinaia di musicisti?
R: Essendo anche redattore di una webzine come Shiver, sono sempre attento a ciò che si muove in giro. C’è un sacco di materiale umano valido che alberga la nostra zona. Ci sono band che si stanno facendo valere anche fuori dal territorio nazionale, penso per esempio ai MR BISON band cecinese con già all’ attivo tour in America e in Europa, proprio in questi giorni alle prese con la promozione del loro nuovo disco Holy Oak, in giro per l’Europa. La nostra scena è in pieno fermento.
D: Un sogno nel cassetto? Un’occasione perduta che ancora oggi ti fa arrabbiare?
R: Occasioni perdute ce ne sono… purtroppo. Con i Dusko nel 2015 potevamo fare il salto di qualità, o per lo meno provarci. Avevamo ogni tassello incastrato a dovere. Qualcuno era interessato a noi, ma noi su alcune cose non eravamo convergenti. Comunque il disco uscì lo stesso, e forse ciò che poi è venuto, era esattamente quello che doveva venire… semplicemente.
D: Chi è oggi Marco Bicchierini?
R: Oggi Marco Bicchierini è un operaio da più di 20 anni in una fabbrica, e allo stesso tempo musicista e redattore. La musica mi accompagnerà sempre… e non ci lasceremo mai. E poi Marco Bicchierini a ottobre… diventerà babbo… e non vede l’ora.

 

DENIS CHIMENTI

D Denis Chimenti, meglio il maestro Denis Chimenti, chitarrista da sempre…

R La musica è sempre stata una cosa naturale nella mia vita avendo il padre musicista,ma imbracciai la chitarra da solo a circa dodici anni ,dopo che le radio e le televisioni trasmettevano di continuo brani dei “Queen” in seguito alla scomparsa del loro leader Freddie Mercury.In realtà in passato c’era già stato un approccio con la musica grazie al successo planetario del brano degli Europe “The final Countdown”; rimasi cosi folgorato da quel motivo di tastiera che per il mio compleanno chiesi a miei genitori di comprarmene una, ma il vero amore per la chitarra nasce con i brani Highway Star dei “Deep purple”e Innuendo dei già citati Queen.Poco dopo iniziai a mettere le mani sullo strumento e non ho mai più smesso.

D Ti sei diplomato con lode in una delle più importanti accademie di musica italiane…una bella soddisfazione

R Si,ad un certo punto capii che volevo sapere più cose di quelle che avevo acquisito fino a quel momento ed è proprio durante quel periodo che decidevo sul da farsi che comprai una videocassetta (VHS) dove all’interno c’erano i contatti ed un inserto d’iscrizione per la stessa scuola che aveva prodotto quello stesso video(all’epoca erano un pò diverse le cose, internet era agli albori e io a malapena ne conoscevo l’esistenza).Decisi di contattare la segreteria per iscrivermi ed un mese dopo mi presentai alla prima lezione.

D Nel 2009 hai aperto insieme a Luca Fuligni a Livorno l’Accademia Musicale Chorus per mettere a disposizione di giovani musicisti le tue notevoli esperienze…soddisfatto ?

R Si,fu il mio grande amico e cantante di quasi tutti mie progetti “Luca Fuligni” che quasi per scherzo lanciò questa idea, ovviamente mi piacque subito e cosi accettai senza pensarci troppo.Venti giorni dopo eravamo in quella che sarebbe stata la prima sede vestiti in tuta da lavoro ad improvvisarci come muratori, imbianchini, elettricisti, insomma in una ditta tutto fare…..ahahahahah……

Sicuramente è il progetto più ambizioso, importante e impegnativo del mio percorso ma è anche estremamente ricco di soddisfazioni.

D Nell’ottobre 2011 esce “Imagination” il tuo primo lavoro solista prodotto da Nicol Franza. Nove ottime songs dove dai il meglio di te…

R Nicol è un vecchio amico ed un ottimo chitarrista, lo potete sentire nell’assolo della canzone “Nigth to Remember”.Anche in questa occasione il caso ha voluto che dopo diversi anni che ci eravamo persi di vista, lui riuscì a contattarmi grazie ad un’amicizia in comune e mi disse che avrebbe voluto produrre un lavoro a mio nome nello studio che aveva finito di ristrutturare, io accettai con entusiasmo ma dentro di me ero un pò perplesso perché non avevo nè una band fissa e nè tanto meno nessun brano originale.Una volta accettato cominciai a selezionare tutte le idee che mi sembrano buone per poter stendere dei brani strumentali e una volta fatto andai da Nicol a registrare la chitarre per sentire come potessero suonare.Da li cominciò la classica prassi batterie, basso ,chitarre ,tastiere e all’ultimo decidemmo di mettere tre brani cantati, fu un lavoro molto faticoso poiché fu scritto e arrangiato totalmente da me , senza avere mai provato neanche una volta con la band, è per questo che prende il titolo “Imagination”,perché da alcuni giri di chitarra mi sono immaginato tutto il resto del disco.

D Denis quali sono i tuoi punti di riferimento, i tuoi mostri sacri ?

R Ci sono molti chitarristi che ho osservato con interesse e che hanno contribuito alla mia formazione per cui la lista sarebbe quasi infinita,ma il primo che mi ha colpito quando era ragazzino è stato sicuramente Ritchie Blackmore il leggendario chitarrista dei Deep Purple,in seguito grazie a mio cugino e insegnante dell’epoca Michele Ceccarini ogni lezione era una scoperta di qualche nuovo Guitar Hero.Oggi mi piace ascoltare i chitarristi di epoche diverse perché ogni uno di loro rappresenta un modo di suonare estremamente diverso legato agli stili musicali del proprio tempo, quindi come ho già detto la lista è veramente lunga ma ne cito volentieri alcuni:

-Jimi Hendrix, Eric Clapton, Eddie Van halen, Yngwie j Malmsteen, Randy Rhoads,,Steve Vai, joe Satriani, John Petrucci, Greg Howe,Al Di Meola, Mike Stern,Steve Lukater, Carlos Santana, Lerry Carlton,Eric Johnson,Michael lee Firkins,Paul Gilbert, Steve Morse….e veramente molti altri.

D Da Imagination in poi che è successo, musicalmente parlando ?

R Più o meno le stesse cose, suono con vari progetti, faccio musica nei locali e insegno alla Chorus.Purtroppo Imagination non è mai andato oltre l’esperienza della registrazione, risultò molto complicato presentare un progetto quasi interamente strumentale e cosi è rimasto un lavoro nato e morto in studio.

D Immagino, anche attraverso la tua scuola, tu sia entrato in contatto con molti giovani interessanti; qualè il patrimonio futuro della nostra città ‘ E dei tuoi colleghi “vecchietti” c’è qualcuno che ammiri in maniera particolare

R Per fortuna si ci sono ancora ragazzi interessati ad imparare uno strumento complicato come la chitarra ed è bello poter pensare che fra qualcuno di loro si nasconda il chitarrista di qualche futura Band famosa.

Per quanto riguarda i miei colleghi più “vecchietti “ce ne sono diversi che godano di tutta la mia stima:Michele Ceccarini, Andy Paoli, Riccardo Vernaccini ,Riccardo Carboncini ,Gabrio Baldacci ,Bruno Teodori ,Federico Morella,Dario Cappanera ,Marco Baracchino,Fabrizio Brilli, Emiliano Bandini, ma credo che questi godano dell’ammirazione di tutti.Livorno è una città con un grande patrimonio chitarristico.

D Progetti futuri ?

R Mi piacerebbe scrivere un secondo lavoro stavolta tutto cantato si tratta di trovare un pò di tempo da dedicargli, in oltre ho ripreso gli studi di chitarra classica che avevo lasciato un bel pò di anni fa….spero di riuscire ad imparare.

D Denis, sei molto conosciuto, come si suol dire “hai un nome” in ambito musicale…ma c’è un rimpianto, una occasione che avresti potuto sfruttare meglio ?

R A questa domanda non è facile dare una risposta.Credo che chiunque potendo fare due volte la stessa cosa sarebbe tentato di cambiare anche solo solo una delle scelte già fatte.Io forse sarei dovuto andare in una città che offriva a questa scelta professionale delle maggiori opportunità solo per dire “vabbè c’ho provato”,ma non è così facile, la mia è una famiglia semplice come tante altre e quindi una volta finiti gli studi si andava a lavoro, poi nel tempo libero si suonava, di conseguenza non avendo appoggi economici rilevanti per provare al trove non ho mai il trovato il coraggio di provare.

D Chi è oggi Denis Chimenti?

R Una persona qualunque che ha imparato qualcosa alla chitarra e prova piacere a trasmettere a chi è interessato, ma soprattutto è lo zio di Gioele il figlio di mio fratello (anche lui musicista), un bimbo straordinario che non ha ancora compiuto tre anni e non fa altro che tenere la chitarra in braccio, spero che continui per potergli insegnare tutto quello che so……sarebbe sicuramente il mio allievo preferito.

COODER RY – The long riders (1980)

COODER RY

THE LONG RIDERS

**1/2

Label Warner Bros

Format Vinyl LP

Country USA                                                                     

Released 1980

Genre/Style Soundtracks

Side A

1 The long riders ***

2 I’m a good old rebel ***

3 Seneca square dance **

4 Archie’s funeral **

5 I always knew that you were the one **

6 Rally round the flag ***

Side B

1 Wildwood boys ***

2 Better things to think about ****

3 Jesse James –

4 Cole younger polka **

5 Escape from Northfield –

6 Leaving Missouri ***

7 Jesse James ***

Prima volta che Ry si cimenta in una colonna sonora.
Cooder era in ottima forma con questa partitura, usando materiale originale, strumenti insoliti e anacronistici (saz, tamboura, chitarra elettrica) ed elementi di canzoni tradizionali del periodo della Guerra Civile. Di conseguenza, l’album può essere apprezzato come un’entità unica, lontana dal film – e legata al film. La musica offre grazia e potenza agli eventi sullo schermo.
Risultato eccellente.

COODER RY – Borderline (1980)

COODER RY

BORDERLINE

***

Label Warner Bros

Format Vinyl LP

Country USA                                                                   

Released October 1980

Genre/Style Roots Rock

Side A

1 634-5789 ***

2 Speedo **

3 Why don’t you try me ***

4 Down in the Boondocks ***

5 Johnny Porter **

Side B

1 The way we make a broken heart ***

2 Crazy ‘bout an automobile ***

3 The girls from Texas ***

4 Borderline ***

5 Never make your move too soon **

Musicisti

Ry Cooder chitarra, vibrafono, voce

  • John Hiatt chitarra, voce
  • William D. Smith pianoforte,organo, voce
  • Jesse Harms sintetizzatore
  • Reggie McBride, Tim Drummond basso
  • Jim Keltner batteria
  • George “Baboo” Pierre percussioni

Borderline è il nono album di Ry Cooder. Il disco, registrato al “Warner Bros. Recording Studio” di Burbank, California (Stati Uniti), fu uno dei primi dischi ad essere registrato con sistema digitale (3M Digital System).
Il lavoro può a volte mancare del fascino sorprendente ed esoterico delle sue precedenti registrazioni, ma ci sono ancora alcune scoperte sorprendenti, tra cui “The Girls from Texas”, che può essere il momento migliore dell’album.
Borderline potrebbe non avere la personalità singolare dei suoi migliori anni ’70, ma è comunque una album solido.

COODER RY – Bop till you drop (1979)

COODER RY

BOP TILL YOU DROP

***

Label Warner Bros

Format Vinyl LP

Country USA                                                                 

Released July 1979

Genre/Style Rock blues

Side A

1 Little sister ***

2 Go home, girl ***

3 The very thing that makes you rich ***

4 I think It’s going to work out of fine ***

Side B

1 Down in Hollywood **

2 Look a granny run run **

3 Trouble, you can’t fool me ***

4 Don’t mess up a good thing ***

5 I can’t win ***

Musicisti

Ry Cooder basso, chitarra, mandolino, voce

Jimmy Adams coro

  • Ronnie Barron organo, chitarra, tastiere
  • Tim Drummond, Reggie McBride basso
  • Cliff Givens, Bill Johnson, Bobby King voce
  • Reverendo Patrick Henderson organo, tastiere
  • Milt Holland percussioni, batteria
  • Herman. E. Johnson,Chaka Kha, voce
  • Jim Keltner batteria
  • David Lindley chitarra, mandolino

Bop till You Drop è l’ottavo album di Ry Cooder. E’ un album dove si fondono blues e country-rock e passato alla storia per essere stato, insieme a “E=MC” di Giorgio Moroder, il primo album pop registrato in digitale.
Manca la canzone guida ma tutto il lavoro è ben fatto e suonato magistralmente.