ILARIA RAPALINO

D Ilaria Rapalino, cantante da bambina immagino…

R Ricordo che feci un provino per lo zecchino d’oro quando andavo alle scuole elementari, ma per quel poco che ricordo non mi interessava molto e non mi impegnavo. Comunque non cantavo molto da bambina, ero timidissima e quindi ho sempre cantato “di nascosto” quando pensavo che nessuno mi potesse sentire e questo è durato fino

all’adolescenza.

D Eri la vocalist del gruppo Choosy Pigs, che ricordi hai di quella esperienza ?

R I Choosy Pigs sono stati quella che ritengo la mia prima vera band, ne ho avute altre prima ma suonavamo solo cover e non c’era stato lo stesso “feeling” che ho provato con i Choosy Pigs. Tutto è nato perché tramite un progetto universitario ho conosciuto il bassista Massimo Ruberti, che ritengo un genio e una persona super creativa che non smette mai di avere nuove idee. Poi con lui ho riunito batterista e chitarrista e, per quanto breve, si era creato un “feeling” speciale tra di noi e più che altro “scazzando” ci siamo divertiti molto. Purtroppo, per mia colpa, si è troncato sul nascere.. Abbiamo suonato per circa 4 mesi e fatto 5 pezzi nostri tutti generati dall’improvvisazione. Abbiamo poi registrato in sole 4 ore proprio il giorno prima della mia partenza per Londra.

DNel brano “Hate you” nel primo demo che avete prodotto proprio la tua voce lo rende molto bello…

R”Hate you” è la mia preferita, è un pezzo dal sound molto rudimentale e allo stesso tempo cupo e dal testo si intende che ha un’impronta di “protesta” contro qualcuno…che in realtà è un noto politico Italiano che si chiama “Berlusconi” 🙂

D Solo poco tempo di permanenza nel ruppo e poi la tua uscita…che è successo ?

R Mi sono ritrovata a dover scegliere e prendere una decisione, se rimanere con quello che avevo ma che non mi rendeva felice al 100%, o se prendere il rischio e avviarmi verso una nuova avventura. Sono partita senza un piano preciso con una valigia e zaino e non ho più fatto ritorno. Ho lasciato amici cari, ragazzo, famiglia e ovviamente anche i Choosy Pigs.

D Nel mondo del rock ci sono molte cantanti che hanno “lasciato il segno”…quali sono le tue fonti di ispirazione, i tuoi mostri sacri?

R Una delle cantanti ancora in vita che mi ispirano molto sono Patti Smith e Pj Harvey. I miei “mostri sacri” sono più uomini ad esser sincera, mi viene diretto menzionare Bob Dylan e David Bowie. Invece tra i miei gruppi storici preferiti ci sono ovviamente i Joy Division, The Stooges, The Cure, The Smiths..

D Sono 5 anni che vivi a Londra; te che vieni da una realtà notevole in ambito musicale ma pur sempre di provincia, come ti sei trovata catapultata “al centro dell’impero” musicale?

R Ti posso dire che Livorno, per quanto piccola, ha una scena musicale altissima e di gran livello in proporzione a Londra. Niente da togliere a Londra, ma essendo comunque una metropoli allo stesso tempo è molto dispersiva. Tutto dipende da che ambiente frequenti e se hai la possibilità di lavorare in ambito musicale. Purtroppo per me è già stato difficile farmi delle amicizie vere e durature, quindi figuriamoci trovare qualcuno che condividesse i miei stessi interessi musicali! Per fortuna ho trovato almeno qualcuno con cui andare ai concerti, una cosa che qui non manca assolutamente, ci vado almeno una volta a settimana! Seguo più che altro band locali indie di nicchia, che hanno una certa importanza qui in UK ma che vanno anche in tour per l’Europa. Ho trovato che c’è una bella scena interessante a Brighton, più piccola ma molto rock’n’roll, quasi da comparare a Livorno. Infatti le migliori band indie vengono quasi tutte da Brighton, forse sono il mare e la costa che ispirano di più a fare musica?

D Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra si trova tutto ciò che la vita può offrire” Così, Samuel Johnson, critico letterario, poeta, saggista, biografo e lessicografo britannico commentava a proposito di Londra. Anche sotto l’aspetto musicale ti trova daccordo questa affermazione?

R È vero che Londra ti dà tutto, ci sono cose interessanti da fare ogni giorno, non smetti mai di conoscere nuova gente e ci sono un sacco di opportunità lavorative. Se hai un sogno lo puoi veramente realizzare qui, se vuoi qualcosa davvero lo puoi realizzare e vieni premiato per le tue fatiche. Io la ritengo una città adatta ai giovani e a chi ha voglia di fare e a chi piace la dinamicità delle cose in generale, qui non è una vita per tutti ed è molto dura all’inizio. Superati i 30 anni tendi poi a cercare una certa stabilità e tranquillità, e forse, come sta per capitare a me, incomincio a “stancarmi”? Non della vita ovviamente, ma della troppa dinamicità. Non ti saprei dire esattamente in ambito musicale….Mi è capitato di conoscere qualche “ex punk” della generazione di mio padre che ha vissuto la vera scena musicale punk/ post punk, quando ancora la zona di Chelsea era alternativa e no “posh” come adesso e Camden Town non era solo street food e cianfrusaglie. Questa generazione di persone sembra essere ancora molto legata a Londra e alla musica di quando erano giovani, noto invece che la mia generazione, al contrario, se ne allontana più facilmente concentrandosi più su lavoro e famiglia e mettendo la musica su un secondo piano. I veri saggi della musica sembrano scarseggiare tra i giovani, soprattutto tra i ventenni di oggi, sembrano essere meno appassionati e seguire più i trend del momento.

D Ilaria anche se giovanissima, hai un rimpianto, una occasione che non hai sfruttato come avresti voluto?

R Ora che mi sono stabilizzata nella vita in generale e dal punto di vista lavorativo mi sento pronta per coltivare di più le mie passioni, magari, tempo permettendo, trovare una band e strimpellare il mio basso che suono brutalmente! Canto solo sotto la doccia o mentre faccio le pulizie sognando ancora ad occhi aperti di essere una rockstar. Si..passati i 30 anni lo faccio sempre 🙂 Un mio rimpianto? Purtroppo stupidamente non mi sono mai messa a studiare musica seriamente e non ho mai creduto al 100% in quello che facevo, lo facevo giusto per il piacere di farlo… non mi sono mai sentita un animale da palcoscenico e ho sempre avuto vergogna nel cantare di fronte ad altri.

D Chi è oggi Ilaria Rapalino ?

R L’Ilaria di oggi, rispetto a quella prima di partire, è positiva, molto indipendente e forte. In 5 anni è stata dura costruirmi delle amicizie abbastanza solide e dei punti di riferimento, ma adesso ho pochi amici veramente importanti per me che hanno vissuto le mie stesse difficoltà ed esperienze e che sono diventati come famiglia. Tutta questa esperienza mi ha fatto molto crescere e non avrei mai pensato di avere così tante soddisfazioni in ambito lavorativo. Per questo motivo sono veramente contenta e fiera di me stessa e del percorso che ho intrapreso.

D Vuoi attraverso il nostro giornale salutare la tua Livorno e gli amici che hai lasciato ?

R Saluto alcuni tra i pochi cari amici rimasti a Livorno che stanno iniziando a mettere su famiglia, al contrario di me 🙂 Di Livorno mi manca il cibo, il mare, l’odore di salsedine, il sole lucente, e quel lato super “verace”. Mi manca un pò vedere facce conosciute e salutare tutti, ma allo stesso tempo mi piace anche l’anonimato che c’è qui. Purtroppo per le mie ambizioni lavorative non c’è opportunità per me a Livorno, ma chi lo sa, forse un giorno mi immagino in una bella casa con giardino e vista mare, magari ad Antignano, e ad andare in bicicletta a fare la spesa al mercato di Piazza Cavallotti e fare quella vita tranquilla ma che ti rende felice con quelle piccole cose che impari ad apprezzare di più quando sei lontano da casa…

FRANCO BONACCORSI

1 Franco Bonaccorsi…cantante. Come ha inizio questa tua vocazione ?

Mi è sempre piaciuto cantare, fin da piccolo. Quando compravo i dischi imparavo subito i testi e le melodie per poter cantare dietro alle canzoni. Poi, per caso, a metà degli anni 80 un amico mi disse che la sua band stava cercando un cantante. Facevano cover di gruppi che ascoltavo e gli dissi che i pezzi li conoscevo, ma che non avevo mai fatto parte di una band. Andai alle prove pensando che mi avrebbero buttato fuori subito e invece mi presero.

2 Nel 1990 nascono i Death Cell. Hanno una peculiarità…gruppo senza chitarra…basso, batteria e voce. Perchè questa scelta ?

Scelta obbligata: non avevamo un chitarrista. La prima formazione dei Death Cell era composta da Alessandro Feri al basso, Francesco Lenzi alla batteria e me alla voce. I nostri generi di riferimento iniziali erano il punk, il dark, il doom e la psichedelia e volevamo fare una musica che, partendo da questo, mescolasse il tutto in qualcosa di personale e originale, scrivendo solo brani nostri, senza fare cover. Non era facile in quel momento trovare dalle nostre parti un chitarrista per un progetto di quel tipo. Cominciammo comunque a suonare insieme e a comporre i brani, cercando di trasformare quello che era una mancanza in un nostro punto di forza. Quello che suonavamo ci piaceva e piaceva anche a chi ci ascoltava, così abbiamo continuato.

3 Prima del vostro primo demo tape dal titolo omonimo The Death Cellsi unisce al gruppo anche una chitarra. Inevitabile

Sì, entrò in formazione Simone Lenzi e questo completò la band e ovviamente dette ai nostri brani maggiore respiro, sebbene il basso sia sempre rimasto lo strumento portante su cui sviluppare i pezzi. Nel frattempo, tra laltro, era cambiato anche il bassista, era arrivato Federico Cingottini dopo labbandono di Alessandro che voleva tornare a suonare la batteria, strumento che gli piaceva di più, e questo aveva dato nuova linfa compositiva e energia alla nostra musica.

4 La vostra musica vi ha portato a suonare nei più famosi palcoscenici della Toscana: Macchia Nera di Pisa, lIndiano e lEx-Emerson di Firenze, il Cave e il Topsy di Livorno, fino alla partecipazione alla Festa dellUnità di Pisa, dividendo la serata con gli Skiantos…una bella soddisfazione.

Sì, abbiamo suonato in giro più che potevamo. Al tempo facendo musica propria si poteva arrivare a suonare in locali, centri sociali e eventi importanti, anche se si era una band poco conosciuta. Ci è sempre piaciuto suonare dal vivo ed è così ancora oggi.

5 Nel 1994 il musicista, produttore e noto ex chitarrista dei Death SS Paul Chain, ascolta il vostro demo e vi invita a registrare un album completo nel suo studio di Pesaro, sotto la sua produzione artistica.
Nasce così “Magic Water, full-lenght del 1994, composto da 8 canzoni originali, in cui lo stile iniziale del gruppo si affina in un suono più personale, ancora più oscuro e musicalmente compatto e dirompente. Raccontaci.

Magic Water rappresenta la summa della prima parte del percorso musicale dei Death Cell. Ci fece piacere che un artista del calibro di Paul Chain avesse apprezzato la nostra musica e ci avesse chiamato nella sua casa/studio per registrare un album. Fu divertente vivere quellesperienza in quella casa antica, del 600 se non ricordo male, attorniati da teschi, croci rovesciate, chitarre e materiale da scena, a contatto con la follia musicale e personale di Paul Chain, che ci fece da produttore artistico, rendendo il nostro suono più gotico e pesante senza snaturarlo, anzi esaltandolo.

6 Finalmente vi fate conoscere anche fuori dei confini regionali e non solo; infatti suonate in una serie di date a livello nazionale, tra cui da ricordare lesibizione al Bar Tabacchidi Milano, e internazionale, come la manifestazione Tremplin Rockdi Parigi.

Dopo lincisione del disco, che fu pubblicato e distribuito nei negozi e sui cataloghi (al tempo lonline non esisteva..) dalla Zero Production, branca delletichetta indipendente Face Records di Tony Face, lex batterista dei Not Moving e le recensioni positive sulle testate giornalistiche musicali e di genere principali, abbiamo avuto loccasione di poterci far ascoltare fuori dalla Toscana: trasferte epiche e belle suonate. Mi ricordo a Parigi dove eravamo totalmente sconosciuti e invece ricevemmo un sacco di complimenti.

7 Nel 1995, nonostante i vari riconoscimenti, rimanete soltanto in due…che successe?

Il chitarrista e il batterista decisero di lasciare la band per terminare gli studi. Rimanemmo in due, basso e voce e provammo a ricostituire il gruppo, ma senza trovare una formazione duratura o soddisfacente. Abbiamo fatto anche qualche concerto in due, ma poi lasciammo perdere, anche perchè la vita e il lavoro portarono lontano anche me, ho vissuto molti anni allestero e il bassista.

8 Finalmente nel 2014 una reunion che vi vede protagonisti in una lunga serie di concerti, tra cui partecipazioni a manifestazioni di livello nazionale come MusicaW Festival di Castellina Marittima e Emergenza Festival al The Cage di Livorno. Tutto come prima?

  1. Come prima e meglio di prima. Ci siamo ritrovati per caso ancora una volta in tre: basso, batteria e voce, il nostro vecchio chitarrista ha appeso lo strumento al chiodo appassionandosi alla fotografia. Siamo quindi tornati a suonare e comporre nuovi pezzi senza la chitarra, come allinizio. Siamo rimasti soddisfatti di quello che abbiamo prodotto. Gli anni passati, le differenti esperienze musicali (nessuno di noi aveva mai veramente smesso di suonare) e le nuove influenze ci avevano dato un nuovo stile e migliorato compositivamente e tecnicamente, mantenendo intatta la nostra affinità e la facilità di creare nuovi brani. Abbiamo continuato quindi in tre per circa un anno e mezzo, fino a quando non è entrato in formazione il nuovo chitarrista. Ad oggi la formazione dei Death Cell, oltre a me alla voce, è: Francesco Lenzi (batteria), Alessandro Grassi (chitarra), Federico Cingottini (basso).

9 Nel 2017 viene pubblicato l’EP “Lancia In Resta” ma so per certo che attualmente in fase di lavorazione c’è un nuovo album che uscirà nel 2018. Anticipaci qualcosa dai

Si, Lancia In Resta è lanteprima del nuovo album dei Death Cell. Contiene brani originali composti dopo la nostra riunione e sono alcuni di quelli che andranno a comporre il nostro nuovo lavoro, che dovrebbe essere inciso nellautunno 2018. Sono grandi brani e siamo soddisfatti di come gli abbiamo incisi e di come ci rappresentino oggi. Ed i nuovi stanno venendo alla grande.

10 Franco quali sono le tue fonti di ispirazione?

Moltissime, musicali e non solo. Musicalmente ho sempre ascoltato e ancora oggi ascolto tanti generi e gruppi differenti, cercando di seguire le nuove uscite e le evoluzioni della musica. Non mi piace fermarmi al passato, ma cercare sempre novità da affiancare allascolto dei miei preferiti. Se devo darti i nomi di band che mi hanno influenzato, posso citarti a caso e non in ordine di preferenza: Black Sabbath, Stooges, Velvet Underground, Doors, Pink Floyd, Lou Reed, David Bowie, Sex Pistols, Clash, Joy Division, Bauhaus, Cure, Sonic Youth, Fugazi, Soundgarden, Janes Addiction, Ministry, Nine Inch Nails, Tool. Ma ce ne sarebbero molti, molti altri.

11 Hai un rimpianto, musicalmente parlando…un treno che hai visto sfrecciare davanti senza che tu sia salito ?

Ce ne sono molti, ma preferisco ricordare i treni che ho preso, che mi hanno dato esperienze ed emozioni.

12 Chi è oggi Franco Bonaccorsi ?

Come dice il grande Iggy Pop: I am the passenger and I ride and I ride

ALLMAN BROTHERS BAND – Seven turns (1990)

ALLMAN BROTHERS BAND

SEVEN TURNS

***1/2

Label Epic

Format Vinyl LP                                                                     

Country USA

Released 3 July 1990

Genre/Style Southern Rock – Blues Rock

Side A

1 Good clean fun ***

2 Let me ride ***

3 Low down dirty meal ****

4 Shine it on ****

5 Loaded dice ***

Side B

1 Seven turns ***

2 Gambler’s roll ****

3 True gravity **

4 It ain’t over yet **

Musicisti

Gregg Allman organ, lead vocals

Dickey Betts lead guitarlead vocals

Jaimoe drums, percussion

Butch Trucks drums, percussion, timpani

Warren Haynes lead guitar, vocals

Allen Woody bass guitar, background vocals

Johnny Neel piano, keyboards, background vocals

Duane Betts additional guitar on “True Gravity”

Seven Turns è il nono album pubblicato dalla band che a distanza di ben nove anni dal loro ultimo album in studio, ritorna sulla scena musicale grazie a questo lavoro, inizialmente pensato come una semplice reunion, anche se conta nuovi elementi come l’ottimo chitarrista Warren Haynes ed il bassista Allen Woody, entrambi accaniti fan del gruppo fin dalla loro adolescenza.
L’album si piazzò al cinquantatresimo posto della chart statunitense Billboard 200 e probabilmente è l’album più duro della band di Jacksonville.
Questa ed altre caratteristiche resero l’album accessibile ad una platea più vasta, con la conseguenza che lo stesso fu probabilmente meno apprezzato dai puristi.
L’opera, tuttavia, non è da ritenersi meno valida e, a distanza di anni, ha fatto ricredere anche gli scettici di un tempo. La concretezza delle composizioni e delle esecuzioni non va infatti confusa con la ricerca effimera della commercialità, concretizzandosi invece in una raggiunta maturità, specchio di genuino adeguamento ai tempi. In poche parole…grandissimo disco.

BEATLES – Abbey Road (1969)

BEATLES

ABBEY ROAD

***+

Label Apple

Format Vinyl LP                                                                

Country UK

Released 26 September 1969

Genre/Style Rock

Side A

1 Come togheter ****

2 Something ****

3 Maxwell’s silver hammer **

4 Oh! Darling ***

5 Octopus’s garden ****

6 I want you (she’s so heavy) **

Side B

1 Here comes the sun ****

2 Because **

3 You never give me your money ***

4 Dun King **

5 Mean Mr Mustard **

6 Plythene pam ***

7 She came in through the bathroom window ***

8 Golden slumbers ***

9 Carry that way ****

10 The end ***

Musicisti

John Lennon voce, chitarra, piano, organo, sintetizzatore, tamburello, maracas

Paul McCartney voce, basso, piano, oragano, sintetizzatore, percussioni

George Harrison chitarra solista, voce, organo, harmonium, percussioni

Ringo Starr batteria, percussioni, cori, piano, timpani

Abbey Road è il decimo album dei Beatles. La rivista Rolling Stone lo ha inserito nel 2012 al 14º posto della lista dei 500 migliori album, mentre la rivista New Musical Express lo posiziona al 34º posto della sua analoga classifica dei migliori 500 album.
Le prime ipotesi per il titolo furono “Four in the Bar” e “All Good Children Go to Heaven”, ma quello che alla fine sembrava essere in prima posizione fu “Everest”, (la marca di sigarette che fumava all’epoca il tecnico del suono dei Beatles Geoff Emerick), ma la prospettiva di volare in Tibet per scattare la fotografia per la copertina non trovò consensi. Quasi per gioco, Ringo propose “Abbey Road”. E così nacque l’idea del nome. L’8 agosto i Beatles attraversarono le strisce pedonali poste davanti agli studi di registrazione, e la celebre copertina dell’album che immortalò la scena avrebbe fornito ai sostenitori della leggenda della morte di Paul McCartney diversi elementi a sostegno della loro tesi. Per il resto che dire…un tardo capolavoro di una band in via di scioglimento, che passerà il testimone l’anno dopo a nuovi gruppi e nuove maniere di fare musica.

CLAPTON ERIC – There’s one in every crowd (1975)

CLAPTON ERIC

THERE’S ONE IN EVERY CROWD

***

Label RSO

Format Vinyl LP                                                             

Country USA

Released March 1975

Genre/Style RockBluesGospelReggae

Side A

1 We’ve been told (Jesus coming soon) ***

2 Swing low sweet Chariot ****

3 Little Rachel ***

4 Don’t blame me **

5 The sky is crying ***

Side B

1 Singin’ the blues ***

2 Better make it through today **

3 Pretty blue eyes **

4 High ***

5 Opposites ***

Musicisti

Eric Clapton voce, chitarra acustica, elettrica, dobro

George Terry chitarra acustica ed elettrica, voce

Jamie Oldaker batteria, percussioni

Dick Sims organo, pianoforte

Carl Radle basso elettrico, chitarra elettrica

Terzo album della carriera solista del chitarrista di Ripley, registrato in Jamaica a pochi mesi dall’eccellente 461 Ocean Boulevard. Parole sussurrate, piccoli tocchi strumentali, una coinvolgente sensazione di “respiro” sono gli elementi che donano vitalità ad un lavoro che ad oggi viene ricordato più per il cane triste immortalato sulla sua copertina che per l’efficacia dei suoi contenuti. Sarà che ho un debole per manolenta ma a me il disco è piaciuto molto. Suonato come Dio comanda e poi…Eric è anche un grande cantante..

MUSICOTERAPIA

Sin dagli albori della storia dell’uomo ogni popolo ha organizzato, in ogni tempo e in ogni luogo, manifestazioni musicali riconoscendo alla musica il potere di influire sulle emozioni. Per gli antichi Egizi, già nel 1500 A.C. il fascino della musica aveva una notevole influenza nella fertilità della donna. Anche la Bibbia riporta una testimonianza a favore dell’uso terapeutico della musica (Samuele 1,16-23). I Greci la usavano per curare malattie fisiche e mentali. Moltissimi dei nostri comportamenti quotidiani sono figli dell’effetto terapeutico della musica: il più comune è quello di rilassarsi dalle fatiche e dallo stress della giornata ascoltando un buon disco. Pensiamo ad ogni mamma affettuosa che, per calmare il pianto del suo bimbo, intona una dolce “ninna nanna”o ai suoni che contribuiscono a “svegliare” pazienti in stato di coma. E ancora guardiamo tutti quei momenti dove la musica rievoca situazioni vissute, ricordi e ci offre momenti di pace, nostalgia, ansia, terrore. Oggi la musica è considerata a tutti gli effetti una medicina e usata a scopo terapeutico sotto il nome di musicoterapia. Naturalmente sarebbe ingenuo pensare che un raffreddore possa essere curato con una canzone di Bob Dylan o un mal di pancia con un pezzo di Bruce Springsteen, ma non sarebbe affatto strano parlare di sintomi di origine nervosa trattati con terapie musicali. Infatti le applicazioni della musicoterapia sono e rimangono prevalentemente in campo psicologico e sociale, agendo in profondità, interessando il nevrotico fino a risolvere il suo male in una sorte di sublimazione. Non di rado negli Stati Uniti l’uso della musica è richiesto come anestetico in piccoli interventi chirurgici in cui il paziente viene distolto da sensazioni dolorose con l’ascolto di musica adatta ai suoi gusti. Chiaro è quindi che la musicoterapia può essere applicata solo in applicazioni specializzate e sia ha notizia certa di risultati ottenuti contro le balbuzie, l’Alzheimer, il gioco d’azzardo, l’afasia, nonché come sostegno durante il parto e aiuto negli anziani soprattutto se vivono l’ultima parte della loro vita da soli o in un istituto. Quindi, come ho sempre sostenuto, la musica non è solo “canzonette”, ma qualcosa molto di più.

GIACOMO IASILLI

D Giacomo Iasilli, bassista…in un mondo dominato dalle chitarre…perchè questa scelta ?

R Perché grazie a mio fratello maggiore chitarrista Luigi (Gigi) e al mio zio bassista Corrado Ravera, sono stato portato sulla strada delle 4 corde quando ancora non avevo 10 anni, per aiutare mio fratello nelle registrazioni autoprodotte con il 4 tracce a cassetta, del suo progetto VILTUDO ( nel quale entrerò ufficialmente ad appena 12 anni).

D Nel 2008 sei tra i fondatori del gruppo Compact Moroboschi…raccontaci iniziando dalla “traduzione ” del nome…

R Nel 2008 con i Compact (appunto compatti) abbiamo scelto una formazione minimale con il mio attuale socio in affari Alessandro Quaglierini ed il nostro amico dj/artista Michael Rotondi, che potesse essere un riassunto ermetico delle varie influenze punk, rock, elettroniche che da sempre ci avevano fatto da comune denominatore. Moroboshi è stato aggiunto perché suonava bene nel nome ed è una citazione ad ATARU MOROBOSHI protagonista dell’anime giapponese LAMU’.

D Difficile etichettare il vostro genere…molte le influenze, dai Ramones ai Nirvana passando dagli Eagles

R Si, spaziare attraverso i generi musicali diversi aiuta ad apprezzare la musica nella sua totalità

D Nel 2011 vede la luce il vostro primo lavoro omonimo…una bella soddisfazione…

R Il progetto è stato interamente auto prodotto, registrando con i nostri mezzi, nel nostro studio a Livorno. Per la distribuzione invece abbiamo scelto il canale digitale (CD BABY e le varie piattaforme standard del web) oltre ad una minima parte di stampe (intorno alle 1000 copie)

D Compact Moroboshi è rimasto figlio unico o la famiglia si è allargata ?

R Tutto è rimasto in sospeso a causa del trasferimento di Michael a Milano, e per l’impossibilità da parte mia e di Alessandro di connubiare lavoro notturno (siamo i titolari de LA SVOLTA PUB e del FRANKIE PUB)

D Al di là del genere musicale del gruppo quali sono i tuoi punti di riferimento da bassista, i tuoi mostri sacri ?

R I miei punti di riferimento restano comunque legati al funk e alla musica con ritmiche molto preponderanti, anche se ultimamente ho cominciato ad avventurarmi nella storia del jazz.. ma è un altro capitolo.

D Progetti futuri del gruppo? Possibilità di esibizioni a Livorno ?

R Per il futuro, spero di poter riuscire a realizzare un altro disco con i compact, e magari anche di pensare a una reunion dei Viltudo, con mio fratello.. perché no? Probabilmente riusciremo a breve a partorire un altro lavoro, tempo permettendo… ci stiamo lavorando!

D A proposito di Livorno…da sempre la città a dato vita a centinaia di gruppi che per una città di provincia è un fiore all’occhiello…quale è il tuo rapporto con la realtà musicale cittadina ?

R Livorno da sempre è portatrice di input meravigliosi, anche se da qualche tempo la mancanza di realtà come palchi più piccoli o semplicemente spazi all’aperto di libera fruizione, sembrerebbero aver affievolito questo fermento.

D Giacomo quale è quel treno sul quale non sei salito e “ti mangi le mani” ?

R Sono state molte le occasioni, ma alla fine ho capito che l’importante è affrontare sempre tutto con molta onestà interiore. Non è detto che quello che un musicista cerca sia la fama o il successo… le occasioni oggi per me, sono fatte di minuti insieme a musicisti fantastici con cui magari ho la possibilità di scambiare due note, o semplicemente un pensiero.

D Chi è oggi Giacomo Iasilli ?

R Giacomo Iasilli oggi è un ragazzo un pò più grande, ma ancora con dentro molte cose da voler realizzare.

 

BARRETT SYD – The madcap laughs (1970)

BARRETT SYD

THE MADCAP LAUGHS

**+

Label Havest

Format Vinyl LP                                                            

Country UK

Released 3 January 1970

Genre/Style Rock psichedelico

Side A

1 Terrapin **

2 No good trying **

3 Love you **

4 No man’s land **

5 Dark globe **

6 Here I go **

Side B

1 Octopus ***

2 Golden hair **

3 Long gone ***

4 She took a long cool look a t me **

5 Feel **

6 If it’s in you **

7 Late night **

Musicisti

Syd Barrett voce, chitarra

Vic Saywell corno

David Gilmour basso, batteria in Octopus

Jerry Shirley batteria

John Wilson percussioni

The Madcap Laughs è il primo album solista di Syd Barrett dopo essere stato rimpiazzato nei Pink Floyd da David Gilmour per il suo comportamento imprevedibile. The Madcap Laughs” è molto piu adatto alla personalità di Syd, libero di vagare per mete lontane con la sua chitarra acustica, senza un accompagnamento necessariamente corposo il che aiuta anche la sua voce a essere piu profonda e toccante. Da ascoltarsi in tutta la sua reale follia in giornate nebbiose e plumbee, confidando in un alba solare dissipatrice dei fantasmi. The Madcap Laughs è un disco visionario, ma non esente da difetti: alcune delle canzoni sono infatti veramente dolorose da sentire, per quanto rappresentino chiaramente la battaglia che Syd avrebbe perso contro la realtà.

 

AMERICA – Alibi (1980)

AMERICA

ALIBI

**1/2

Label Capitol

Format Vinyl LP                                                                 

Country USA

Released 15 August 1980

Genre/Style Pop/Rock

Side A

1 Survival ****

2 Might be your love ***

3 Catch that train **

4 You could ‘ve bee the one **

5 I don’t believe in miracles *

Side B

1 I do believe in you *

2 Hangover ***

3 Right back to me ***

4 Coastline *

5 Valentine **

6 One in a million *

Musicisti

  • Gerry Beckley lead and backing vocals, keyboards, guitars, bass, harmonica
  • Dewey Bunnell lead and backing vocals, guitars, percussion

Alibi è il nono album del gruppo californiano.
Il risultato è un suono più marcatamente rock, ma a spiccare è la melodia struggente di “Survival”, un’elegante ballata country-pop che spopolerà in particolare in Italia, complice anche una partecipazione al Festival di Sanremo.
Tuttavia l’album, griffato da un’orrenda copertina con la foto di una testa mozzata di bambola sullo sfondo di un deserto, si rivelerà un mezzo flop e non riuscirà ad andare oltre la posizione n. 142 delle classifiche statunitensi.
Leggero.

ALBERTO VELGI

1 Tutto ha inizio nel 2004…nascono i Back One Out con Alberto Velgi alla batteria…

Esatto, il progetto back one out inizia ufficialmente nel 2004, ma sotto altro nome, “RAID” suonavamo insieme già dal 2001 ed il mio primo approccio alla batteria risale al 1999 all’età di 11 anni.

2 Il vostro genere può essere definito punk rock ma con lo sguardo rivolto alla California piuttosto che all’Inghiltera di metà anni 70

Sicuramente ci avviciniamo più alla California che all’Inghilterra, ma a mio parere l’etichetta punk rock non credo rispecchi a pieno il nostro genere, la considero un po’ riduttiva, in quanto sicuramente nasce da quella base ma abbiamo sempre cercato di distaccarcene in qualche modo, cercando di dare al nostro suono articolazioni musicali più complesse e ricercate, tempi dispari, virtuosismi ed altro, sfaccettature che nel classico punk rock formato da accordi e 4/4 non sono richieste.

3 It could be worth it è il vostro ultimo lavoro…soddisfatti?

A mio parere rappresenta un buon lavoro, l’unico interamente autoprodotto, compresa la registrazione… contenti che ha avuto anche buon successo all’estero

4 E’ una mia sensazione o il suono si è fatto più duro, più “crudo”, quasi metal ?

Sensazione esatta, la nostra intenzione è sempre stata quella di allontanarci da suoni “leggeri” ed avvicinarci ad un suono più “forte” mantenendo una parte vocale melodica.

5 L’album è stato anche presentato con un tour in Spagna…bella esperienza…

Bellissima esperienza, con un riscontro molto positivo, nonostante il cambio improvviso di formazione poco prima della partenza, colgo l’occasione per ringraziare Andre (voce) e Giorgio (chitarra) per la disponibilità che ci hanno dato e sicuramente è anche merito loro la riuscita di questo tour, inoltre ringrazio Matte (roadie) per il suo supporto.

6 Quali sono le tue fonti di ispirazione , i tuoi punti di riferimento?

Sono un batterista completamente autodidatta ed ho sempre pensato che questo metodo può essere molto valido e forse l’unico per avere una propria personalità dietro le pelli.. ad avvalere questa mia teoria è stato un concorso di batteria internazionale al quale ho partecipato quando avevo 20 anni, premiandomi con un 3 posto su 500.000, votato da batteristi come Salvador Niebla, Vinnie Colaiuta e Neil Peart. I batteristi dai quali ho preso ispirazione sono indubbiamente: Derrick Plourde, Jordan Burns e Jimmy Sullivan,

7 Oltre ai Back One Out hai fatto parte di altre band?

No, ho sempre creduto in questo progetto senza mai allontanarmene, eccetto qualche momentaneo aiuto ad amici in cerca di batterista.

8 Quali progetti futuri? C’è in previsione una esibizione a Livorno?

La band è stata completamente ricostruita con nuovi membri, io e mio fratello siamo rimasti gli unici della vecchia formazione. Ci stiamo riassestando e stiamo completando il 4 album, presto riusciremo anche a tornare sul palco…

9 I tuoi gruppi preferiti…

Strung out, Lagwagon, Rise against, Avenged sevenfold…

10 In definitica…chi è oggi Alberto Velgi ?

Sono un trentenne che in campo di batteria non si stanca mai di provare nuove tecniche e virtuosismi da applicare. Mi piace molto scrivere i testi delle canzoni e anche se gli anni passano, l’entusiasmo per la musica non mi abbandona e spero che non lo faccia mai.