STEFANO CIURLI

Intervista a Stefano Ciurli

ciurli-e-gli-mk5-ieriD – Un bel giorno incontrasti un basso…fu subito amore?

R – Si, fu subito amore. Un suono “grosso” che si impossessò di me. Il mio primo basso fu un “Hollywood” bianco…avevo 14 anni.

D – Nel 1970 inizia l’avventura degli MK5

R – Mi chiamò Massimo Suardi…cercava un bassista…colsi l’occasione al volo ed entrai a far parte degli MK5

D – Che ricordi hai della scena livornese di quegli anni?

R – Grande atmosfera! In ogni cantina c’era un gruppo che suonava…

D – Nel 1978 il gruppo si sciolse…ma

R – Il gruppo si sciolse a causa della “naia” che ci chiamò quasi tutti…ma nel 2008 abbiamo deciso che era tempo di ricominciare.

D – Quali sono i bassisti che più ti hanno influenzato?

R – Senza dubbio Paul McCartney e Glenn Hughes

D – C’è un treno sul quale non sei salito, musicalmente parlando ,e te ne sei pentito?

R – Era il 1985…un certo Adelmo Fornaciari, cantante alle prime armi che si faceva chiamare Zucchero, stava cercando un bassista per il suo gruppo: io, molto astutamente, per la distanza…rifiutai.

D – MK5 oggi…un gruppo di amici oltre che musicisti.

R – Siamo come fratelli. I fratelli litigano, si arrabbiano, ma dopo tutto finisce con una risata. Pensa che dagli anni ’70 siamo rimasti i soliti e non abbiamo mai cambiato formazione.

D – Progetti futuri del gruppo?

R – Cercare di fare più serate possibili con il piacere di divertirsi e di far divertire chi ci segue e chi ci ascolta.

D – Oltre ai tuoi “partners” c’è un musicista che ammiri in particolare della scena musicale livornese con il quale ti sarebbe piaciuto suonare?

R – Mi piace molto Bobo Rondelli e il suo repertorio…una suonatina insieme la farei volentieri.

D – Chi è oggi Stefano Ciurli?

R – Un marito, un babbo e un nonno sempre appassionato di musica sia nostra che di altri amici.

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SIMONE LUTI

SIMONE LUTI

Suono il basso e mi piace il funk 
Leggo ogni genere di libro, tranne le cose che piacciono a tutti.
Stessa cosa per i film.

In questo pensiero c’è tutta la filosofia di vita di Simone Luti, nato a Livorno il 5 maggio 1975.

Bassista sopraffino, bravissimo a “calarsi” in ogni situazione musicale, straordinario musicista ma soprattutto meravigliosa persona, è giustamente il primo a far parte di questa “carrellata” di musicisti livornesi di ieri e oggi.

Suona in pratica da sempre, conosciutissimo nella sua città, ma apprezzato in ogni luogo dove la buona musica è di casa, ha risposto volentieri alle domande a lui rivolte.

 

unnamedD – Te e il tuo basso. Sei te che hai scelto lui o lui te?

R – Roberto suonava già la chitarra da qualche mese, io nel frattempo, a circa 12 anni, rimasi folgorato da un jingle pubblicitario dei romanzi Harmony. Chiedi a mio padre che cosa fosse a produrre un suono così e mi rispose che era un basso elettrico. Mio zio aveva un vecchio basso chiuso in un armadio, me lo regalò, mio padre mi insegnò un giro di blues e cominciai a suonare con lui alla chitarra ritmica e Roberto che suonava la pentatonica sull’altra chitarra elettrica di casa. Diciamo che io ho scelto il basso ma lui ci ha messo del suo.

D – Un bassista è un chitarrista pentito?

R – No davvero, no! Un bassista riesce a porsi nel mezzo tra ritmica e melodia, è il perno e l’equilibrio. Il basso è uno strumento relativamente giovane, essendo nato negli anni ’50 e oggi è probabilmente lo strumento che si è sviluppato maggiormente, come tecniche, ricerca del gusto e dell’armonia ed espressività. Essere un bassista è coprire un ruolo fondamentale, tanto che spesso il basso lo si nota poco ma, se non ci fosse, si noterebbe l’assenza di un motore, un qualcosa che pulsa.

D – Racconta ai lettori i tuoi esordi…

R – Il primo concerto l’ho tenuto a Tirrenia assieme al grande chitarrista Tolo Marton, in duo, suonando qualche brano; probabilmente avevo compiuto 14 anni da un paio di mesi. Era il 1989, anno nel cui novembre io e Roberto conoscemmo Rolando Cappanera, figlio dell’indimenticato Roberto e nipote di Fabio, batterista e chitarrista della Strana Officina. Quel novembre ci trovammo proprio nello studio della Strana, suonammo circa 3 ore e ci divertimmo un sacco. Nacquero i First Experience, il trio blues che ha portato noi tre a girare in tutta Italia dai club ai grandi palchi, prima da soli come band strumentale e poi con Johnny Salani alla voce, colui che in realtà ci fece conoscere quel novembre.
Con la scomparsa di Fabio e Roberto Cappanera Rolando uscìi da First Experience per proseguire nella Strana Officina, io e Roberto suonammo con altri batteristi anche se io entrai a far parte di un progetto metal proprio con Rolando. Con Rola in definitiva non ho mai smesso di suonare.

D – Poi è venuto l’Ottavo Padiglione…

R – Grande esperienza formativa, fuori dai miei territori sicuri, musicalmente parlando. Roberto era a New Orleans, Rolando faceva il turnista, io entrai in questa storica band e ne uscii con un bagaglio decisamente importante. A 24-25 anni lavorare con produzioni del genere, suonare con una persona estrosa e potente come Bobo Rondelli, cercare di essere preciso sul beat e cattivo o rilassato quando serviva… Insomma, la maggior parte del mio modo di essere professionista e professionale deriva dall’esperienza con l’Ottavo.

D – Dopo?

R. Tanti turni in studio, un po’ di concerti in club e qualche live con Dj ed elettronica, mondi da esplorare tipo l’hip hop e l’house music, la drum ‘n’ bass e la techno. Un altro modo di suonare, quasi meccanizzando l’azione umana e pensando il tempo e la melodia con la mente di un producer di dance. Anche queste esperienze hanno avuto un’impronta forte nel mio stile.

D – E si arriva ai TRES

R – Il cerchio che si chiude e diventa un autostrada! Dai First Experience ai Tres Radio Express Service, io, mio fratello Roberto e l’altro fratello, Rolando. Questo più che un gruppo è un parco giochi dove regnano libertà ed espressività a livelli mai avuti. Non è semplice un trio del genere, per di più strumentale. Il basso è un raccordo tra la batteria potente e determinata di Rola e la capacità di Roberto di cantare con la chitarra. Improntiamo tutto sul groove, mescolando i nostri tre stili che sono di estrazioni completamente diverse ma che per un caso si complementano e si completano. Per me è divertimento allo stato puro, non solo musicalmente, ma anche a livello umano.
D – I fratelli Severini ti hanno scelto per far parte del loro gruppo, i mitici Gang.
Che esperienza è?

R – I Gang sono più di un gruppo. Sono una voce che canta i limiti e le potenzialità della società, le sue storie e le sue radici. Il percorso dei Gang è fatto di mille incontri con luoghi e persone che i fratelli Severini hanno conosciuto in più di 30 anni di carriera. Personalmente vivo il fatto di essere il bassista dei Gang come un onore e un’esperienza formativa. In questi 6 mesi ho imparato cose riguardo la musica, oltre la musica e concetti di rara umanità che mai avrei sperato di poter assimilare. Mi trovo in famiglia coi fratelli Severini e col resto della band, Marzio Del Testa, Jacopo Ciani e Fabio Verdini. Non mi sento il sostituto del bassista precedente,  mi sento il bassista dei Gang, e per questo motivo ho molti stimoli nel partecipare all’arrangiamento delle mie parti e a far girare il mio basso come meglio serve alla band. Marino e Sandro non pongono veti, qui sta anche la loro grandezza: vogliono tirare fuori il meglio secondo le nostre attitudini e lo fanno con grande intelligenza e rispetto. Insomma, lo ribadisco, per me è un onore suonare nei Gang e per i fan dei Gang, grandi persone anche loro.

D – Sta per uscire sul mercato il nuovo lavoro dei TRES dopo un crowfounding che ha visto decine e decine di adesioni, sintomo della grande stima che il pubblico ha di voi. Puoi anticipare qualcosa?

R – Anticipo solo una cosa: è un disco molto diverso dai due precedenti, più maturo, in parte live in parte con sovraincisioni, cosa che nei primi due non c’era. Sono pezzi, nati dal vivo o alle prove, oppure improvvisati in studio. È stata un’esperienza totalizzante perché abbiamo affittato una casa nei pressi dello studio di registrazione stando così a contatto 24 ore su 24; credo che oltre al normale affiatamento questo si senta in tutte le tracce del disco.

D – Ti inorgoglisce un pò il fatto di essere il fratello di uno dei più grandi chitarristi del mondo (mi prendo tutta la responsabilità di questa affermazione) quale è Roberto Luti?

R – Certo! L’ho sempre detto: prima che essere mio fratello, Roberto è il mio chitarrista preferito. Suonare con lui ti porta a suonare in modi che non pensavi neanche di poterti permettere. È uno di quei musicisti che ti fa crescere in un attimo. In più è mio fratello, quindi posso anche prenderlo in giro e scherzarci avendoci la massima confidenza possibile!

R – Metti in fila i 5 miglior bassisti di sempre a tuo giudizio.

D – Jaco Pastorius, Colin Hodgkinson, Donald Duck Dunn, James Jamerson e Victor Wooten

SERGIO BRUNETTI

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1 Organo e piano…i tuoi strumenti da sempre

Mi ricordo che disegnavo le tastiere e suonavo sui… fogli. In casa mia i soldi erano pochi. Per due anni non uscii, niente pizze, niente di niente (passavo per tirchissimo!) e alla fine, grazie ai risparmi e all’aiuto di una zia, a Natale 1970 riuscii a comprarmi il più economico e semplice tra gli organi portatili a 2 tastiere:EKO Tiger duo, 160mila lire. L’ho tenuto 14 anni e non l’ho mai amato. Non aveva niente dei suoni che mi piacevano. Per fortuna il chitarrista del mio gruppo, Stefano Lunardi, mi regalò un rarissimo VOX reverbe a valvole, ex di suo fratello grande professionista coi Satelliti. Anche se molto ingombrante, non era un amplificatore, solo un effetto, col quale l’organo assumeva suoni plausibili. Comprai il pianoforte subito dopo avere scoperto che Pictures at an exhibition di Mussorsgy era stato scritto appunto per pianoforte. Conservo ancora la compact cassette con Sviatolav Richter che ne era uno dei migliori interpreti, registrata alla radio. Negli ultimi 20 anni finalmente strumenti ne ho avuto tanti e davvero belli. L’unico che mi manca è un vero Hammond, che spero di prendere finalmente il prossimo anno. Oggi il computer è diventato forse lo strumento col quale faccio più cose. Partiamo dal 1975 quando scrissi la mia prima musica per computer al CNUCE (CNR) di Pisa. Allora i miei amici musicisti mi dicevano: la musica col computer? Una cosa disumana, non si potrà mai fare. A distanza di 40 anni oggi si può dire che non esista musica non fatta con il computer.

Sempre col computer nel 1979 fui tra i fondatori di una scuola di musica per il Centro di educazione permanente in via Poerio a Livorno nella quale creai la classe PECSE (Pratica e composizione con strumenti elettronici) usando un PC ibrido musicale Yamaha.

Poi nel 2003 una delle cose più pazze della mia vita. 3 rappresentazioni col tutto esaurito: 4 mori, Effetto Venezia e Chiesa del Soccorso. Otto tastieristi collegati a 2 PC da me programmati che eseguivano ognuno una sezione dell’orchestra accompagnando cantanti lirici in una opera buffa di Donizetti. Io suonavo le percussioni direttamente con il mouse, perché non erano disponibili altre tastiere. A quel tempo Windows (in versione 98!!!) per fare musica era visto proprio male, ma come mi aspettavo, non ci fu il minimo inconveniente. Il problema del PC non è il PC ma chi lo ha concepito, chi ci ha messo le mani e il software. Per il resto, pur avendo sia PC che MAC mi trovo decisamente meglio nel mondo PC, che paragono alla vacanza fai da te. Se conosci le lingue e ti sei preparato godi molto di più che in un villaggio turistico, che paragono al MAC, dove devi fare tutto ciò che è stato pensato dagli altri (per gli altri), ovvero una prigione dorata. E avendo girato il mondo e lavorato in villaggio turistico, come aver avuto i migliori computer Apple e PC, sfido chiunque a dimostrarmi che non è vero! Sull’argomento nel 2003 ho realizzato uno dei miei sogni di gioventù: ho scritto un libro vero, per Mondadori: Suoni e musica con il PC.

Attualmente il PC lo uso per comporre ed eseguire le mie composizioni che sono state usate in spettacoli teatrali e trasmissioni televisive, e corti cinematografici.

2 Il tuo primo gruppo “L’ultimo volo”…era il 1972. Che ricordi hai di quel tempo e della scena musicale livornese. Di positivo, mi ricordo la prima volta che suonai con Stefano Lunardi alla chitarra acustica, probabilmente era My sweet Lord. La magia delle nostre note che si mescolavano in modo armonico era una sensazione meravigliosa, mai provata prima. Poi le giornate a provare, tutti i giorni per ore. Tutti i giorni portavo il Tiger duo nella cantina dove provavamo e poi di nuovo a casa per perfezionare i pezzi da solo. Il debutto al Teatro Salesiani, vicinissimo alle case di tutti e tre, fu una cosa sognata per anni. Avevo visto un concerto allo stadio nel quale suonavano le Orme. Tony Pagliuca imitava Keith Emerson ed io imitai l’imitatore. A un certo punto detti un colpo alla sedia che volò all’indietro e inclinai l’organo appoggiandolo alle gambe suonando in piedi. Fu un’esibizione memorabile, ancora trovo a volte persone che me la ricordano: debuttava un musicista enorme come Stefano Lunardi. Rolando Calabrò agguerritissimo alla batteria, e io all’organo che riuscii a non farmi adombrare dagli altri. Infatti qualche tempo dopo, tutti e tre in gita turistica, quando ci pavoneggiavamo con delle ragazze sul pullman, ad un certo punto una di loro, disse: ”Ah.. tu sei l’organista pazzo! Me ne ha parlato mia sorella.” La tattica di Emerson per farsi notare aveva funzionato in pieno! Di negativo ricordo le gare a chi suonava la scala più veloce degli altri, non le ho mai fatte. Per quanto riguarda gli altri tastieristi, l’unico ricordo positivo che ho, oltre a meravigliosi musicisti con cui ho suonato, è Francesco Cannizzaro che ci ha lasciato purtroppo con troppo anticipo. Era l’unico tastierista che invece di ostentare un’inutile scala veloce, suonava bene, con umiltà e disponibilità che abbia conosciuto al tempo. Di negativo mi ricordo i chitarristi e bassisti che facevano a gara a tenere tutto ad un volume folle, ragione per cui, a parte Stefano, li trovavo insopportabili, e Rolando passò dalla batteria al basso, visto che i bassisti ci facevano impazzire. Al tempo mi sentivo sicuramente il peggiore come preparazione tecnica del gruppo, e fui contentissimo quando nel 197777 fui chiamato come solista ad aprire un concerto dei migliori allievi e futuri insegnanti del Mascagni a Villa Fabbricotti. Fui presentato come pianista jazz, cosa che era anni luce dalla mia preparazione. Suonai tutti pezzi trascritti nota per nota: due boogie di Count Basie, un pezzo che poi era la versione originale del Nutroker fatto anche da Emerson Lake & Palmer e poi, ero talmente emozionato che feci il jazzista davvero. Ad un certo punto, suonando It’sa raggy waltz di Dave Bruneck, ebbi un vuoto di memoria per cui andai avanti improvvisando in modo plausibile, capii che forse non ero così male come avevo sempre pensato. Negli ultimi venti anni sono riuscito a risuonare con nuove versioni de L’ultimo volo. In una fase suonava Sergio Adami, nell’altra Rolando Calabrò. Non sono mai riuscito a risuonare con Stefano, attualmente in forza con Bobo Rondelli, che comunque è venuto almeno in sala a vederci.

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3 Ultimo volo gruppo particolare..solo 3 elementi… Il gruppo in realtà nacque con 5 elementi: 2 chitarre, basso, organo e batteria, ma una chitarra e il basso lasciarono alla seconda prova. Rimanemmo in tre e decidemmo che fino a che non avessimo trovato un bassista che andasse a tempo e nello stesso tempo non ci avesse spaccato gli orecchi, ci saremmo divisi la parte del basso tra me e Stefano Lunardi. Non sapevamo niente della formazione dei Doors, lo giuro! In effetti non era facile trovare adolescenti che fossero in grado di capire e suonare, Mahavisnu Orchestra, Banco del mutuo soccorso del quale penso siamo stati una delle primissime cover band e gruppi simili! Fu così che cominciai a dare + importanza alla mano sinistra rispetto alla destra e questo mi ha sempre contraddistinto rispetto alla media. Quando Stefano lasciò il gruppo per contuinui litigi per via che entrambi si erano innamorati della mia sorella putativa Antonella, Rolando rimase con me. Continuammo a non trovare un bassista che ci piacesse e così Roly cominciò a studiare il basso e avemmo la fortuna immensa di incontrare Sergio Adami (poi tra i fondatori dell’Ottavo padiglione) che ci fu presentato dal nostro amico Fabrizio Marinari, cantante fissato con Peter Hammil, che lo sentiva suonare a ore nel garage di fronte a casa sua. Fu naturale suonare Nice e ELP.

4 Il tuo genere preferito è sempre stato il prog. (Ricordo ancora i nostri diverbi…), ed Emerson Lake e Palmer…nella maturità ti sei ravveduto ? Infatti, nella musica ho sempre cercato, come nella vita: la bravura, la sorpresa, l’ardimento, l’ironia e un’aggressività a fin di bene (un po’ come quella dei rugbisti). Emerson era la persona perfetta. Quando è morto ho pensato che musicalmente non avevamo perso molto, ma poi col tempo ho realizzato che è morto un innovatore all’ennesima potenza e mi è ritornata la vecchia passione e un po’ di tristezza per non averlo conosciuto. Ho parlato con un suo amico italiano, il comico Flavio Oreglio e come tutti gli altri che ne hanno ricordato le gesta, mi ha detto che era simpaticissimo, sempre in vena di scherzi, umilissimo. A dire il vero posso dire di averlo incontrato e di avere in qualche modo generato in lui una reazione. Quando venne con Palmer a veder il Banco al Goldoni li aspettammo per strada. Quando stava per entrare nella Mercedes 600, mi ritrovai incredibilmente a circa mezzo metro da lui. Porbabilmente la mia sorpresa generò in me una faccia poco affidabile, mi ricordo che saltò in macchina e mentre mi accostai allo sportello pigiò con la massima velocità e la faccia davvero spaventata il “pippolo” che usava una volta sulle auto per bloccare la chiusura. A proposito di prog, il mio amico livornese Gabriele Baldocci sta formando un gruppo a Londra davvero interessante, tra un po’ faranno 2 date in Toscana, tienilo presente per una tua intervista!

Una cosa che pochi sanno è che sono stato uno dei primi rappatori italiani. Nel 1983 feci un viaggio di 6 settimane negli USA e conobbi il mondo hip-hop, rap e break-dance rimanendone incantato. Conservo sempre gelosamente e aggiungerei orgogliosamente un nastro con registrati la famosa Serna Dandini e il meno famoso Luca de Gennaro che eseguono un mio rap su RAI Radio 2 nel 1984 con la presentatrice che alla fine dice “Bravo Sergio Brunetti!”.

5 Ricordi l’esperienza con Orchestra Pop? 1975… Capitava che L’ultimo volo facesse delle apparizioni in contesti “pagati”. Siccome il nome L’ultimo volo nella nostra mente doveva essere “puro” e legato solo a partecipazioni teatrali, senza compromessi, quando facevamo “sala” usavamo altri nomi. Divertentissima fu l’esperienza denominata “I tremendi del liscio”. Ci chiamarono per fare liscio ad una festa sotto la chiesa di Collinaia (io ero l’organista delle chiesa, dove andavo a studiare l’organo con i bassi, che il mio organo non aveva). Non avevo mai fatto liscio in vita mia. Il sassofonista, esperto del settore, ogni tanto emetteva dei suoni strani per le risate che gli venivano vedendo i miei zampettamenti sulla tastiera. Come previsto, fummo tremendi di nome e di fatto, ma ci divertimmo un sacco facendo una musica così lontana dai nostri gusti. E qui ribadisco la mia continua ricerca di sorpresa e ironia che per me sono sempre fattori determinanti per la vita.

6 Oltre a Keith Emerson quali altri tastieristi hai ammirato? I primi che mi vengono a mente,non in ordine di gradimento: Art Tatum, Brian Auger, Dave Brubeck, Walter Carlos, Ray Manzarek, i fratelli Nocenzi, Flavio Premoli e Tony Pagliuca ma anche Enrico Simonetti, Lelio Luttazzi e Giorgio Bracardi che sono “colpevoli” delle mie parti ironiche (quindi non solo Emerson mi ha influenzato!). Ma evidentemente non c’è spazio per aggiungere tutti i pianisti classici e jazz e latino americani e le ragioni per cui li ho apprezzati. Devo comunque sottolineare che, come successo a molti, la musica di Emerson Lake & Palmer è stata la soglia oltre la quale si entra in un mondo di tantissimi generi musicali, che così si conoscono e apprezzano. Probabilmente siamo malati affamati di tutto (o quasi!)

E dopo gli anni 70, musicalmente parlando che strade ha preso Sergio Brunetti?

Nel 1978, anno in cui ormai il Progressive era scomparso, lasciai le scene per 18 anni. Ho studiato un po’ la tecnica pianistica e nel 1996 ho deciso di ricominciare a ripropormi dal vivo. Dopo anni in cui rifiutavo qualsiasi collaborazione, improvvisamente accettavo tutti, peggio delle puttane, direbbe qualcuno. La grande fortuna è stata incontrare Marco Voleri, tenore ormai molto conosciuto. Ci siamo serviti a vicenda, io l’ho “costretto” a studiare seriamente la musica con la grade soddisfazione di sapere che poi ha cantato anche alla Scala, Feristerio e altri palchi molto importanti, perfino a Damasco e in Cina. Lui mi ha portato per la prima volta in vita mia al professionismo ”serio”: dopo 2 anni di pianobar, otto mesi alle Maldive. Una esperienza indimenticabile. Quando siamo tornati lui si è iscritto al Conservatorio di Milano, io sono diventato presidente dell’Associazione Culturale Corte Tripoli Cinematografica. Da lì ho cominciato a scrivere musica per corti cinematografici e spettacoli teatrali, per dieci commedie musicali ho scritto anche i testi. Sono state tutte realizzate e la prima, che fu pubblicata dopo aver vinto un concorso a Genova, è stata rappresentata in tutta Italia da varie scuole. Ho fatto il direttore artistico e musicale per una serie di puntate su Canale 50. Qualche anno fa sono diventato membro del direttivo dell’Associazione culturale Vertigo e iniziato a fare il pianista sul palco in uno spettacolo favoloso che abbiamo replicato una sessantina di volte in Italia e all’estero: Livorno, amore mio! di Marco Conte.

8 So che sei sempre molto attivo…progetti futuri? Una cosa che racchiude molte altre cose della mia vita: uno spettacolo teatrale con un format inedito nel quale faccio la parte di un fan deficiente di Jovanotti, tastierista del gruppo Gli adolescenti, che si trova inspiegabilmente a spartire il palco con un comico imitatore (Leonardo Fiaschi) e un tenore lirico (Marco Voleri). E’ la cosa più difficile e complessa che abbia mai fatto: devo suonare pezzi musicali da Dalla, Morandi e Baglioni fino a Puccini e Verdi passando per Scott Joplin (per i non addetti ai lavori conosciuto come “quello della Stangata”), in più ho una parte da comico, parzialmente scritta e in parte improvvisata (ho fatto parte della compagnia di teatro improvvisato. Gli Impròbabili, compagnia in cui suonavo e recitavo improvvisando al 100%). Abbiamo debuttato come test al Teatro Vertigo ad Aprile ottenendo un successo andato oltre ogni previsione, e anche articolone sul Tirreno con 2 serate di test durate ciascuna circa 2 ore e un quarto. Ora lo stiamo limando in modo da non superare i 90 minuti e debutteremo definitivamente il 28 di luglio a Effetto Venezia, per poi prepararci ad una tourneè professionale che speriamo possa avviarsi nel 2017. Per me che in definitiva sono un rockettaro semi-autodidatta, è davvero una bella sfida perché devo avere i giusti ritmi musicali col tenore e quelli teatrali con il comico. Sono due parti parallele!

Inoltre un’altra novità assoluta, un laboratorio musicale in una scuola elementare, 10 tastiere MIDI collegate ad un super computer (rigorosamente PC!) evoluzione dell’esperienza di cui parlavo precedentemente dell’orchestra di tastiere. Ho progettato il setu-up del laboratorio del quale sono responsabile tecnico e formatore dei docenti che lo useranno, una bella soddisfazione.

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9 Qualche rimpianto Sergio? Da piccolo avevo qualche sogno nel cassetto: suonare, fare un disco, scrivere un libro, partecipare ad un film, girare il mondo. Nel mio piccolo ho fatto tutto questo e anche altro, quindi non mi lamento. Musicalmente parlando il più grosso rimpianto è non avere trovato subito un insegnante capace e avere perso troppo tempo per recuperare, non finendo gli studi di conservatorio, anche se poi Paola Franconi mi ha dato quelle nozioni tecniche che ritenevo indispensabili e che mi hanno permesso di suonare e fare musiche molto più di tanti diplomati.

Qualche occasione sottovalutata? Sempre musicalmente parlando. Forse quando mi fu chiesto di essere tra i fondatori dell’etichetta di vinile Fonè, il vinile stava cominciando a dare segni di stanca, e invece l’etichetta Fonè è diventata e resta molto importante nel panorama musicale.

10 Chi è oggi Sergio Brunetti? Uno che ha vissuto la musica senza compromessi e cercando sempre stimoli nuovi e che a 60 anni trova sempre più difficile incontrare nuove sfide, però non si arrende. A ottobre 2015 ho chiuso un contenzioso col passato laureandomi con 110 e lode in Discipline dello spettacolo e della comunicazione. Sono poi stato chiamato a intervenire a un congresso presso l’Università di Pisa come relatore parlando dei supporti mobili digitali e il loro uso per scopi musicali. Ero sempre stato tra i più bravi a scuola ma l’esame di maturità e il quinto di pianoforte furono disastrati da un insieme di coincidenze negative per cui mi sono ripreso ciò che mi era stato tolto, permettimi un poco di orgoglio!

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ROLANDO CAPPANERA

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1 – Il tuo strumento è la batteria: è lei che ha scelto te o viceversa?
R –
Difficile dirlo per me è stata una scelta istintiva, diciamo che ci siamo scelti.

2 – Cappanera , musicalmente parlando, è un cognome importante. Questo tuo essere figlio d’arte ti ha condizionato ?
R –
All’inizio no. Crescere in una famiglia di musicisti ha sicuramente aiutato il mio percorso, vivere a stretto contatto con strumenti,negozi musicali, prove e concerti hanno fatto sì che la mia passione per la musica rimanesse sempre viva. Nel periodo più recente invece, dopo la scomparsa del mio babbo e di Fabio, ho dovuto dimostrare molto, soprattutto perchè quello fatto dai Cappamera senior aveva lasciato il segno. Spesso ho dovuto dare più di quello che avrei dovuto solo per guadagnarmi il rispetto per il cognome che portavo.

3 – Quando ero piccolo io, purtroppo molti anni fa, i batteristi assemblavano i pezzi con i fustini del detersivo, magari usando la pelle che i loro padri usavano per asciugare l’auto. Oggi è un pò (per fortuna) diverso.
R -Quando ho iniziato io, avevo solo 4/5 anni quindi ancora eravamo agli inizi degli anni ottanta, anch’io mi arrangiavo con fustini del dixan, pentole ed un posacenere anni 80, quelli fatti a piedistallo..lo usavo come charleston. Oggi mi trovo ad insegnare a giovani batteristi che magari non hanno la possibilità di avere una batteria (anche se elettronica) e quindi li indottrino su come anche con poco si può suonare in casa. Ovvio che per fare il salto di qualità una batteria prima o poi è d’obbligo.

4 – Suonare la batteria è faticoso, Un batterista durante un concerto perde molti liquidi. Ti prepari in maniera particolare o lasci che tutto accada?
R –
Mi piace tenermi in allenamento soprattutto perchè tra i batteristi sono uno che picchia e si muove più del normale, quindi vado a correre anche 3 volte a settimana e se ho tempo seguo dei corsi di ginnastica pugilistica. Non sono un fumatore, ho sempre avuto molto fiato e mi piace tenermi quindi in allenamento soprattutto adesso che sono vicino ai 40 e voglio continuare a suonare nello stesso modo nel quale facevo da ventenne. Ho sempre detto che se un giorno non riuscirò più a suonare con la forza e l’energia che ho ancora oggi, smetterò.
Ne ho visti tanti non essere più li stessi e diventare la versione stanca di quelli che erano una volta…Ian Paice uno degli ultimi. Piuttosto è meglio trovare una nuova via per esprimersi anche con la batteria e magari non salirei sul palco per un concerto della Strana Officina.

5 – La tua carriera si intreccia  con quella di altri due grandi musicisti livornesi: Simone e Roberto Luti. Vi siete incontrati giovanissimi, direi bambini e non vi siete più lasciati.
R –
Siamo come fratelli, abbiamo proprio lo stesso rapporto di tre fratelli veri. Siamo stati battezzati alla musica da Johnny Salani, Fabio e Roberto Cappanera nella sala prove della Strana Officina nel lontano 1989. Adesso sono passati 26 anni!! Sembra ieri.
Riusciamo a suonare con la stessa voglia di 26 anni fà, capendoci con uno sguardo e delle volte capendoci anche senza sguardi semplicemente in modo istintivo capiamo quando uno di noi tre stà per andare da qualche parte (durante un’improvvisazione in sala prove o su un palco).

6 – Parliamo del vostro ultimo lavoro come TRES, ci anticipi qualcosa?
R –
E’ un disco molto profondo. Questo è quello che mi viene da dire. Perchè in generale non ci sono brani diretti. C’è bisogno di dedicarsi all’ascolto senza fretta. Ascoltarlo come se fosse una colonna sonora di qualcosa che l’ascoltatore è intento a fare…magari in viaggio, in cucina, producendo arte, a correre sul mare. Se ti aspetti di metterti davanti allo stereo e capire tutto subito non è il disco che fà per te.
I brani iniziano e poi non sai dove ti porteranno. Abbiamo registrato come si usava fare fino agli anni 90. In modo analogico…non solo con attrezzature analogiche, ma anche lavorando in modo analogico quindi più umano e sensazionale invece che schiavi della tecnologia. Abbiamo arrangiato molte canzoni in studio e quando eravamo soddisfatti le registravamo anche dopo 10 ore che eravamo dietro ai nostri strumenti. E’ tutto molto bello anche se sappiamo che la musica ormai non si vive più in questo modo. Se una canzone dopo 30 sec non ti ha detto niente si passa avanti. Non c’è più il tempo di aprire un giradischi pulire la puntina regolare l’equalizzatore, mettersi sul divano e godersi della buona musica. Solo chi ha provato queste sensazioni una volta, sà cosa vuol dire.

7 – Quale è stata la più grande soddisfazione nel corso della tua carriera?
R –
Ce ne sono state tante. Un giorno ero in aereo da solo di ritorno da Londra (credo), c’era un tramonto in lontananza e mi rivedevo bambino quando immaginavo di diventare un musicista e suonare su grandi palchi davanti a tanta gente. La soddisfazione è essere riuscito a far diventare quel sogno realtà, soprattutto esserci riuscito malgrado la perdita di una persona, il mio babbo, che avrebbe reso sicuramente tutto più semplice, tutto più a misura di adolescente, lasciandomi provare e sbagliare, ma sarebbe stato un supporto enorme visto che avremmo condiviso la stessa passione. Dopo mille difficoltà comunque ero su un aereo di ritorno da qualche concerto, o session in studio o videoclip. Con un nome che sono riuscito a portare in alto e con una storia da raccontare.
Nella musica noi sai mai dove potrai andare, credi di aver raggiunto il massimo di quello che potevi con i mezzi e le possibilità che ti si sono presentate, ma poi arriva una telefonata o incontri qualcuno e da lì inizia qualcosa di nuovo. Quindi la più grande soddisfazione magari ancora dovrà arrivare. 

8 – Charlie Watts dei Rolling Stones ha detto che il culo che conosce meglio è quello di Mick Jagger perchè sono 50 anni che se lo trova davanti sul palco. Quale è il tuo culo ?
R –
Io consoco bene quello di mia moglie che tra l’altro è un gran bel vedere…ahah. Per il resto ho l’imbarazzo della scelta tra il Bud (Strana Officina) 110 kg di Heavy Metal, Bob (Tres) con quei pantaloni col cavallo basso, Andrea Appino con un fisico da ragazza e dei pantaloni elasticizzati…..e poi tutti gli altri che hanno avuto il piacere di avermi alle loro spalle. Perchè è vero che il batterista è sempre dietro…ma il detto “ti copro le spalle” presuppone il fatto che una persona di cui hai fiducia e con la capacità di “coprirti” stia dietro e non davanti. Ha una visuale migliore su tutto ciò che accade e può intervenire su tutti quando vuole per riportare le cose al suo posto. 

9 – I batteristi che hanno influenzato il tuo stile e il tuo preferito in assoluto.
R -Vabbè il mio preferito è John Bonham..l’unico ed il solo! Il primo batterista Rock della storia, colui che ha infranto il muro dei rudimenti Jazz e della batteria Jazz influenced. Bonham è andato oltre dove non c’è tecnica, impostazione,impugnatura,rulli o altre minchiate a far da padrone, ma ci sei te, la batteria ed una canzone da arrangiare, tanto sudore e bacchette truciolate.
Ho sempre preferito i batteristi che suonavano in band che mi piacevano, o di cui mi piaceva la musica. Bill Ward /Black Sabbath, Chad Smith/Red Hot Chili Peppers, Brad Wilk/Rage Against The Machine e poi…Randy Castillo e Tommy Aldrige/Ozzy Osbourne…non dimenticando Mitch Mitchell/J.Hendrix..

10 – Se tu non fossi diventato un batterista che lavoro ti sarebbe piaciuto fare?
R –
econdo me uno nella vita dovrebbe capire la cosa per cui è portato. La cosa che gli viene meglio in assoluto, per la quale è un “predestinato”, per me è stata la batteria, se non ci fosse stata quella chi lo sà forse avrei potuto dare del filo da torcere a Valentino Rossi!
La mia mamma, mi ricorda sempre, che da piccolo dicevo che da grande avrei voluto fare il “casalingo”, vista la mia passione per la cucina forse mi immaginavo Chef, la seconda che dicevo era fare l’archeologo ed ho pure provato iscrivendomi a Geologia, ma la musica mi aveva ormai catturato e tutto il resto era in secondo piano.
Quindi Chef/Ristoratore o Archeologo….forse la seconda.

ROBERTO GUSCELLI

 

satelliti-guscelliD – La chitarra…un’amicizia che dura da anni. Quando è cominciata?

R – L’amore per la chitarra nasce sui 14 anni ascoltando i dischi che arrivano dall’America. L’occasione di possederne una invece arriva grazie a mio zio Gino, che da buon falegname me ne costruisce addirittura una. E’ con quella che assieme a Jimmy Rampello e Giovanni Barontini, amici vicini di casa, ci presentiamo ad un maestro di chitarra in via Garibaldi. E’ il 1958, e grazie alla voglia di imparare velocemente, si comincia a costruire i primi accordi, i primi giri armonici e i primi giri di rock’n’roll. Dopo quella prima chitarra, ci sarà il buon Micaelli, il negozio di musica in piazza della Repubblica angolo via Bettarini dove comprerò la mia prima chitarra elettrica Hofner e un piccolo Binson come amplificatore.
D – Il tuo primo complesso furono i Criker’s…

R -Si, il primo “complesso” (allora si chiamavano così) è quello dei Cricker’s e luogo di prove è la cantina di casa mia in via Bengasi, rione stazione. La spinta a metterlo su comunque parte da me e Piero Baronti, compagni di classe all’Iti di piazza Due Giugno. Si lega subito, perché lui dà di matto per la batteria, quindi le nostre mattinate in classe non sono altro che un fantasticare su dischi e palcoscenici. Nel frattempo, oltre a me, a Piero, Giovanni e Jimmy, si è unito anche Gino Merli col suo sassofono, anche lui vicino di casa. Ci manca ancora una tastiera ma in attesa di trovarla, si passano ore in cantina. Finalmente troviamo un pianista. E’ Maurizio Pelagatti e abita in via Baciocchi. Dopo alcuni mesi Gino abbandona il gruppo quindi la prima formazione -che volevamo fare sull’impronta dei Champs- diventa due chitarre, io e Jimmy, al basso Giovanni, alla batteria Piero e alle tastiere Maurizio. Maurizio e Jimmy lasciano il gruppo un anno dopo, e al loro posto entrano Franco Marcheschi e Roberto “Bob” Ghiozzi.

 

D- E poi vennero i Satelliti

R -Si, poi vennero i Satelliti, un incontro fortunato a Certaldo dove Ricky Gianco teneva un concerto in un teatro. La “sfortuna” a volte aiuta, poiché eravamo lì con l’impresario di Gianco solo per passare una serata spensierata, dopo che il nostro impresario era sparito portandosi via la cassa -con i proventi di mesi di concerti- lasciandoci senza un lira.

D – I satelliti sono stati forse il più “grande” gruppo livornese degli anni 60…raccontaci

R – Ma, ti dirò… A quei tempi di grande fermento musicale, a Livorno stavano nascendo buoni gruppi. L’importante, secondo me, era avere un progetto e crederci e soprattutto, rimanere uniti, dato che molti spesso si scioglievano per formare altri gruppi o si dividevano definitivamente per gelosie interne. Noi, una volta trovata la formazione ideale, quella con Franco Marcheschi alla chitarra e Roberto “Bob” Ghiozzi alle tastiere, siamo andati avanti infatti fino allo scioglimento nel 1969. Devo ammettere che non è facile mettere d’accordo cinque teste -se poi sono livornesi!-, però tutto sommato noi abbiamo avuto dalla nostra anche la forte amicizia che ci legava. Serviva però anche tanta determinazione e soprattutto credere in se stessi. Al di là di questo poi, una cosa essenziale era varcare i confini cittadini e regionali per andare a confrontarci nelle grandi città con gruppi di alto livello, senza paura, per crescere sia musicalmente che personalmente, e questo è ciò che ci permise di allargare il nostro raggio d’azione.

D – Che ricordi hai della scena musicale livornese di quegli anni

R – Bellissimi ricordi. Quando eravamo proprio ai primi passi da Cricker’s, ricordo il gruppo dei Four Friends, più grandi di noi di qualche anno, e che la sera dopo le prove arrivavano con una vecchia Fiat 1100 al bar “Da Gino” in via Bengasi dove di solito ci si ritrovava io e Giovanni. Li ammiravo e nello stesso tempo un po’ li invidiavo, poiché loro erano già una band formata e che già suonava in giro per la Toscana. Tra i ricordi più belli però c’è l’amicizia con Paolo Tofani, grande chitarrista -senz’altro uno dei migliori in assoluto in Italia- prima dei Califfi e poi degli Area, col quale passavamo ore ed ore nella notte a suonare pezzi degli Shadows in una villetta presa in affitto dal gruppo nella pineta di Tirrenia. Di questi momento infatti ho dei ricordi bellissimi.

 

D – Fatale fu l’incontro con Ricky Gianco…

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R – Beh, l’incontro con Ricky sotto il profilo professionale, certo che fu fatale, perché grazie a lui due mesi dopo entrammo in sala d’incisione per incidere il nostro primo disco “Finirà”. Insomma, da gruppo di buone speranze ci trovammo catapultati da un giorno all’altro nel giro che conta, concerti in tutta Italia sia con lui che da soli e locali di prima importanza come il Piper di Roma e tutti gli altri Piper collegati. E pensare che qualcuno di noi non era tanto convinto!

D – Avete inciso molti 45 giri e partecipato a molte trasmissioni televisive del tempo (vedi Canzonissima del 1967)…

R – Si, abbiamo inciso diversi 45 giri -in preparazione c’era anche un nostro primo Lp- e fatto la base musicale de “Il Vento dell’Est” per Gian Pieretti e “Pietre” per Ricky Gianco. La Ricordi inoltre ci ha inseriti nell’Lp International “Tutto Beat” dove oltre all’Equipe 84, I Dik Dik, The Honey Beats e i Quelli, siamo in compagnia degli Yardbirds, Troggs, McCoys, The Strangeloves, The Gibson e The Leaves, e dove noi Satelliti presentiamo “La vita è come un giorno”, un disco che ci ha dato grandi soddisfazioni e con il quale abbiamo vinto la “G d’Oro” messa in palio dalla rivista del settore “Giovani”. “Tutto Beat” dunque è stato un disco progettato e venduto nel mercato internazionale e che ci ha gratificato molto.

D – Nel 1969 i Satellisti si sciolgono e vieni messo sotto contratto dalla Ricordi come autore…

R – Si, nel ’69 ci siamo sciolti dopo anni di successi sia in fatto di dischi che di concerti. Visioni diverse di organico, nel senso che alcuni del gruppo volevano inserire nella formazione alcuni fiati, visto l’ondata di “rhythm & blues” che era arrivata oscurando un po’ il beat. E io non ero affatto d’accordo. Inseguire le mode non era il mio modo di vedere il gruppo. Da qui la separazione. E quello appunto fu l’anno del mio contratto con la Ricordi come autore, un periodo anche quello di grandi soddisfazioni e collaborazioni importanti, Scrissi con Mogol diversi pezzi, uno dei quali “Zucchero” che partecipò al Festival di Sanremo, e cosa bellissima, conobbi Lucio Battisti, anche lui infatti presente per la prima e unica volta al Sanremo di quell’anno. Battisti fu poi oltre che produttore, anche arrangiatore di alcuni miei pezzi.

D – Oltre ai Satelliti, chi ricordi particolarmente come musicisti livornesi di quello che fu il periodo d’oro del beat a Livorno ?

R – Gruppi livornesi del periodo d’oro che ricordo sono naturalmente I Samurai, I Modì dell’amico Valerio D’Alelio…mi ricordo Roby e i Gentlemen, Le Facce di Bronzo, come ho già detto i Four Friends…. ma ce ne erano talmente tanti che ora non mi vengono a mente… Livorno, in fatto di musica in quegli anni era la Liverpool italiana.

D Roberto, qualche rimpianto? Qualche scelta che non hai fatto ?

R – Onestamente non ho rimpianti. Con i ragazzi del gruppo ci sentiamo tutt’ora molto spesso e spesso ci incontriamo, perché l’amicizia è rimasta intatta, anzi, più salda di prima. Nei nostri discorsi spesso si ripercorre la nostra avventura assieme, e sul fatto della divisione siamo tutti d’accordo: siamo stati un po’ troppo avventati, poiché arrivati al punto cui eravamo, dividerci era proprio una cosa da non fare. Però è andata così… 

D – Hai smesso di suonare e cantare o ancora oggi ti diletti in questa meravigliosa arte. Chi è oggi Roberto Guscelli?

R – Non ho smesso di suonare la chitarra anche se non la suono più tutti i giorni, ma soprattutto non ho smesso di comporre. Mi viene ancora di getto buttare giù una canzone, canzoni che per il momento sono nel cassetto, anche se prima o poi mi deciderò a tirarle fuori. Chi è oggi Roberto Guscelli? E’ da anni un giornalista/pubblicista iscritto all’Ordine Nazionale che scrive di cronaca e società ma che è partito naturalmente come esperto di musica. Prima di arrivare al giornalismo però ci sono due anni a Londra per perfezionare la lingua dei Beatles, ci sono gestioni di discoteche in montagna e al mare, esercizi pubblici in Valle d’Aosta, un matrimonio e un figlio che -mi sembra più che giusto-, suona la chitarra.

 

D – Non vivi più a Livorno…ti manca?

R – Beh, tenere lontano da Livorno un livornese è un delitto…. Certo che mi manca la mia città, mi manca il mio lungomare, il Libeccio, il cinque e cinque, il ponce del Civili, un bel Cacciucco e il suono del nostro parlare. Mi manca il tramonto visto dalla Terrazza, un tuffo nel mare e quell’aria che sa di salmastro e che ti riempie i polmoni. Ma devo dire che spesso ci torno a trovare i miei due fratelli, Valfredo e Franco, e le rimpatriate con gli amici sono d’obbligo, soprattutto con Franco Marcheschi e Giovanni Barontini, gli unici due su cinque del gruppo che a differenza di me, Piero e Bob non si sono mossi da Livorno.

 

D – Ultima domanda…vuoi salutare qualcuno della tua città attraverso il nostro giornale ?

R -Ne avrei tanti da salutare di amici a Livorno e per nominarli tutti ci vorrebbe una giornata intera. Per non fare torto a chi potrei dimenticare quindi, saluto veramente con affetto tutti coloro che ho conosciuto e con i quali ho attraversato un pezzo di vita assieme. Ritrovarli e bere un aperitivo assieme in una Baracchina sul viale Italia è sempre una cosa bellissima anche a distanza di anni. E tra loro naturalmente saluto anche te, Massimo Volpi, per l’amore e la passione che ancora porti avanti per la musica degli anni Sessanta, gli anni stupendi di quella stagione musicale dove anche noi Satelliti, pur se in piccola parte, abbiamo dato il nostro piccolo contributo.  

PAOLO DEL LAMA

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1 – Quando hai incontrato per la prima volta un basso ?

R – Un mio amico a Tirrenia , dove mi ero trasferito da poco  con la famiglia , abitava non lontano da me ,suonava a tutto volume , la parte del basso della  canzone Stand by me ( Preghero’ ) quasi tutti i giorni,e io ascoltandolo dalla mia camera . Facevo le stesse note con la mia chitarra , di li’ a poco mollai la chitarra e comprai un basso elettrico, eravamo nel 1966.

2 – Tutto iniziò con il gruppo Simba…fine anni ’60…e poi ci furono i Senso Unico…

R – Si,l’anno seguente formammo I Simba , come hai ben descritto nei particolari nel tuo libro libro “A Livorno negli anni 60 si suonava cosi’” (ti ringrazio per averci immortalato nella storia livornese ), qualche anno in giro per i locali della Versilia , lo storico”Tennisse” di Tirrenia , e tutte le uscite della autostrada Firenze mare verso i paesini più’ sperduti , cambiando diverse formazioni .

Verso la fine del 70 pero”, ci dedicammo ad un progetto un po’ più’ musicalmente interessante , e nacque il SENSO UNICO , ma Il sevizio militare che ero riuscito fino a quel momento di evitare , mi prese la vita ,e i progetti andarono in fumo. Correva l’anno 1971.

3 – Che ricordi hai di quegli anni e come era la scena musicale livornese?

R Be’ gli anni 60 non hanno bisogno di presentazione ,musicalmente e anche culturalmente non si rip- eterà più’ un tale cambiamento ,come non si poteva essere coinvolti. Anche a Livorno avevamo il nostro Piper , dove mi recavo regolarmente ad ascoltare i vari gruppi storici livornesi , e c’e’ una canzone in particolare che quando la sento mi riporta alla mente quel locale, ” Like a rolling stone “ di Bob Dylan: per un momento riassaporo quella atmosfera ma solo per un momento e poi rivola via.

C’era qualcosa nell’aria in quegli anni che non sono più’ riuscito a rivivere , Bo’ !!!!!

4 – Quali i generi musicali che più ti hanno gratificato?

R – Ascolto volentieri qualsiasi genere musicale , se mi fa’ sentire qualcosa , ma durante i primi anni musicali , io e i miei compagni di gruppo eravamo appassionati degli artisti della Atlantic Records , Otis Redding , Aretha Franklin, James Brown , e tanti altri fino a sfociare nei vari Stevie Wonder, Earth Wind and Fire ecc ecc . 

5 – Hai suonato insieme a molti musicisti…chi ricordi in particolare?

R – Ho suonato con tanti bravissimi musicisti , ma il mio ricordo particolare va ai ragazzi con cui ho iniziato, Stefano chitarrista e Alessandro batterista , co-fondatori dei Simba.

Ci incontravamo in pullman tutte le mattine per andare a scuola e fu li’ che decidemmo di formare un” Complesso”.

La nostra prima esibizione fu’ in un circolo di marina di Pisa , ci vollero tre viaggi in lambretta per portare la strumentazione , debutto con Gimme Some Loving degli Spencer Davis Group , che duro’ mezz’ora .

6 – E un bel giorno te ne sei andato da Livorno per il grande Nord Europa…

R – Passai le ultime due settimane della“naja” all’ospedale militare di Livorno , mezzo moribondo , un giorno aprii un occhio e intravidi tre individui che sembravano musicisti .

Riconobbi Luciano di Viareggio che aveva suonato con il Capitolo 6 , mi chiesero se volevo andare con loro in una crociera nei mari del nord…….in due giorni ero gia’ guarito !!!

Era il 1973 , da quel momento sono passato da un gruppo all’altro che operavano all’estero, Danimarca, Olanda , Iran Teheran (prima della rivoluzione),Francia, Inghilterra , e sono tornato in Italia poche volte per salutare la famiglia .

Adesso vivo in Scozia , mia moglie e’ scozzese , anche lei musicista , e da oltre trent’anni siamo

il complesso più’ longevo che ho avuto .  

7 – Rimpianti? Qualche treno sul quale non sei salito?

R – Un piccolo rimpianto ce l’ho , quello di non aver continuato con il contrabbasso alla Mascagni , le note lunghe con l’archetto erano troppo per un pigro come me ed ero troppo preso dalla pop music, peccato !!!

8 – Vuoi salutare qualcuno della tua città attraverso il nostro giornale?

R – Prima di tutto saluto te e il tuo giornale ringraziandoti per questo spazio che mi hai regalato , poi saluto tutti quelli che mi conoscono ,parenti compresi, e per ultimi ( siccome una cosa che mi manca della bellissima Livorno e’…..andare alla partita il Sabato o la domenica , )perciò un saluto a tutti i veri

tifosi Amaranto come me !!!

Sinceramente Paolo


NIKI LA ROSA

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1 – Te e la tua chitarra, un amore che dura da ?

1 – Ho iniziato a suonare la chitarra all’età di 10 anni.

2 – Livorno è la tua città, ma c’è anche Glasgow nella tua vita.

2 – Sono un livornese nato a Glasgow e ci ho vissuto fino all’età di 8 anni. Poi sono tornato spesso in quella città a trovare i parenti ma non ci ho mai più vissuto.

3 – La conoscenza dell’inglese ti ha favorito nel tuo essere musicista

3 – Non credo che mi abbia favorito. Però mi piace scrivere in inglese, è una lingua che mi piace molto.

4 – London Journey è il titolo del tuo nuovo cd appena uscito. Soddisfatto del risultato?

4 -Sono soddisfatto. L’unica cosa che posso dire è che ci abbiamo messo tanto tempo a farlo in studio e quando ciò avviene perdi la spontaneità, la freschezza e ti addentri troppo nell’arrangiamento. Credo che la miglior maniera di registrare un album sia suonare i pezzi insieme ai musicisti fino a che non girano perfettamente e poi registrarle. Comunque è un bel lavoro.

L’uscita del cd London Journey doveva avvenire già tre anni fa, solo che per vari motivi ho potuto farlo adesso in concomitanza con la registrazione del mio nuovo disco che uscirà a breve. Quindi i tempi non sono stati dei migliori per la sua uscita.

5 – Lo presenterai a Livorno? Se si dove?

5 – Ho dei contatti per presentarlo alla Feltrinelli, oppure forse, se mi danno una serata lo presenterei volentieri al teatro C.

6 – Spesso ti abbiamo incontrato che suonavi nelle vie cittadine. Questo tuo sentirti anche “musicista di strada” in una città diffidente come la nostra come ti fa sentire?

In altre realtà i musicisti di strada ( te che hai suonato a Londra…) “incantano” i passanti; qui che reazioni hai avuto?

6 – Ho iniziato a suonare a Livorno, nonostante i giudizi delle persone, perchè sinceramente non me ne frega niente di cosa pensano gli altri. anzi grazie a Roberto Luti, credo di essere stato il primo ed unico cantautore livornese ad esibirsi sempre nella sua città per la strada. Sono una persona a cui piace seguire la sua strada, fare cose che magari non sono mai state fatte, nel mio piccolo ovviamente. E poi scrivere e cantare le tue canzoni per la strada e riuscire a tirarci fuori dei soldi è veramente una bella sensazione.

Poi quando grazie a Marco Baracchino fui scelto da Francesco Nuti per cantare e presentare la canzone a San Rermo, cosa che non è poi avvenuta, le persone iniziarono a guardarmi diversamente. Anche il fatto che Roberto Luti suonasse con me ha aiutato notevolmente la mia credibilità.

7 – Progetti?

7 – Ho appena finito di registrare una colonna sonora per un film documentario che a dicembre esce nei cinema, la prima è a Torino. In concomitanza dovrebbe uscire anche il disco che conterrà due canzoni di quella colonna sonora.

Poi mi piacerebbe fare un disco solo, io con la mia chitarra ed anche uno con Roberto Luti, io e lui da soli.

E avere la possibilità di registrare l’altro materiale che ho, per ancora 2/3 dischi. Perchè non vorrei morire e portarmi dietro tutta la musica che ho scritto.

8 – I musicisti più bravi con i quali hai suonato

8 – Non ho suonto con molti musicisti. Per un cantautore non è semplice trovare i musicisti che siano adatti a lui. In questo momento sono molto contento della formazione con cui ho registrato il mio nuovo disco, Roberto Luti, Massimo Gemini, Piero Perelli e Marco Bachi.

Ma anche i musicisti con cui ho registrato London Journey.

9 – I 5 migliori chitarristi a tuo giudizio.

9 – Per quanto riguarda i musicisti, non è tanto la bravura che mi interessa, ma il sentimento che hanno e la capacità di entrare nella mia musica. Ovviamente Roberto Luti è una grande chitarrista per me; riesce a portarmi emotivamente in luoghi totalmente emozionali, riesce a trasportarmi, a cambiare il mio stato d’animo.

Potrei dirti Eric Clapton, Pino Daniele, John Mayer, Anders Osborne poi non saprei perchè non ascolato molta musicale. Purtroppo se una musica non mi fa emozionare non riesco molto a continuarla ad ascoltare.

MAURO PIETRINI

INTERVISTA A MAURO PIETRINI

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D Chitarra e basso…i tuoi amori

R Si, entrambi i miei amori…ora l’uno ora l’altro secondo le esigenze del gruppo in cui suonavo. Adesso sinceramente mi dedico più alla chitarra.

D Il tuo primo gruppo fu nel 1978 “Libera Espressione”

R A dire il vero nei primi anni 70 suonavo in vari “gruppetti” nelle cantine ma niente di serio. Si, il mio primo gruppo “vero” fu Libera Espressione

D Nel vostro repertorio musiche dei Genesis ma anche composizioni proprie.

R Soprattutto nostre composizioni ! Poi capitava di suonare cover dei Genesis o Yes in quanto il nostro genere era il Prog. Con chitarre in contro arpeggio e tastiere in primo piano.

D Il gruppo si sciolse nel 1981. E dopo in quali gruppi hai suonato? Raccontaci.

R Successe che Giovanni Di Rocca abbandonò il complesso e fu una perdita importante perchè era la mente del gruppo. Fu sostituito da Giuliano Bartorelli ma la musica non era più quella che piaceva a me: era diventata troppo “leggera”…alla Matia Bazar grazie anche alla bella voce di Cristina.

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Poi formai i Furminanti con Claudio Bartoli e Gionata Ciccolini che portano in giro il gruppo ancora adesso.

Terminata l’esperienza Furminanti nel 2000 fu la volta de “I Senza Biglietto” con Sergio Donati “Sughino”, Moreno Lenzi, Sergio Paoletti, Marco Lascialfari e Sergio Brunetti.

Nel 2001 gli Optalidon con Silvano Storpi, Luca Scotto, Stefano Reali e Gianni Venturi.

Nel 2002 gli Optalidon diventarono Strane Frequenze con mio fratello Massimiliano alla chitarra al posto di Silvano.

Quando Steve Reali abbandonò il gruppo sostituito da Luca Boldrini il gruppo si chiamò Be Side.

Nel 2009 fu la volta degli Air On Project con Sergio Donati, Silvano Storpi, Alessando de Fusco e Aron Chiti alla voce.

Quando subentrarono Moreno Lenzi alla voce e Piero Ciantelli alla batteria si formò il primo nucleo dei Biokill ma fui estromesso dal gruppo prima dell’uscita del loro primo cd.

D Negli anni ’60 eri giovanissimo ma nei ’70 e ’80 sei stato un protagonista. Che ricordi hai di quella Livorno, musicalmente parlando?

R C’erano tanti buoni gruppi che suonavano in quel periodo. In particolare ricordo gli Storms, Campo di Marte , la Strana Officina ( scherzo del dwstino…i fratelli Cappanera sono morti lo stesso giorno di mio padre ), i Manhattan e i The Game Ones-

D Quali sono i gruppi che più ti hanno influenzato?

R I Beatles su tutti. Poi Rolling Stones, Who, Hendrix e i Genesis.

D C’è qualche artista livornese con il quale avresti voluto suonare ma non è mai accaduto?

R Non saprei…apprezzo tutti e se mi chiamano non mi tiro mai indietro.

D Naturalmente non hai mai smesso di suonare…chi è oggi Mauro Pietrini?

R Oggi abito a Cento di Ferrara, faccio l’operatore socio sanitario e da un anno ho messo su un gruppo chiamato Forever Young. Facciamo musica anni 70/80, prevalentemente gruppi italiani senza tralasciare il buono e sano rock. Pensa Massimo….a 59 anni sono il membro più giovane del gruppo !!!

D Mauro, rimpianti?

R Sono andato via dalla mia città che avevo 70 anni…e stavo suonando in tre gruppi diversi. Se mio padre mi avesse ascoltato sarei andato a scuola di chitarra e composizione da piccolo. Invece sono completamente autodidatta…ho imparato tutto da solo ascoltando la radio.

D Oggi vivi a Cento…ti manca Livorno? Vuoi salutare qualcuno attraverso il nostro giornale?

R Livorno mi manca da morire. In città ho mia madre, mio figlio, mio fratello, mio nipote…

Prima di salutarti ti do una anteprima: il 25 giugno sarà a Coltano per la consueta manifestazione Mauro and friends nella quale suonerò con tutti i miei amici…ti aspetto !

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MARCO DENTONE

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D- Quando hai scoperto il tuo amore per il basso?

R – Nel 1974 e fu un amore a prima vista, un autentico colpo di fulmine…che dura tutt’oggi.

D – Tutto iniziò nel 1976 con il gruppo La Cantina del Vino Bianco…poi cambiato nome in Visioni Proibite…

R – Si, è stata una magnifica esperienza. Esibirci in pubblico era davvero un banco di prova “da paura” ma anche estremamente gratificante.

D – Poi vennero i Folks…raccontaci…

R – Dalle ceneri delle Visioni Proibite nacquero i Folks. Era il 1976. Facevamo soprattutto cover dei Beatles e Creedence Clearwater Revival ma anche New Trolls, Premiata Forneria Marconi, Camaleonti…Andammo avanti fino al 1978 quando il gruppo si sciolse…ma l’amicizia è rimasta intatta.

D – Dopo la grande esplosione beat degli anni 60 come era il panorama musicale a Livorno il decennio successivo?

R – Cambiò l’ispirazione musicale. Prima i “complessi” facevano il verso agli americani e inglesi suonando il beat…adesso facevamo il verso agli americani e inglesi suonando il prog !

folks

D- Quali gruppi del periodo ricordi ?

R – Erano molti e bravi, Aurora Lunare, Campo di Marte, Capitolo 6, Deux ex Machina, Hammer, e molti altri ancora

D- Quali bassisti ti hanno influenzato di più?

R – Non ne ho uno in particolare anche perché negli anni 70 e 80 c’ era l’imbarazzo della scelta. Ammiravo molto Chris squire degli Yes ma anche altri. Diciamo da ognuno ho cercato nel mio piccolo di apprendere. Infatti mi reputo oggi un bassista che sa fare un po di tutto in modo normale. Non mi sono specializzato in un solo genere, però posso suonare “benino” di tutto…. o quasi.

D- Ci sono alcuni musicisti livornesi che guardi con particolare referenza e che magari avresti voluto suonare con loro?

R- Senza dubbio i fratelli Cappanera , autentici miti della Strana Officina , grande gruppo livornese . Pensa il mio prima vero ampli lo comprai da Fabio, grande chitarrista

D – So che non hai mai smesso di suonare…io stesso ti ho visto esibirti molte volte e con gruppi diversi. Che è successo dopo i Folk?

R – Purtroppo per motivi di lavoro negli anni 80 ho dovuto smettere,anche perché con la musica non ti puoi mantenere, con famiglia compresa, Fino ad allora ho fatto diciamo un po il turnista; di fatto ho suonato a chiamata con vari gruppi. Anche un po di liscio anche se non mi entusiasmava molto. Da li in poi fermo per circa 20 anni. Negli anni 2000 ho ripreso l’attività senza sosta. Oggi suono in un gruppo formato da me e da Paolo Saini “tastierista degli MK5 di cui fa parte anche Aldo Norfini che è anche il mio batterista. Il nuovo gruppo si chiama I Miba+ . Facciamo cover di Mina e Battisti ,ed altri artisti inerenti agli anni 70. Oltre a Paolo e ad Aldo già citati , alla chitarra il mitico Giuliano Bartorelli , alla voce Natalia Buzzi, molto brava ,che è di Rieti ma vive nella nostra città per lavoro e matrimonio visto che ha sposato un livornese . Elio Toldo che è anche nostro fonico, I Miba+ è un gruppo,giovanissimo (non per l’età dei componenti che tolto Natalia siamo tutti attempati ) infatti ha un anno di vita .

D – Chi è oggi Marco Dentone ?

R – Musicalmente parlando alla soglia dei miei sessant’anni, mi ritengo un musicista esperto molto versatile che ancora oggi si diverte e provo le stesse emozioni di allora. La musica è vita, la musica è aggregazione, la musica non ha età, la musica è l’unica lingua mondiale che conoscono tutti: uno spartito è letto veramente da tutti.

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MARCO BASSANO

INTERVISTA A MARCO BASSANO, BATTERISTA DEI PIANETI

marco-bassano-ieriD – Il tuo amore per la batteria è nato per caso o….

R -E’ stato il destino che da molto piccolo mi ha fatto incontrare la batteria.. anzi i bussoli a forma di cilindro del del detersivo Dixan . All’inizio ho suonato un po’ con quelli nello scantinato di Marco Mazzanti il chitarrista.. dopo mio padre mi compro’ la prima batteria la Hollywood .Ho imparato tutto da solo. Dopo un po’ di tempo sempre mio padre mi prese la mitica Ludwig doppia cassa che a quei tempi le costruivano solo in America..

 

D – Tutto è iniziato con i Pianeti, storico gruppo livornese di Coteto. Eravate giovanissimi…dodici- tredici anni…eppure eravate bravissimi

R – Si , abitavamo tutti in Coteto ed e’ nato tutto per caso . Non avevamo nemmeno 50 anni in quattro ; iniziammo a suonare e ci accorgemmo che andavamo benino pur essendo totalmente autodidatti. 2 chitarre 1 basso e batteria e iniziammo un percorso che nemmeno noi ci aspettavamo . Avevamo un repertorio variopinto e facevamo un po’ di tutto a seconda di dove andavamo a suonare.. mi ricordo che piacevamo molto alla gente.. eravamo pieni di energia tutti con i capelli lunghissimi.. moltissime ragazzine ci davano la caccia anche quando si provava nella cantina di Robertino Carotenuto..era tutto molto bello!!! Suonavamo nei locali da ballo ,teatri, palasport.. stadi.. tipo Flaminio di Roma.. Il nostro impresario sig. Vernassa era una persona importante per l’epoca e quindi iniziammo a suonare con i gruppi e i cantanti piu’ importanti del tempo : New Trolls Formula 3 i Rokes Ricchi e Ooveri e tanti altri che sarebbe troppo lunga a dirli tutti.. Facemmo anche il festival pop di Viareggio.. una piccola Woodstock di tre giorni ;c’era anche la mitica Mia Martini e il suo gruppo..Caro massimo sarebbe troppo lunga descrivere tutte le storie che abbiamo avuto .Sono stati anni molto intensi ,abbiamo fatto un disco alla RCS di Roma.. Un giorno forse ti diro’ come mai e’ tutto finito anche se veramente non lo so’ nemmeno io :Forse sempre il destino ha voluto cosi!!!! Peccato poteva andare benissimo. In questo campo ci vuole molta fortuna anche…

D – Ancora oggi se parli dei Pianeti tutti vi ricordano…te che ricordi hai di quei tempi?

R – Si, ancora oggi tanta gente si ricorda di noi ed e’ molto piacevole.. forse vuole dire che qualcosa di buono abbiamo fatto. Io ho dei ricordi molto belli che mi portero’ dietro per tutta la vita . Tutti volevano i Pianeti quattro bei bimbi che suonavano a volumi altissimi con amplificatori grossissimi e con tanta scena..Avevamo vestiti da scena.. molto belli; la mamma di Robertino.. Gigliola era una sarta bravissima e ci faceva tutto su misura..vestiti molto appariscenti e di tutti i tipi.. Oggi, a 60 anni come tanta gente mi ricordo tutto per filo e per segno. Una bellissima storia. Forse eravamo troppo piccoli per un impatto cosi violento nel mondo dello spettacolo: tournee etc. In quel mondo dovevi essere 2scafato”, molto furbo. Sono sicuro che se eravamo qualche anno piu’ grandi il successo non ce l’avrebbe tolto nessuno.. avevamo tutte le carte in regola per sfondare in quel mondo..

 

D – Ricordaci quando i New Trolls vi passarono a prendere in Coteto…

R – I New Trolls …abbiamo suonato tantissime volte insieme in tournee . Pensa che ci facevano suonare con i loro strumenti Ci sembrava di sognare!! Suonavamo per circa un’ora, facevamo loro da spalla . ci avevano preso a benvolere, erano come dei fratelli maggiori . Ricordo che Gianni Belleno il batterista mi insegno’ dei ritmi e certe cose che non mi sarei mai sognato. Si vennero in Coteto, ci vennero a prendere a casa e andammo assieme al ristorante . Erano veramente molto bravi in tutti i sensi, sia come musicisti che come persone… avevano certe macchine.. in Coteto rimasero tutti a bocca aperta, e’ stata una bella soddisfazione ripensandoci dopo..

D – Una domanda che faccio a tutti i batteristi. Charlie Watts dei Rolling Stones ha sempre detto che il suo “culo” è quello di Mick Jagger perchè se lo vede davanti da 50 anni. Qual’è il tuo culo?

R – Per un periodo di tempo non lontano ho suonato con l’orchestra di Paganucci. Facevamo molte serate e la cantante molto carina e giovane era proprio d’avanti a me a cantare e per molte serate l’avevo d’avanti ai miei occhi …sempre con la minigonna lei un bel vedere non credi?

D – So che dopo un periodo in cui avevi attaccato le bacchette al chiodo hai ricominciato a suonare…

R – Le bacchette al chiodo? Si, dopo i Pianeti ho smesso per svariati motivi. Erano i primi anni 70 ,all’epoca c’era il militare, e tante distrazioni per un ragazzo di quell’eta ‘ : viaggiare ,donne, un po’ alla “belli e maledetti”..moto macchine rock etc. Sempre a ballare e ha cuccare!!!! Sono stato anche un anno a Piombino a suonare con Rossella Canaccini ,cantante del gruppo femminile Le Stars molto conosciuto a quei tempi. Fece un disco “Il cielo” di Lucio Dalla rivisitato ,ando’ in televisione, ci preparammo per un anno per fare tournee ma purtroppo ando’ male, non ebbe il successo che meritava..Ho riprovato tante volte a suonare ma la vita del musicista se non sei a certi livelli il pane a casa non ce lo porti. Dirti tutte le mie avventure da batterista sarebbe troppo lungo. chiudo qui. Ci siamo rimessi insieme con i Pianeti per commemorare il nostro bassista e amico Raoul ma tutto li. Mi sono accorto, guardando in faccia la realta’, che ormai non posso piu’ suonare a certi livelli e allora ho deciso di smettere in bellezza senza rimpianti con la consapevolezza che la gente ancora ti ricorda con piacere . La musica era la mia vita .. ma il destino ha voluto diversamente!!! Sara’ per la prossima vita spero .

D – Quali sono i batteristi che più ti hanno influenzato?

R – I batteristi che mi hanno influenzato ? Bè, devo dire che sono cresciuto a pane e Woodstoock !! Quindi tutti i gruppi di quell’epoca ti influenzavano, Santana Who..Jimmy Hendrix.Rolling Stones.. Poco dopo mi piacevano molto gli Yes e i King Crimson che ho sentito a Roma al Palaeur..ma io ero io , avevo una mia personalita’ e un modo di pormi sul palco tutto mio. Avevo una batteria bellissima, doppia cassa Ludwig con un mio palco personale molto scenografica

 

9 –

D – Chi è oggi Marco Bassano?

R – Chi e’ oggi Marco Bassano? Bella domanda alla quale non so’ risponderti perche’ ci vorrebbe un libro intero Non lo so’ nemmeno io cosa voglio e dove vado .Cerco di godermi il meglio possibile i miei 60 anni dopo chissà che la vita abbia dei risvolti a me sconosciuti.. Lascio fare al destino a qui credo molto.. e speriamo bene. Tutto puo’ ancora succedere!!!

D – Ultimissima domanda. Come facevi a farle innamorare tutte? Quale era il tuo segreto?

R – Quale era il mio segreto?Caro Massimo mi fai una domanda un po’ imbarazzante. Credo che non ci sia un segreto per le donne, parlo per me e senza presunzione .Dicono tutti che ero molto carino, capello lungo… una figura… e molto dolce. Moto, macchine, una bella visione della vita etc. Le donne si innamoravano di me molto spesso senza che io lo sapessi E” stato un dono di DIO. Neache io me ne rendevo conto ma era cosi.. Forse un piccolo segreto era che io non le cercavo mai .Avevo altri interessi e quando le donne non si sentono cercate ci pensano loro a venire da te.. almeno credo!!! Me lo hanno sempre detto tutti ,ma quante donne hai? Ma io non me ne rendevo conto .Solo tanto tempo dopo l’ho capito!! W le donneeeeee!!!!!!!!!!

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