Gran bella serata quella di giovedì dodici aprile al Jux Tap di Sarzana, locale di punta nel circuito della musica live in Toscana. Sul palco si esibiva Dan Bern, giovane ed interessante cantautore americano con al suo attivo tre album (di cui uno doppio), tutti di pregevole fattura.
Il giovanotto riunisce nella propria musica massicce dosi di Dylan, soprattutto per quanto riguarda il songwriting e talvolta il modo di impostare la voce, sapientemente miscelate con il senso del tempo di Elvis Costello e l’incedere maestoso pregnante di alcune cose di Leonard Cohen. Il tutto però viene fuori in modo assolutamente originale e sorprendente rendendolo una delle migliori realtà del panorama musicale contemporaneo.
L’inizio del concerto è acustico. Dan si presenta sul palco da solo e attacca una cover di un vecchio brano di Mississippi Fred McDowell, “Freight train blues”, la voce è molto dylaniana e sembra uscire da “Freewheelin’” o “Another side”, quindi la band lo raggiunge e nell’aria si librano le note di un altro grande classico, “House of the rising sun”, due pezzi soli ed il concerto va già alla grande. La voce di Dan Bern è forte e potente, ma allo stesso tempo di notevole estensione, di stampo dylaniano certo, ma non quella di uno dei tanti cloni del menestrello di Duluth, quando vuole sa imitare il grande Bob alla perfezione, ma lo fa sempre volutamente. La band, dal canto suo è solida e compatta, totalmente al servizio del leader, suona pulita e senza sbavature di sorta, assecondando bene il cantante. In questo modo scorrono via che è un piacere “Jerusalem”, “Marilyn” e “I’m not the guy”, poi Dan fa qualche passo in avanti, oltrepassa il microfono e comincia a cantare “Tiger Woods”, quando ritorna sui propri passi si inserisce la band e ne esce una versione tirata e nervosa.
“Kurt Cobain”, lullaby semiacustica dal bell’assolo di chitarra elettrica e “One thing real”, compatta, cantata con voce potente e dall’assolo di armonica sul finale ci introducono alla parte centrale dell’esibizione. Un’introduzione parlata sui furti musicali precede una delle composizioni migliori del songwriter dell’Iowa, “Chelsea hotel”, la canzone è di grande presa ed il pubblico la segue con attenzione e non lesina applausi neppure quando si interrompe perché Dan si toglie una lente a contatto per pulirla dal sudore che gli era colato nell’occhio, nel finale si sente un buffo accenno a “That’s amore”.
“Suzanne” e “Cure for AIDS” ci portano ad un altro dei momenti caldi della serata, seppur in due modi diametralmente differenti, molto rock e potente la prima con la band che canta tutta insieme, scarna e delicata con delle tastiere appena accennate che sorreggono la melodia la seconda.
Partono le note di un famoso pezzo dei Beatles e subito la platea si scalda, Dan canta bene e la band come al solito lo segue compatta, c’è anche un breve assolo country del chitarrista Eddie Brown, “All my loving” si chiude fra applausi scroscianti. E’ passata un’ora e un quarto e non ce ne siamo neppure accorti.
Dopo la lenta “Without you” Dan Bern presenta “Wasteland”, forse il suo capolavoro, una canzone splendida che potrebbe benissimo aver scritto il Dylan di Highway 61. L’inizio è lento con la voce in evidenza, il suono cresce maestoso, sul ritornello Dan dà il meglio di sé porgendola in un modo che sta a metà tra Dylan e Springsteen, il pezzo cresce sempre più, lirico, potente, di grande impatto. L’apice del concerto.
Da una grande canzone all’altra. “Rome” ha un incedere cadenzato, epico, alla Leonard Cohen, il suono è sempre senza sbavature, l’assolo di chitarra elettrica come al solito breve e preciso, Dan Bern canta a voce spiegata e nel finale gli altri componenti del gruppo si uniscono a lui alzando ulteriormente il climax dell’esibizione. Pubblico in visibilio.
A questo punto un tizio sale sul palco e chiede al nostro di accompagnarlo in una versione di “Thunder road” di Springsteen, la band si presta simpaticamente e al termine Dan presenta la band composta oltre che dal succitato chitarrista anche da Will Masisak alla batteria e alle tastiere e da Tiny Leland al basso quindi dà il via all’ultimo pezzo del concerto. “Estelle” parte semiacustica con l’accompagnamento che cresce e decresce a ondate successive mentre la voce rimane sempre al centro della canzone. Concluso il brano la band scende dal palco ma la platea non ci sta e la richiama a gran voce.
I nostri rientrano e nell’aria si spandono le note di una delle più belle ballate del primo periodo dei Rolling Stones, “As tears go by” è splendida di suo e Dan Bern conferma la sua grande qualità di interprete, il brano quindi sfuma in uno dei riff più celebri della storia del rock e ancora una volta il ragazzo conferma di avere le radici giuste perché “Mr. Tambourine man” è allo stesso tempo personale e fedele all’originale. Il pubblico è visibilmente soddisfatto, gli applausi si sprecano, così come le grida di giubilo e approvazione.
“Too late to die young” chiude definitivamente la serata, la canzone è di Dan Bern ma è puro Costello sound, il che dimostra per l’ennesima volta la versatilità e la grande capacità compositiva del giovanotto, alla conclusione le luci in sala si accendono, dagli amplificatori esce musica registrata, stavolta è proprio finita, ma ci apprestiamo a tornare a casa soddisfatti per avere assistito ad un concerto bello e coinvolgente da parte di un artista che ci ha sorpreso in positivo dimostrandosi ancora più in gamba di quello che già sapevamo.