SIMONE LUTI

SIMONE LUTI

Suono il basso e mi piace il funk 
Leggo ogni genere di libro, tranne le cose che piacciono a tutti.
Stessa cosa per i film.

In questo pensiero c’è tutta la filosofia di vita di Simone Luti, nato a Livorno il 5 maggio 1975.

Bassista sopraffino, bravissimo a “calarsi” in ogni situazione musicale, straordinario musicista ma soprattutto meravigliosa persona, è giustamente il primo a far parte di questa “carrellata” di musicisti livornesi di ieri e oggi.

Suona in pratica da sempre, conosciutissimo nella sua città, ma apprezzato in ogni luogo dove la buona musica è di casa, ha risposto volentieri alle domande a lui rivolte.

 

unnamedD – Te e il tuo basso. Sei te che hai scelto lui o lui te?

R – Roberto suonava già la chitarra da qualche mese, io nel frattempo, a circa 12 anni, rimasi folgorato da un jingle pubblicitario dei romanzi Harmony. Chiedi a mio padre che cosa fosse a produrre un suono così e mi rispose che era un basso elettrico. Mio zio aveva un vecchio basso chiuso in un armadio, me lo regalò, mio padre mi insegnò un giro di blues e cominciai a suonare con lui alla chitarra ritmica e Roberto che suonava la pentatonica sull’altra chitarra elettrica di casa. Diciamo che io ho scelto il basso ma lui ci ha messo del suo.

D – Un bassista è un chitarrista pentito?

R – No davvero, no! Un bassista riesce a porsi nel mezzo tra ritmica e melodia, è il perno e l’equilibrio. Il basso è uno strumento relativamente giovane, essendo nato negli anni ’50 e oggi è probabilmente lo strumento che si è sviluppato maggiormente, come tecniche, ricerca del gusto e dell’armonia ed espressività. Essere un bassista è coprire un ruolo fondamentale, tanto che spesso il basso lo si nota poco ma, se non ci fosse, si noterebbe l’assenza di un motore, un qualcosa che pulsa.

D – Racconta ai lettori i tuoi esordi…

R – Il primo concerto l’ho tenuto a Tirrenia assieme al grande chitarrista Tolo Marton, in duo, suonando qualche brano; probabilmente avevo compiuto 14 anni da un paio di mesi. Era il 1989, anno nel cui novembre io e Roberto conoscemmo Rolando Cappanera, figlio dell’indimenticato Roberto e nipote di Fabio, batterista e chitarrista della Strana Officina. Quel novembre ci trovammo proprio nello studio della Strana, suonammo circa 3 ore e ci divertimmo un sacco. Nacquero i First Experience, il trio blues che ha portato noi tre a girare in tutta Italia dai club ai grandi palchi, prima da soli come band strumentale e poi con Johnny Salani alla voce, colui che in realtà ci fece conoscere quel novembre.
Con la scomparsa di Fabio e Roberto Cappanera Rolando uscìi da First Experience per proseguire nella Strana Officina, io e Roberto suonammo con altri batteristi anche se io entrai a far parte di un progetto metal proprio con Rolando. Con Rola in definitiva non ho mai smesso di suonare.

D – Poi è venuto l’Ottavo Padiglione…

R – Grande esperienza formativa, fuori dai miei territori sicuri, musicalmente parlando. Roberto era a New Orleans, Rolando faceva il turnista, io entrai in questa storica band e ne uscii con un bagaglio decisamente importante. A 24-25 anni lavorare con produzioni del genere, suonare con una persona estrosa e potente come Bobo Rondelli, cercare di essere preciso sul beat e cattivo o rilassato quando serviva… Insomma, la maggior parte del mio modo di essere professionista e professionale deriva dall’esperienza con l’Ottavo.

D – Dopo?

R. Tanti turni in studio, un po’ di concerti in club e qualche live con Dj ed elettronica, mondi da esplorare tipo l’hip hop e l’house music, la drum ‘n’ bass e la techno. Un altro modo di suonare, quasi meccanizzando l’azione umana e pensando il tempo e la melodia con la mente di un producer di dance. Anche queste esperienze hanno avuto un’impronta forte nel mio stile.

D – E si arriva ai TRES

R – Il cerchio che si chiude e diventa un autostrada! Dai First Experience ai Tres Radio Express Service, io, mio fratello Roberto e l’altro fratello, Rolando. Questo più che un gruppo è un parco giochi dove regnano libertà ed espressività a livelli mai avuti. Non è semplice un trio del genere, per di più strumentale. Il basso è un raccordo tra la batteria potente e determinata di Rola e la capacità di Roberto di cantare con la chitarra. Improntiamo tutto sul groove, mescolando i nostri tre stili che sono di estrazioni completamente diverse ma che per un caso si complementano e si completano. Per me è divertimento allo stato puro, non solo musicalmente, ma anche a livello umano.
D – I fratelli Severini ti hanno scelto per far parte del loro gruppo, i mitici Gang.
Che esperienza è?

R – I Gang sono più di un gruppo. Sono una voce che canta i limiti e le potenzialità della società, le sue storie e le sue radici. Il percorso dei Gang è fatto di mille incontri con luoghi e persone che i fratelli Severini hanno conosciuto in più di 30 anni di carriera. Personalmente vivo il fatto di essere il bassista dei Gang come un onore e un’esperienza formativa. In questi 6 mesi ho imparato cose riguardo la musica, oltre la musica e concetti di rara umanità che mai avrei sperato di poter assimilare. Mi trovo in famiglia coi fratelli Severini e col resto della band, Marzio Del Testa, Jacopo Ciani e Fabio Verdini. Non mi sento il sostituto del bassista precedente,  mi sento il bassista dei Gang, e per questo motivo ho molti stimoli nel partecipare all’arrangiamento delle mie parti e a far girare il mio basso come meglio serve alla band. Marino e Sandro non pongono veti, qui sta anche la loro grandezza: vogliono tirare fuori il meglio secondo le nostre attitudini e lo fanno con grande intelligenza e rispetto. Insomma, lo ribadisco, per me è un onore suonare nei Gang e per i fan dei Gang, grandi persone anche loro.

D – Sta per uscire sul mercato il nuovo lavoro dei TRES dopo un crowfounding che ha visto decine e decine di adesioni, sintomo della grande stima che il pubblico ha di voi. Puoi anticipare qualcosa?

R – Anticipo solo una cosa: è un disco molto diverso dai due precedenti, più maturo, in parte live in parte con sovraincisioni, cosa che nei primi due non c’era. Sono pezzi, nati dal vivo o alle prove, oppure improvvisati in studio. È stata un’esperienza totalizzante perché abbiamo affittato una casa nei pressi dello studio di registrazione stando così a contatto 24 ore su 24; credo che oltre al normale affiatamento questo si senta in tutte le tracce del disco.

D – Ti inorgoglisce un pò il fatto di essere il fratello di uno dei più grandi chitarristi del mondo (mi prendo tutta la responsabilità di questa affermazione) quale è Roberto Luti?

R – Certo! L’ho sempre detto: prima che essere mio fratello, Roberto è il mio chitarrista preferito. Suonare con lui ti porta a suonare in modi che non pensavi neanche di poterti permettere. È uno di quei musicisti che ti fa crescere in un attimo. In più è mio fratello, quindi posso anche prenderlo in giro e scherzarci avendoci la massima confidenza possibile!

R – Metti in fila i 5 miglior bassisti di sempre a tuo giudizio.

D – Jaco Pastorius, Colin Hodgkinson, Donald Duck Dunn, James Jamerson e Victor Wooten

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